L’Assemblea dei soci ha indicato i nuovi vertici dell’Associazione
SCIENZA & VITA SI RINNOVA
NEL SEGNO DELLA CONTINUITA’
L’Associazione Scienza & Vita il 24 giugno ha tenuto la sua assemblea annuale che quest’anno ha coinciso con il rinnovo delle cariche sociali.
I soci fondatori hanno rinnovato il Consiglio esecutivo che risulta così costituito: professor Bruno Dallapiccola, professor Lucio Romano, dottor Carlo Valerio Bellieni, professor Roberto Colombo, professor Luca Diotallevi, professor Luciano Eusebi, professor Massimo Gandolfini, professor Gianluigi Gigli, dottoressa Emanuela Lulli, dottoressa Chiara Mantovani, dottoressa Daniela Notarfonso, dottor Gino Passarello, dottor Edoardo Patriarca, professoressa Paola Ricci Sindoni, professoressa Lorenza Violini.
A sua volta il Consiglio, immediatamente riunitosi, ha provveduto alla nomina dell’ufficio di presidenza che risulta così costituito: Bruno Dallapiccola (co-presidente), Lucio Romano (co-presidente); Daniela Notarfonso (vicepresidente), Paola Ricci Sindoni (vicepresidente). Edoardo Patriarca è tesoriere e responsabile organizzativo.
Il saluto all’Assemblea dei soci fondatori
DUE RISCHI: L’INVASIONE DELLA BIOPOLITICA
E LA PERDITA DEL SENSO DI "LAICITA’"
di Maria Luisa Di Pietro
Parlare a braccio è molto più immediato e coinvolgente. Ci sono, però, occasioni in cui leggere un testo – sul quale si è a lungo meditato – consente non solo di non dimenticare nulla di ciò che si vuole dire, ma anche di dirlo con le parole più adeguate. Perchè le parole – come direbbe Sciascia de Il giorno della civetta – “non sono come i cani cui si può fischiare a richiamarli”.
Quando nel maggio 2006 mi è stato chiesto di accettare la carica di co-presidente di Scienza & Vita, ho chiesto tempo per riflettere sulla proposta.
Occuparmi della presidenza nazionale di un’associazione impegnata sul fronte di tematiche bioetiche non rappresentava – dal punto di vista dei contenuti – un problema dal momento che fin dal 1986 lavoro ogni giorno e tutto il giorno in questo ambito. I miei timori erano altri.
Come avrei fatto a conciliare una vita, già abbastanza caotica e piena di impegni familiari e professionali, con un compito così importante? Perchè – per me – assumere la presidenza di un’associazione nazionale è altro che prestigio, potere, comparsate televisive, presenza ossessiva sui giornali: è “servizio” a 360 gradi. E – fatto ancor più importante – un “servizio alla vita”. Come avrei fatto a dare risposta a tutte le esigenze che si sarebbero potute presentare in una realtà associativa?
Fortemente sollecitata in tal senso, alla fine ho accettato. La curiosità per la nuova esperienza, il desiderio di mettere a frutto – a livello sociale – quanto in tanti anni di studio e di grandi Maestri avevo appreso, la responsabilità di una risposta a quanti hanno fiducia in me e che da anni mi seguono, sono state le motivazioni principali del sì.
Quando sono arrivata – dopo una notte insonne – per prima volta alla sede nazionale di Scienza & vita a Lungotevere dei Vallati, 10, ho trovato innanzitutto l’accoglienza e il sorriso di tre persone (Emanuela Vinai, Luca Ciociola e Beatrice Rosati). Un sorriso che porterò sempre nel mio cuore, che mi ha scaldato anche nei momenti più difficili. Poi, sono arrivati Gianni Santamaria, Mimmo Delle Foglie e – più recentemente – Ilaria Nava, che si sono fatti carico di tutta la parte comunicativa e che ringrazio sia per il grande servizio a Scienza &vita sia per l’amicizia. Trovare persone che in modo tenace sono riuscite a condividere fatiche e speranze, gioie e dolori, è stato il più bel regalo che Scienza & vita mi ha fatto.
Della realtà associativa, nel 2006, c’erano il nome e la buona volontà. Ma come un palazzo, di cui – dopo una terribile scossa di terremoto – sono rimaste in piedi le mura esterne e le fondamenta, era necessario ricostruire tutto l’interno in modo attento e paziente, forti dell’esperienza referendaria del Comitato Scienza & vita. Il numero delle Associazioni locali era, allora, esiguo; non c’erano programmi specifici da cui ricominciare.
Con l’aiuto del co-presidente e dei consiglieri, che ringrazio vivamente, si è cercato di attuare – nell’arco dei tre anni – tutte le finalità che il Manifesto associativo definisce come caratterizzanti l’Associazione Scienza & vita, ovvero: 1. promuovere e incoraggiare la ricerca al servizio di ogni essere umano; 2. formare e informare in modo capillare su questi temi con un’informazione accessibile a tutti, scientificamente fondata e veritiera; 3. svolgere una costante e incisiva attività culturale, promuovendo il dibattito pubblico.
Molto è stato fatto nel triennio appena conclusosi, anche e soprattutto con l’aiuto delle Associazioni locali. Non ho parole per ringraziarle del loro impegno e del loro entusiasmo, della loro vivacità e della fantasia nel ricercare tanti modi per testimoniare la vita. Sono la vera forza di Scienza & vita in grado di svolgere quel lavoro capillare di informazione e formazione che – come già detto – è uno (se non il principale compito) associativo. Li ricordo uno per uno; alcuni li ho visti in azione nella loro realtà di vita e di lavoro; altri non li ho potuti raggiungere non per cattiva volontà ma per la tirannia del tempo.
