S&V FOCUS | LA “DONAZIONE” DEL CORPO FEMMINILE E DELLE SUE PARTI PER FINALITA’ PROCREATIVE GLI APPROFONDIMENTI DI SCIENZA & VITA | DI FRANCESCA PIERGENTILI

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Sin dall’antichità si discute, anche nel mondo del diritto, del rapporto dell’uomo con il proprio essere fisico e se, in particolare, esiste o meno un diritto di proprietà della persona sul suo corpo, nella sua interezza considerato o nelle parti staccate. Il problema non è, pertanto, nuovo, già nella Compilazione giustinianea, per esempio, si escludeva il diritto di proprietà sul corpo (“dominus membrorum suorum nemo videtur”), ma non é poi di semplice soluzione.

Il progresso in campo biotecnologico ha consentito negli ultimi anni, infatti, possibilità di intervento sul e nel corpo umano prima neanche immaginabili. Se si considera nello specifico il tema delle tecniche di procreazione assistita certamente si potrà constatare in tutta la sua ampiezza la dimensione della problematica.

Il progresso in tale ambito ha reso possibile nuove forme di concepimento, diverse da quello naturale, con l’intervento di terzi, in particolari degli operatori sanitari, “esecutori” delle tecniche, ma anche di soggetti donatori e donatrici di gameti o di donne donatrici di utero. L’intervento della tecnologia ha, così, dato origine a una moltiplicazione delle figure genitoriali: genitori di intenzione, genitori biologici, madri gestazionali.

Un recente articolo pubblicato su Acta Biomedica dal titolo “Donation of the body and its partsin the construction of parenthood analizza il tema della donazione del corpo e delle sue parti proprio per finalità procreative, per rispondere al desiderio di genitorialità di altri.

L’articolo riconosce come tale possibilità di donazione è un “fenomeno” antropologico e sociale nuovo e di crescente attenzione, che tenta di rispondere a uno dei desideri piu profondi dell’essere umano, quello di avere un figlio.

Lo studio si sofferma, in particolare, sulla maternità surrogata, pratica al centro di grande dibattito per le numerose problematiche etiche sottese. Gli interessi in gioco in tale ambito possono essere molteplici: quelli dei genitori di intenzione, del figlio, del genitore biologico, della madre gestazionale.

Il rischio di sfruttamento delle donne, di reificazione dei bambini, dello stravolgimento delle relazioni umane nonché il diritto all’identità genetica del figlio dovrebbe condurre a vietare tale pratica.

L’articolo analizza, in particolare, il tema della donazione del corpo femminile e delle sue parti, vista come una forma alta di solidarietà, pari a quella della donazione di organi a fini di trapianto.

Le donne che “concedono” il proprio utero per la nascita di un figlio per altri sarebbero spinte da diversi motivi: alcune per motivi economici, altre per altruismo, amicizia e affetto.  Non vi sarebbero solo logiche di sfruttamento ma anche uno spirito di solidarietà femminile.

Il problema che, a questo proposito, si rileva è che al di là delle finalità e dello spirito che anima la pratica, in ogni caso il corpo della donna “serve” per altri: ecco il primo sintomo di reificazione e sfruttamento. Si dimentica spesso che il bambino “offerto” con l’uso della tecnologia non è un organo o mero materiale biologico ma un soggetto, come espressamente affermato anche dall’art. 1 della legge n. 40 in Italia.

Lo studio afferma la necessità di regolarizzare la situazione dei bambini comunque nati da tali tecniche, indipendentemente, cioè, da come sono stati “prodotti” o “fabbricati” (“manufactured”).

L’uso di tale terminologia prova la reale dimensione del problema che non è la tutela, sempre effettivamente da garantire e non in discussione, dei minori nati, quanto piuttosto il disconoscimento della dignità della vita umana sin dal suo inizio e della dignità del corpo umano, in particolare del corpo della donna.

Se i bambini possono essere in vario modo “fabbricati” è perché a essere oggetto di offerta, vendita, “affitto”, al di là delle finalità e della terminologia usata, è il corpo della madre.

Sembra allora sempre rischiosa la comparazione con la materia dei trapianti e l’utilizzo della categoria della “donazione” applicata alle tecniche riproduttive eterologhe.

Profonde differenze ci sono tra la donazione a fini di trapianto e la donazione a fini procreativi. Presupposto del trapianto è la necessità di garantire il diritto alla salute e alla vita del paziente bisognoso di organo, il trapianto è una operazione, infatti, salvavita, mentre presupposto per la maternità surrogata è il presunto diritto ad avere un figlio: il bilanciamento rischi e benefici è profondamente diverso. A fare la differenza è la presenza del bambino, portatore di una sua dignità sin dall’inizio.

Per approfondire: 

Alfano L, Fontana P, Lorettu L, Ciliberti R. Donation of the body and its parts in the construction of parenthood. Acta Biomed. 2023 Feb 13;94

 

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