Trapianto di cuore e nuove tecnologie: aspetti problematici legati all’accertamento della morte
I pazienti in attesa in Italia di trapianto di cuore sono attualmente circa 600: se si considera che gli interventi che si effettuano all’anno sono circa 250, risulta evidente che i tempi di attesa sono lunghi e alcuni pazienti potrebbero non riuscire a ottenere il trapianto.
Il prelievo dell’organo avviene dopo la morte del donatore, accertata secondo criteri neurologici e criteri cardiaci. Si parla, come noto, di donazione “controllata” quando la morte del paziente avviene in terapia intensiva a seguito della sospensione dei trattamenti sanitari e di sostegno vitale: la morte dopo la sospensione dei trattamenti è prevedibile e attesa.
Quando il paziente o i familiari esprimono il consenso alla donazione degli organi a fini di trapianto, la donazione è effettuata secondo i protocolli cd. “a cuore fermo”, dopo l’accertamento della morte per arresto cardiaco, con la rilevazione di un’assenza completa di battito cardiaco e di circolazione sanguigna per il tempo necessario per avere la certezza della perdita irreversibile di tutte le funzioni encefaliche.
In Italia la legislazione richiede, in questi casi, una osservazione di almeno 20 minuti: questo è il tempo di anossia, trascorso il quale si ritiene avvenuta l’irreversibile perdita delle funzioni dell’encefalo e la morte del paziente. I tempi di osservazione dell’assenza di battito cardiaco nei donatori varia, tuttavia, da Stato a Stato: in molti paesi il tempo è di 5 o 10 minuti.
Solo pochi mesi fa è stato realizzato in Italia, a Padova, il primo trapianto di cuore realizzato grazie proprio a una donazione a cuore fermo grazie ai progressi tecnologici nel campo della perfusione degli organi.
Sulla donazione controllata il dibattito, soprattutto in campo etico, è molto aperto: il rischio maggiore è la violazione in alcuni protocolli applicati per il trapianto della regola del donatore morto.
La durata del tempo di osservazione prevista in Italia e il protocollo rigoroso sono proprio a garanzia di tale principio e a tutela della vita del donatore.
Negli USA, ad esempio, sono invece adottati protocolli che prevedono un tempo di osservazione molto ristretto, di 2-5 minuti. In questo caso il rischio della violazione della regola del donatore morto è più evidente: tali protocolli rispettano il principio di non causare con (e per) il prelievo la morte del donatore? La scelta di adottare queste procedure così “rapide” nei tempi di osservazione quanto sono influenzate dal bisogno di reperire organi per i trapianti?
Inoltre un aspetto non secondario e da non sottovalutare è il fatto che una volta accertata la morte, il prelievo di organi da un donatore a cuore fermo a scopo di trapianto è molto complesso anche dal punto di vista organizzativo.
Rispetto anche al problema dell’attesa del trapianto di cuore, secondo alcuni studiosi il numero di cuori idonei al trapianto potrebbe aumentare utilizzando la perfusione regionale normotermica: gli organi, in questo caso, vengono mantenuti “in funzione” con il “riavvio” della circolazione locale al cuore, ai polmoni e agli organi addominali (ma non al cervello) di pazienti il cui cuore ha smesso di battere per cinque minuti e sono stati dichiarati morti secondo i criteri circolatori. La procedura così tenta di mantenere una normale temperatura corporea e di ritardare il danno da ischemia.
Un articolo pubblicato di recente su Science si interroga proprio su questi aspetti, riportando il caso di un trapianto di cuore avvenuto senza il pieno rispetto della regola del donatore morto.
Il donatore soffriva di una malattia epatica allo stadio terminale, era in coma con un ventilatore, ma il suo cervello mostrava ancora attività. La sua famiglia ha scelto di rimuovere il supporto vitale e di donare gli organi: il supporto vitale è stato tolto, il cuore si è fermato e così anche la circolazione; dopo i 5 minuti previsti di osservazione l’uomo è stato dichiarato morto. Il team dedicato al prelievo e al trapianto ha, poi, ricollegato il corpo del donatore alle macchine per far riprendere la circolazione di sangue ossigenato, facendo sì che il cuore ricominciasse a pompare, per procedere nelle migliori condizioni al prelievo.
L’intervento è al centro di un acceso dibattito sull’etica di tali donazioni. Dal momento che la morte è un processo (e non un punto temporale), ci si chiede se tali procedure possono essere eticamente accettabili: ci si chiede, in particolare, se il flusso di sangue al cervello dopo la morte circolatoria (e il rapidissimo tempo di osservazione) possa ancora innescare l’attività o la funzione cerebrale.
Come si legge nel parere del CNB del 2021 la “regola generale e presupposto necessario per considerare come legittimo, sotto il profilo etico e giuridico, il prelievo degli organi ai fini del trapianto terapeutico – sia per l’accertamento della morte con criterio neurologico, sia per l’accertamento con criterio cardiocircolatorio – è che il donatore sia dichiarato morto prima del prelievo degli organi a fini di trapianto (dead donor rule) e che l’avvenuta morte del donatore sia stata accertata secondo criteri validati dalla comunità scientifica”.
Anche rispetto alle grandi possibilità offerte oggi dallo sviluppo tecnologico tale principio etico è sempre al centro della materia e vieta sempre di causare la morte del paziente per il prelievo di organi da destinare al trapianto e l’applicazione di protocolli rigorosi a garanzia della vita del donatore.
Per approfondire:
- Giving heart, A new procedure for donating hearts and other organs is saving lives. But for some it challenges the definition of death, Science, maggio 2023
https://www.science.org/content/article/when-does-life-end-new-organ-donation-strategy-fuels-debate
- CNT, A Padova il primo trapianto italiano di cuore da donatore DCD, 17 maggio 2023
A Padova il primo trapianto italiano di cuore da donatore DCD (salute.gov.it)