Molto di più si potrà fare nel triennio successivi, anche per completare i diversi progetti già iniziati, primo tra tutti la campagna di coscientizzazione popolare “Liberi per vivere”.
Tra breve si parlerà del nuovo Consiglio esecutivo di Scienza & vita, a cui faccio i miei migliori auguri di buon lavoro e di grande serenità.
Come molti di voi sanno già, nonostante le tanto ripetute quanto gradite richieste, non continuerò nella mia carica di co-presidente. Ho cercato di servire al meglio l’Associazione Scienza & vita: spero che quanto vi ho potuto dare vi sia stato e potrà essere, anche nel futuro, di una qualche utilità.
Certamente non si chiude qui il mio impegno per la vita, cominciato ben 33 anni fa quando ho scelto di studiare Medicina e Chirurgia e che ha subito una singolare (per il tempo) svolta 23 anni fa. In un Paese che non sapeva ancora cosa fosse la bioetica, ho iniziato – grazie alla grande intuizione dei Professori Elio Sgreccia e Angelo Fiori – il mio cammino in questa complessa ma affascinante disciplina: cammino che continuerò con la tenacia e la curiosità di sempre.
Prima di concludere vi volevo, però, offrire alcune riflessioni sui possibili rischi a cui, a mio parere, è esposta oggi la riflessione sui temi della vita.
Il primo rischio è la confusione delle “stanze” in cui si parla di bioetica, tanto che tutta la riflessione appare sempre più ridotta al solo dibattito politico e privata della sua forza fondativa e argomentativa. Certamente chi lavora nella politica, deve occuparsi di tutti quei valori e quelle istanze che si concentrano attorno alla vita, alla famiglia, al matrimonio, all’assistenza medica, alla gestione dell’ambiente vitale, attraverso un dialogo transpartitico e trasversale, muovendo dall’assunto che tali valori rappresentano un livello superiore al di sopra del contingente partitico.
Non bisogna, però, mai dimenticare che la riflessione bioetica è “altro” e precede il dibattito biopolitico, altrimenti si può incorrere nel pericolo di trasformare la politica “della” (o per la) vita in una politica “sulla” vita. Se la politica è veramente ricerca del bene comune e del bene di ogni essere umano, essa non può fare a meno di rimettere sempre al centro la questione antropologica, ovvero la domanda sulla natura e sulla dignità dell’essere umano.
La questione antropologica, che si presenta in tutta la sua urgenza a fronte dell’avanzare di un duplice riduzionismo – antropologico e biologico -, è alla base della mission di Scienza e vita
Il riduzionismo antropologico ha prima spogliato l’uomo della sua dimensione morale, spirituale, psicologica, per poi frantumarne la dimensione biologica: dal corpo ai singoli organi; dalle cellule ai geni; dai geni alle proteine. E nel momento in cui non si riesce più a percepire né se stessi né i propri simili come l’Altro, ma solo come un mero organismo biologico più evoluto, si fa strada in modo inevitabile il riduzionismo biologico. La clonazione e la partenogenesi non fanno – ad esempio – parte del generare umano, ma delle specie animali dei più bassi livelli della scala evolutiva; la creazione di ibridi citoplasmatici e di embrioni chimere uomo-animale sta cercando di infrangere anche il limite tra l’umano e il non umano.
Chi è l’uomo? E’ l’essere umano dal concepimento (comunque esso sia avvenuto) alla morte (comunque essa avvenga), che nella sua grandezza trascende ogni altra realtà. In tutte le fasi della sua esistenza questo essere umano è portatore di una dignità, che gli appartiene per natura e che non è suscettibile di variazioni quantitative e qualitative né dipende dalle diverse circostanze esistenziali o dal riconoscimento altrui.
La risposta sull’uomo come base per la ricerca del bene comune. Cosa è il bene comune? Chi ne definisce i contenuti?
Molteplici le interpretazioni del concetto di “bene comune”, soprattutto, per esclusione: non è il minor male comune; non è ponderazione di beni; non è sinonimo di compromesso; non è concepibile senza una Verità sull’uomo.
Il punto di partenza è, dunque, la Verità sull’uomo. La conclusione dell’analisi della questione antropologica ci dice che questa Verità è la intrinseca (nuda) dignità di ogni essere umano, che esige di essere rispettata in modo incondizionato dal concepimento alla morte. Una dignità che è fondamento di diritti e, prima di tutto, del diritto alla vita e alla salvaguardia della salute che vanno tutelati in modo forte e senza cedimenti o tentazioni di mediazione e di compromesso.
Un bene comune che deve portare al banchetto dei commensali tutti gli esseri umani, nessuno escluso. Un bene comune che richiede mutua responsabilità e grande senso di solidarietà, perché la difesa della vita umana è una questione preminentemente sociale. Un bene comune che non ammette alibi, ma un impegno continuo e instancabile a sostegno e difesa di quanto di più forte e di più fragile esiste sulla Terra: l’essere umano. Ed è questo l’impegno che Scienza & vita deve continuare a portare avanti.
Il secondo rischio è quello di perdere il senso della “laicità”. Nel dibattito attuale il termine “laico” appare sempre più come un contenitore vuoto tanto da essere riempito con significati diversi.
“Laico” è colui che non è cattolico; “laico” è colui che non rifiuta la razionalità; “laico” è colui che non rifugge dal “nuovo” e lo considera di per sé “buono”. Da qui la ricerca spasmodica del “laico”, del non cattolico, per dimostrare di essere “aperti”, di dialogare con tutti, fino all’inesorabile perdita della propria identità, fino a rinnegare la propria identità nel timore e nella vergogna di essere additati come “cattolici”.
La laicità non è un attributo; la laicità è un metodo, che può essere applicato sia da chi è cattolico sia da chi non lo è. Si è laici anche se si è cattolici. In questo senso è da ricordare l’espressione “laico cristiano” che Papa Benedetto XVI ha usato nel noto discorso di Cagliari del 7 settembre 2008.
L’essere un “laico di religione cattolica” non è indicativo di una “colpa”: è “un più”. Quel “più” che è dato dalla fede; quel “più” che consente di discernere i diversi piani dell’approccio al reale; quel “più” che indica la strada per vivere una laicità matura; quel “più” che dovrebbe rendere capaci di guadagnare verità in modo più immediato che con la sola ragione; quel “più” che rende edotti del senso del limite, ma che nel contempo dà la forza per superarlo.
Con la capacità di guardare al futuro in modo positivo, di progettare quel tempo “verticale” che va al di là dei caotici tempi “orizzontali”. Ed ancora, nella capacità di vedere i bisogni dell’altro e di ricercare il suo bene e il coraggio di testimoniare la novità della propria presenza nel mondo. Lavorando tutti con competenza, rigore morale, capacità di progettare e di dare testimonianza.
La “competenza”, che è fatta di conoscenza e di esperienza, ma anche di umiltà e di senso del limite; la “competenza”, che è quanto mai necessaria non solo per capire a fondo i problemi da affrontare, ma anche per evitare di lasciarsi trascinare da un “mare” mosso da interessi altri che nulla hanno a che fare con la ricerca del bene comune; la “competenza”, che consente di non cadere in modo sprovveduto nelle “paludi” preparate da altri.
Il “rigore morale”, che si traduce anche nella coerenza e nella linearità delle proprie decisioni, il che contrasta in modo stridente con la sempre più diffusa logica del compromesso, del contratto, dell’accordo, anche su valori fondamentali o – con una espressione tanto utilizzata – “non negoziabili”. E questo in nome di un “minimo etico”sempre più basso.
La “capacità di progettare” per ridare certezze in un’epoca di dubbi e paure; per pensare al domani con slancio nuovo; per raggiungere grandi mete, grandi obiettivi, non giocando sempre e solo di rimessa e preoccupati unicamente di non soccombere.
La “capacità di testimoniare”, nella consapevolezza che avere fede o comunque Amore per la vita non è una “colpa”, non è una “vergogna” da nascondere, non è una “ombra” sulla capacità di ragionare. “La capacità di testimoniare” con l’orgoglio di poter portare in tutti gli ambienti quel messaggio di speranza, di attenzione all’altro, di incondizionata accoglienza e solidarietà.
Con queste parole concludo il mio mandato di co-presidente di Scienza & vita, augurando a ciascuno di voi di continuare con la forza e la determinazione di sempre nel proprio impegno a favore della vita. L’impegno per la vita è un impegno serio, totalizzante, fine a se stesso e mai mezzo per raggiungere altri fini.
Un impegno da portare avanti con Amore, la nostra forza più grande: “Si può – scrive Jan Pietraszko – fargli male (all’Amore), allora perdonerà. Si può ucciderlo allora risorgerà. Comunque rimarrà sempre e comunque Amore”. Grazie.
Maria Luisa Di Pietro
Il comunicato all’indomani dell’insediamento
SCIENZA & VITA: IL SALUTO
DEI DUE COPRESIDENTI
Cari Amici,
ci è caro esprimere il nostro più vivo ringraziamento per la fiducia che ci è stata concessa a rappresentare l’Associazione Scienza & Vita. Vogliamo altresì manifestare il plauso per il lavoro svolto nel precedente triennio sia sotto il profilo culturale che scientifico e organizzativo. Merito riconosciuto alle competenze e alla professionalità della co-presidente uscente, professoressa Maria Luisa Di Pietro, per il magistero accademico, la testimonianza sui valori intangibili della vita, la profonda umanità e l’instancabile dedizione all’Associazione.
Il passaggio di testimone è segno di continuità di valori e di riconoscimento del lavoro svolto, in sintonia progettuale con i saperi e l’entusiasmo del neocostituito Consiglio esecutivo, aperto alla dialettica sociale in un positivo confronto che sia sempre per la tutela della vita umana nella sua intrinseca dignità.
Le numerose associazioni locali, dal rilevante profilo qualitativo, continueranno ad essere interlocutori privilegiati in comunione d’intenti e antropologia di riferimento.
Bruno Dallapiccola Lucio Romano
Anche i numeri danno ragione a questo evento diffuso di popolo
IL MANIFESTO “LIBERI PER VIVERE”
UNA PROVOCAZIONE NECESSARIA
di Domenico Delle Foglie
Lo confessiamo: l’operazione “Liberi per Vivere” è in cima ai nostri pensieri e alle nostre preoccupazioni. E’ la missione alla quale l’Associazione Scienza & Vita dedicherà tutte le proprie forze nei mesi che verranno. E’ l’impegno supplementare al quale sarà chiamato il consiglio esecutivo appena eletto dall’assemblea dei soci e l’intera presidenza. Così come tutte le associazioni locali sparse sul territorio nazionale. A tutti loro l’augurio di lasciare un segno su questa campagna che giorno dopo giorno assume le caratteristiche di un evento diffuso di popolo.
L’Associazione Scienza & Vita ha già messo in cantiere tante iniziative, ma molto verrà realizzato anche dopo la pausa estiva e sino alla fine dell’anno. Non mancheranno le sorprese e certamente il bilancio alla fine sarà largamente positivo. Il traguardo che abbiamo indicato, mille incontri in tutto il Paese, vedrete che alla fine sarà raggiunto. Con soddisfazione e orgoglio di tutti.
Anche questa newsletter contiene una sezione dedicata alla campagna. In particolare prosegue la riflessione sul Manifesto, grazie ad alcune voci significative del mondo culturale italiano. In questo numero il testo viene commentato dalla giornalista Gabriella Sartori e dalla presidente della Cnal, professoressa Paola Dal Toso. Nel numero scorso sono intervenuti il giornalista Luigi Accattoli e lo psichiatra Tonino Cantelmi. Altre voci si aggiungeranno, nei prossimi numeri, a rendere ancor più ricco il nostro discernimento sul fine vita.
LIBERI PER VIVERE 1 / La giornalista a confronto col Manifesto
QUELLO SGUARDO MI DICE
CHE NOI DUE CI APPARTENIAMO
di Gabriella Sartori
Lo sguardo: ne basta uno a cambiare la vita. E’ una felice intuizione quella del manifesto “Liberi per vivere” che, per presentarsi, sceglie la foto di uno sguardo. Non è proprio il “volto” inteso come “il modo con cui si presenta l’Altro” sul quale è fondata tanta parte del pensiero di Emmanuel Levinas, ma gli somiglia: specie là dove il grande filosofo ebreo scrive che il volto dell’Altro “mi parla e mi invita ad una relazione che non ha misura comune con un potere che si esercita”. O anche: “l’estraneo che non ho concepito né generato, l’ho già in braccio”.
Potenza dello sguardo, dunque.
Basta uno sguardo, la frazione di un attimo, per “sapere” d’improvviso, un’infinità di cose: se ti sei innamorato, o se non sei più amato;
se ciò che più temevi è accaduto o, al contrario, se ciò che nemmeno osavi sperare si è realizzato. E anche, se sei salvo o “perduto”: specie quando lo sguardo è quello del medico dal quale stai attendendo non “una” risposta ma “la” risposta che, attraverso lo sguardo, arriva molto prima e molto più in là delle parole.
C’è poi anche la mancanza assoluta dello sguardo: quella di chi ti guarda senza vederti , come se tu non esistessi. O non contassi niente di niente. Perché sei povero, o sei malato, anzi sei inguaribile, non sei come ti pensavo e volevo, non sei bello; o perché non sei gradito, non sei utile, non sei intelligente, non sei un vincente; oppure, perché ormai sei solo un peso .
A chi subisce questo genere di “trattamento” basta uno sguardo (o una mancanza di sguardo) per imparare tutto questo e sprofondare, in un attimo, nella consapevolezza di non contare nulla.
Anticamera, questa sì, della morte: prima “dentro”, nell’anima , poi anche nel corpo.
Fra i tanti tipi di “sguardo”, il manifesto “Liberi per vivere” sceglie quello che “può vincere la solitudine”. Malattia, questa sì, mortale e oggi così diffusa.
Fa differenza che ti si guardi come un ingegnoso congegno di cellule (da riparare, se il rapporto qualità/prezzo funziona, o da buttare se così non è) o come una persona; fra un qualcosa di economicamente conveniente o no, di scientificamente definibile, e solo per questo interessante, o come un essere umano. Condizione di per se stessa tanto alta da essere non definibile solo a
parole. Lo sguardo che può vincere la solitudine è quello che salva: perché ti dice che tu non sei un estraneo, anche se chi ti guarda non ti conosce, anche se non sa nemmeno come ti chiami .
Perché quello sguardo stabilisce d’un tratto un legame, una relazione: sei uno come me, non sei solo, hai un valore solo per il fatto che ci sei, voglio prendermi cura di te, sei qualcosa di più e di diverso da quello che la scienza dice che tu sia. Noi due siamo della stessa specie, noi due ci apparteniamo.
C’è chi dice: oggi, questo modo di guardare, cioè di pensare, è ormai di minoranza. Potrebbe essere anche vero: ragione di più per stare dall’altra parte, dalla parte di questa idea di uomo che non vogliamo, non possiamo lasciare che vada perduta. Noi crediamo che sia qui la pietra angolare della civiltà cui, credenti e non credenti, tutti apparteniamo, che sia qui il filo prezioso del traguardo che l’umanità ha raggiunto attraverso millenni di faticoso cammino della storia e del pensiero, di battaglie combattute in nome della libertà, della giustizia, dell’uguaglianza: in una parola, di tutto ciò che ci fa umani. Se queste cose non le dice più nessuno, è giusto, è utile che restiamo noi a tenerle vive: anche gli altri ne hanno bisogno. Se non altro, perché non c’è coro che non abbia bisogno di voci diverse l’una dall’altra per esistere. Che il mondo resti umano ci
interessa: e se non lo diciamo noi che ci crediamo, chi altri lo dirà?
LIBERI PER VIVERE 2 / Il Segretario della Cnal a confronto col Manifesto
NESSUN TABU’ OSCURI
LA FASE FINALE DELLA VITA
di Paola Dal Toso
Da quando l’uomo è apparso sulla faccia della terra, da sempre si pone la domanda: quale è il senso della vita? Da dove vengo, dove vado? Perché la sofferenza, perché la morte?
Ognuno porta nel cuore la ricerca di un senso ultimo dell’esistenza e della storia, capace di dare colore alla fatica dei giorni, cerca qualcuno che sia in grado di aiutarlo a trovare un significato, un orizzonte di senso tale da rendere la vita degna di essere vissuta.
Educare significa promuovere la vita perché attraverso l’educazione si aiuta l’educando a scoprire motivazioni, a trovare ragioni per affrontare il difficile compito di crescere e di vivere.
Dal punto di vista educativo oggi si tende a risparmiare le fatiche ai ragazzi, quasi a tutelarli da qualsiasi difficoltà, a preservarli se non addirittura neutralizzarli, da ogni possibile confronto con ciò che può farmi sperimentare la mia debolezza, farmi toccare con mano i miei limiti, l’incertezza, la fragilità, l’inefficienza personale. La sfida, invece, è quella di imparare ad accettare l’insuccesso, facendolo diventare un’occasione arricchente per prendere ancor più coscienza di me stesso, dei possibili errori, per assumermi responsabilità personali ed impegnarmi di più e meglio… In altre parole, si tratta di imparare a camminare con le proprie gambe, farsi le spalle grosse accettando anche lo smacco, esercitarsi a far fronte alle piccole difficoltà per affrontare progressivamente quelle della vita, perché non si diventa adulti improvvisamente, ma è fin da piccoli che si impara a diventare grandi, nella quotidianità della vita ordinaria del giorno per giorno, passo dopo passo.
Educare implica anche far incontrare, nei dovuti modi ed in relazione all’età, il mondo della sofferenza, della diverse abilità, del disagio, della vita che sta terminando: tutte diverse espressioni della vita, che non possono essere nascoste, oscurate quasi si trattasse di tabù. È urgente oggi educare a sviluppare l’attenzione nei confronti di chi mi sta accanto e che può aver bisogno del mio aiuto, la capacità di saper essere vicino a chi sta male, la sensibilità che mi fa percepire il suo stato d’animo condividendolo per far mie le sue emozioni, paure, speranze, il che mi porta ad accogliere anche il suo bisogno di non essere lasciato solo, di essere curato ed accudito con affetto, di essere amato fino all’ultimo istante, all’estremo respiro. La sua partenza, il lasciare la vita dovrebbero essere accolti come momenti di passaggio “naturali” nel senso che fanno parte della vita. Crescere in umanità significa diventare progressivamente sempre più in grado di accorgermi che c’è qualcuno con il quale essere solidale, compartecipare, provare gli stessi sentimenti, farmene carico, prendermi a cuore, camminando al suo passo, ad un ritmo che può essere anche più lento del mio.
Strettamente collegato c’è un altro obiettivo: educare a saper riconoscere che la vita mi è stata regalata in modo del tutto gratuito, attraverso l’affetto di mamma e papà, è un dono che posso sprecare perché è un bene prezioso; anzi, un po’ alla volta, fin dall’inizio, imparo ad apprezzarlo, a godere perché nonostante tutto, la vita è bella e soprattutto, ho la responsabilità di custodirla gelosamente giorno per giorno, in tutte le sue espressioni, manifestazioni, sempre e comunque. E per questo ringrazio e sono riconoscente.
Purtroppo, conosciamo oggi il disagio che affligge i minori, caratterizzato da quel senso di inutilità del vivere (nichilismo), da una certa incapacità di progettare un futuro, la tendenza a svalutare il passato che fa ripiegare sul presente, il consumo immediato di cose, emozioni ed esperienze. Educare significa anche aiutare il bambino, il ragazzo, il giovane ad essere protagonista della sua esistenza. Vuol dire suscitare, stimolare, risvegliare, accendere quelle domande vere e profonde del cuore, le attese, i desideri talvolta inespressi, ma radicati: saper coltivare e realizzare il personale sogno di futuro, quella nostalgica sete di felicità, tipica di ogni essere vivente. Tutto questo a volte è espresso attraverso vere e proprie provocazioni: l’educatore sa bene come oggi bambini, ragazzi, giovani lancino messaggi in bottiglia, segnali di fumo impercettibili che vanno captati, decifrati, decodificati, per cercare di comprenderne il senso. Sono sfide lanciate nei confronti del mondo adulto per attirarne l’attenzione, poiché si sentono soli e soffrono di solitudine. Spesso mancano di modelli autorevoli, ma anche del necessario supporto emotivo ad esempio, da parte di genitori che rispondono largamente ai loro desideri, ma non sanno comprendere i loro bisogni più autentici e non li aiutano a costruire un progetto di vita. Non servono prediche, i ragazzi destano le chiacchiere, coloro che vendono “aria fritta”; hanno, invece, bisogno di adulti di riferimento, di cui fidarsi ed a cui affidarsi, interessati a loro, disponibili a dedicare del loro tempo per ascoltarli e sostenerli nella ricerca insieme di ciò che conta nella vita, il vero ed il bello. Adulti innamorati della vita, che testimonino che è bello vivere, che ne vale davvero la pena, è un’avventura entusiasmante; che, nonostante le difficoltà, metter su famiglia è un’impresa fonte di gioia…
Educare è allora generare alla vita, aprire la persona alla vita perché l’educatore accende la voglia, la passione per un’esistenza che se non altro per istinto naturale, nessuno è disposto a sprecare, ma anzi, desidera vivere alla grande!
Una puntuale contestazione del documento FnomCeo sulle Dat
CONTRATTUALISMO E RELATIVISMO
LE SIRENE PER I MEDICI ITALIANI
di Renzo Puccetti
Principi opposti non si possono conciliare. Il documento della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (FNOMCeO) sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (DAT), pur usando espressioni come “alleanza terapeutica”, “autonomia e responsabilità del medico”, “scienza e coscienza” e negando la “natura meramente contrattualistica” del rapporto medico-paziente, non riesce a celare l’obiettivo reale: l’affermazione in medicina del principio contrattualistico.
Una descrizione dei principi della medicina senza scala di valori è un mero contenitore vuoto. Se, ad esempio, si ha eutanasia“quando il medico, intenzionalmente e con mezzi idonei, opera per la fine della vita, anche se ciò è richiesto dal paziente”, allora non si comprende come nessuna sanzione disciplinare sia stata comminata nei casi assurti alle cronache. Se invece il medico può lecitamente interrompere trattamenti proporzionati e necessari a sostenere una vita ritenuta non più degna di essere vissuta, allora per eutanasia deve intendersi qualcos’altro da definire. E’ certo che in alcuni casi eclatanti un medico abbia “operato” su un paziente che prima viveva e che solo dopo di esso è morto. Esiste, allora, un diritto (cui necessariamente corrisponde un dovere a carico di qualcuno), in caso di demenza, a rimuovere il pace-maker, il defribillatore, il graft coronarico, la protesi valvolare o vascolare, tutti interventi di cui nessuno può discutere la natura medica? C’è un diritto all’interruzione di cure o alla rimozione di presidi proporzionati senza neppure una volontà attuale e circostanziata?
Ecco che la contesa su alimentazione e nutrizione assistita, posta al centro della discussione sul fine-vita, può essere fuorviante. La vera questione da dirimere, infatti, è se la persona abbia oppure no un “diritto” a trattare il proprio corpo come qualcosa separato da sé stesso, mero oggetto delle proprie deliberazioni, magari assunte ora per allora, oppure se l’esercizio dell’autonomia debba avvenire in un recinto di ragionevolezza e di rispetto della realtà ontologica e relazionale dell’essere persona. Se vige il primo criterio non si comprende perché gli atti eutanasici dovrebbero essere esclusi dall’orizzonte di fattibilità al pari, peraltro, di tutta una serie di pratiche oggi illegali quali la prescrizione di sostanze dopanti, stupefacenti, anoressizzanti, fino alle mutilazioni rituali, purché richieste. Ebbene, l’ordinamento positivo, conformemente a principi di diritto naturale, riconosce come “indisponibile” il proprio corpo, indipendentemente dalle sue condizioni. Emerge con evidenza dalla tutela prevista non solo in vita attraverso i reati di omicidio del consenziente e di istigazione al suicidio, ma anche dopo la morte, attraverso l’art. 410 c.p. che tutela la dignità del cadavere, proibendo di usare la salma a piacimento, anche se questo risultasse da una libera volontà inequivocabilmente espressa in vita mediante regolare testamento olografo.
Invocare un “diritto mite” dopo che la giurisprudenza ha violentato ogni basilare principio di precauzione creando una mostruosità con le fattezze del testamento biologico orale e presunto, è operazione che crea un profondo sconcerto. Nel documento della FNOMCeO non si intravede la minima traccia di riflessione sui dati e sulle esperienze degli altri Paesi; nessun cenno alle centinaia di studi scientifici tra cui quelli del dr. Henry Perkins, internista dell’Università di Sant’Antonio in Texas, che denunciano “le false promesse” delle Dat e il fallimento della loro applicazione descritto sulle pagine dell’Hastings Center. E perché mai, il documento richiama la necessità di un’espressa impunità penale per atti compiuti dai medici in osservanza delle Dat se con esse si ritiene esclusa ogni ipotesi delittuosa?
L’introduzione del relativismo nella deontologia medica comporta il rinnegamento della medicina stessa. Non si può relegare 25 secoli di medicina ippocratica nel recinto dell’obiezione di coscienza, non accetteremo di farci rinchiudere nel ghetto in attesa del pogrom professionale.
La mancata adesione al documento di importantissimi ordini provinciali è probabilmente l’ultima campana prima della tempesta.
Inaugurata la nuova struttura culturale dell’Associazione
IL CENTRO DI DOCUMENTAZIONE
RISORSA IN PIU’ PER LA RICERCA
di Ilaria Nava
L’Associazione Scienza & Vita si è dotata di un centro di documentazione aperto al pubblico. Si tratta di una vera e propria biblioteca di settore, attrezzata con 2 postazioni lettura per pc portatili, nata con l’intento di offrire un ulteriore strumento di approfondimento e di riflessione a chi si voglia confrontare con i temi più attuali della bioetica.
Il patrimonio librario raccolto in questi ultimi mesi attraverso acquisizioni e donazioni da parte di privati ed enti, sia pubblici sia privati, raccoglie volumi molto diversi tra loro. Essendo la bioetica una disciplina trasversale, girando tra gli scaffali, suddivisi per materia, troviamo opere dedicate in modo specifico alla bioetica ma non solo. Gli utenti potranno consultare anche manuali e monografie di medicina, diritto, teologia, scienze sociali, psicologia. Oltre al patrimonio librario vero e proprio, il centro di documentazione ha all’attivo 12 abbonamenti a riviste italiane (tra cui Medicina e Morale, Bioetica e Cultura, Il diritto di famiglia e delle persone) e 6 abbonamenti a pubblicazioni internazionali, (Nature, Science, Cambridge Quaterly of Heltcare Ethics, Jama, Human Reproduction, Hastings Center Report), nonché documenti, rassegne stampa e dossier consultabili sui cd Rom e Dvd.
LA RECENSIONE / L’inchiesta sul campo di Bellaspiga e Ciociola
LA LIBERTA’ E LA FATICA
PER CONOSCERE “I FATTI” DI ELUANA
di Francesco Comelli
Il libro, scritto da due inviati speciali del quotidiano Avvenire che hanno seguito quindi “sul campo” la vicenda, esplicita nella premessa lo scopo perseguito dai due autori, Lucia Bellaspiga e Pino Ciociola: “offrire i tanti elementi mancanti affinché ognuno potesse avere un quadro complessivo di tutti i fatti accaduti, di tutte le opinioni degli esperti, di tutte le verità, e non solo quelle che erano passate attraverso le maglie (strette) dell’informazione”. Perché come ricordato nel capitolo dedicato all’operato dei media “per crearsi un’opinione è necessario prima conoscere i fatti, sui quali fondare un giudizio” ma se a partire dal linguaggio utilizzato (si pensi ad esempio all’espressione ricorrente “staccare la spina”) si perpetua l’equivoco di una paziente attaccata a macchine…
Il libro ricostruisce sia il complesso iter giuridico (saranno ben nove alla fine i decreti e le sentenze emesse dai magistrati di cui solo le ultime due “a favore” di Beppino Englaro) sia l’opera e il progetto culturale che a partire dal 1995 la Consulta di bioetica onlus di Milano svolge a fianco di Beppino Englaro. L’attuale Presidente della Consulta Maurizio Mori in un testo edito nel 2008 e prefato da Beppino Englaro scrive che sospendere l’alimentazione e idratazione a Eluana “implica infatti abbattere una concezione dell’umanità e cambiare l’idea di vita e di morte ricevuta dalla tradizione millenaria per affermarne una nuova da costruire”. Vengono poi analizzate le due condizioni che la Cassazione stabilisce come necessarie, nella sua sentenza del 16 ottobre 2007, perché sia lecito autorizzare la “disattivazione” del sondino naso gastrico ovverossia la sicura irreversibilità dello stato vegetativo e la accertata volontà della paziente. Attraverso una minuziosa analisi della più recente letteratura medica specialistica e di una serie di testimonianze e lettere coeve e contraddittorie rispetto a quelle prodotte in tribunale per dimostrare la volontà di Eluana si documenta come “sarebbero state plausibili conclusioni opposte”.
Un apposito capitolo intitolato “Il gioco delle tre carte” ricostruisce, invece, nei dettagli, l’iter burocratico amministrativo attraverso il quale Eluana, ricoverata alla clinica “La Quiete” grazie all’autorizzazione di un “Piano di assistenza individuale” finalizzato al “recupero funzionale ed alla promozione sociale dell’assistita” viene il giorno dopo affidata all’Associazione “Per Eluana” con la finalità di “dare attuazione ai contenuti del decreto della C.d.A. di Milano”. Sia gli ispettori inviati dal ministero del Welfare sia i carabinieri del Nas muovono rilievi e sollevano dubbi rispetto alla correttezza delle procedure adottate. Malgrado questi rilievi la procedura prosegue fino al suo tragico epilogo.
L’ultimo capitolo del libro è dedicato al racconto della vicenda di Massimiliano Tresoldi, un ragazzo che a vent’anni, nell’agosto del 1991, a causa di un incidente stradale finisce prima in coma e successivamente in stato vegetativo persistente. Dopo alcuni mesi la famiglia decide di riportare a casa Massimiliano e accudirlo con l’aiuto di un gruppo di amici. Dopo quasi 10 anni, a Natale del 2000, Max si “sveglia”. La sua storia ci mette di fronte ad alcune scomode verità: Massimiliano si è svegliato malgrado i medici che lo seguivano avessero escluso questa possibilità e inoltre ricorda molte cose accadute nella sua stanza negli anni in cui era in stato vegetativo e quindi secondo le nostre (povere) conoscenze totalmente incapace di contatto con la realtà circostante. Insomma malgrado tutto Max c’è e, con tutte le sue magagne, scrive “Io sono felice, povera Eluana”.
La finalità perseguita dai due autori cioè il tentativo di fornire ai lettori la conoscenza dei fatti perché possano liberamente farsi un giudizio in merito alla questione “se aver portato Eluana a morire sia stata un’azione lecita e giusta o un obbrobrio giuridico e umano” mi pare degnamente realizzata. Spetta ora alla libertà dei lettori accettare la fatica di un cammino di conoscenza dei fatti e il rischio di giocarsi in un giudizio. Lo dobbiamo a Eluana, lo dobbiamo a noi stessi, lo dobbiamo a chi verrà dopo di noi e da noi attenderà di apprendere un senso alla fatica del vivere e al dolore del morire.
Una domanda: davvero quei film sono un manifesto a favore?
L’EUTANASIA A 35 MILLIMETRI
MORIRE PER RABBIA, MORIRE PER PIETA’
di Umberto Folena
La stagione cinematografica 2004 vide il trionfo dell’eutanasia. Quattro Premi Oscar a "Million Dollar Baby" di Clint Eastwood, Oscar per il miglior film straniero a "Mare dentro" di Alejandro Amenábar. L’anno prima l’Oscar per il miglior film straniero era stato assegnato al canadese "Le invasioni barbariche" di Denys Arcaud. Poi la pressione s’è allentata. E oggi possiamo dire: davvero sono tre film “a favore” dell’eutanasia?
Dire però che "Million Dollar Baby" è un film sull’eutanasia è pura propaganda. Sarebbe come dire che I promessi sposi sono un romanzo su un’epidemia di peste nel Seicento. Il film di Eastwood è molto più profondo e amaro e complesso. L’ex pugile ed allenatore Franckie ha un “peccato” da farsi perdonare. Non sappiamo quale sia. Sappiamo che da anni scrive lettere alla figlia lontana, che gli ritornano intonse. Ogni mattina va a messa. Quando Maggie gli chiede di allenarla, e dopo il diniego iniziale egli accetta, torna a fare il “padre” con una nuova “figlia”. Che va in “missione”, combatte e vince, riscattando entrambi, fino alla tragedia finale: per un colpo scorretto rimane paralizzata. Maggie è talmente disperata da cercare di togliersi la vita staccandosi a morsi la lingua. Quando gli chiede di praticarle l’eutanasia, Franckie chiede consiglio al prete, il quale però non sa che ripetergli la fredda dottrina. Franckie mette fine alla vita di Maggie, senza gioia, con disperazione. E sparisce, ossia “muore” pure lui. Qualcuno ha visto nella storia una sorta di “Passione”, umana e tragica. L’accappatoio che Franckie regala a Meggie porta scritto, in gaelico, Mo Cuishle, ossia “mio sangue”.
"Le Invasioni barbariche" sono piuttosto un film sullo sfacelo della pingue borghesia franco-canadese. Remy, condannato dal cancro, si fa uccidere con un’overdose. Film apprezzato per i fitti dialoghi colti e arguti, si conclude con un’eutanasia che è atto finale di una vita insensata.
Tre film e tre eutanasie: atto liberatorio e libertario in "Mare dentro"; un padre che compie l’estrema volontà della figlia condannando anche se stesso "Million Dollar Baby"; il vuoto prima e dopo nelle "Invasioni barbariche". Tre storie del tutto diverse, con l’eutanasia che gioca un ruolo marginale, conclusivo, nel secondo e nel terzo. Soltanto dei manipolatori possono farne dei “manifesti” pro-eutanasia. Per i cattolici, piuttosto, il film di Eastwood suona da monito: di fronte a certi drammi insondabili non si risponde con la pura, semplice, fredda dottrina. Il Vangelo ha bisogno di interpreti sensibili e intelligenti; si fa interrogare dalla storia; e, come scrive Giovanni, il Verbo per vivere deve farsi carne.
Prima di questi tre, un altro film viene a volte presentato come capostipite di un cinema pro-eutanasia. Si tratta di "E Johnny prese il fucile", primo e unico film che Donald Trumbo, a lungo sceneggiatore (per anni sotto pseudonimo, da vittima del maccartismo), trasse nel 1971 dal suo romanzo del 1939. L’ultimo giorno della prima guerra mondiale, Johnny viene centrato da una bomba. Rimane senza braccia e senza gambe e perde vista, voce e udito. È un fagotto di carne, che però pensa, sogna, ragiona. E riesce perfino a comunicare movendo la testa. Alla fine chiede di essere ucciso, invano. Ma prima chiede, altrettanto invano, di essere fatto vedere in pubblico, a dimostrazione dell’insensatezza della guerra. Cerca cioè di dare un senso alla propria vita e l’eutanasia compare alla fine, quando ogni senso e ogni speranza gli vengono negati. Un film terribile pieno di domande terribili. Ma di sicuro non un film di propaganda.
Appuntamenti
I PROSSIMI INCONTRI
SEGNALATI DAI LETTORI
Vi proponiamo gli appuntamenti che ci sono stati segnalati dalle associazioni locali e dagli amici di Scienza & Vita.
Vi ricordiamo che gli eventi sono consultabili al link https://www.scienzaevita.org/appuntamenti.php
30 Giugno 2009
Armando Sabatini, il deputato dei poveri / Liberi per Vivere
Torino Collegio San Giuseppe, via Francesco da Paola
Organizzato da Mcl
02 Luglio 2009
Liberi per Vivere
Anzio (Rm) Cav Anzio, Via Aldobrandini
Organizzato da Scienza & Vita Roma 1
03 Luglio 2009
Liberi per Vivere
Carsoli (Aq) Sala Parrocchiale
Organizzato da Mcl
04 Luglio 2009
Ritorno – teatro / Liberi per Vivere
Bibione Parrocchia Santa Maria Assunta, via Antares 18
Organizzato da Parrocchia Santa Maria Assunta
04 Luglio 2009
Liberi per Vivere
Collarmele (Aq) Sala Parrocchiale
Organizzato da Mcl
05 Luglio 2009
Vita in Festa / Liberi per Vivere
Roma Piazza Domenico Sauli
Organizzato da Acli Roma
07 Luglio 2009
Liberi per Vivere
Brescia –
Organizzato da Mcl
08 Luglio 2009
Eluana – i fatti / Liberi per Vivere
Bibione Parrocchia Santa Maria Assunta, via Antares 18
Organizzato da Parrocchia Santa Maria Assunta
08 Luglio 2009
Liberi per Vivere
Reggio Calabria Via 2 settembre, 19
Organizzato da Mcl
08 Luglio 2009
Liberi per Vivere
Milano –
Organizzato da Mcl
10 Luglio 2009
Liberi per Vivere
Castrovillari (Cs) Sala convegni centro servizi Mcl
Organizzato da Mcl
11 Luglio 2009
Liberi per Vivere
Pietralcina (Bn) Santuario francescano S. Pio da Petralcina
Organizzato da Mcl
15 Luglio 2009
Liberi per Vivere
Polistena (Rc) Circolo Mcl
Organizzato da Mcl
16 Luglio 2009
Liberi per Vivere
Cassano Ionio (Cs) Circolo Mcl
Organizzato da Mcl
17 Luglio 2009
Tra Parola & parole / Liberi per Vivere
Bibione Parrocchia Santa Maria Assunta, via Antares 18
Organizzato da Parrocchia Santa Maria Assunta
23 Luglio 2009
Campo nazionale settore Adulti di Ac / Liberi per Vivere
Alghero (Ss) –
Organizzato da Azione Cattolica
27 Luglio 2009
Campo nazionale responsabili specializzati Acr / Liberi per Vivere
Bari –
Organizzato da Azione Cattolica
29 Luglio 2009
Campo nazionale settore Giovani di Ac / Liberi per Vivere
Nocera Umbra –
Organizzato da Azione Cattolica