La parola ai medici sul testamento biologico
CON LE CURE PALLIATIVE
CROLLA LA DOMANDA DI MORTE
Una nuova raffica di interviste ai medici italiani sul tema del testamento biologico. Prosegue così la campagna lanciata dall’Associazione Scienza & Vita per partecipare con maggiore consapevolezza al dibattito che si è aperto nel Paese su un tema eticamente sensibile come quello del fine vita. Com’è noto, la Commissione Sanità del Senato presto riprenderà a discutere sulla possibilità di introdurre in Italia un’apposita disciplina.
Da parte dei medici italiani intervistati da Scienza & Vita viene ribadita con forza la necessità di garantire le cure palliative perché dalla loro efficacia e diffusione dipende il crollo della domanda di morte. Emerge inoltre una carenza generalizzata di hospice che reclama un deciso, sollecito e cospicuo intervento pubblico. Così come si evince anche dalla ricerca sulle cure palliative curata da Osservasalute e che pubblichiamo nella seconda parte della newsletter.
Una nuova raffica di interviste ai medici italiani sul tema del testamento biologico. Prosegue così la campagna lanciata dall’Associazione Scienza & Vita per partecipare con maggiore consapevolezza al dibattito che si è aperto nel Paese su un tema eticamente sensibile come quello del fine vita. Com’è noto, la Commissione Sanità del Senato presto riprenderà a discutere sulla possibilità di introdurre in Italia un’apposita disciplina.
Da parte dei medici italiani intervistati da Scienza & Vita viene ribadita con forza la necessità di garantire le cure palliative perché dalla loro efficacia e diffusione dipende il crollo della domanda di morte. Emerge inoltre una carenza generalizzata di hospice che reclama un deciso, sollecito e cospicuo intervento pubblico. Così come si evince anche dalla ricerca sulle cure palliative curata da Osservasalute e che pubblichiamo nella seconda parte della newsletter. Inoltre i medici continuano a nutrire molti dubbi sull’introduzione nell’ordinamento italiano di un’apposita disciplina sul testamento biologico perché preoccupati dalla possibilità di innescare, come è già avvenuto in altri Paesi europei, una pericolosa deriva eutanasica. Infine va sottolineato che neppure i problemi legati alla cosiddetta medicina difensiva sembrano preoccupare eccessivamente gli intervistati, in quanto nessuno di loro dichiara di aver avuto problemi con la legge a causa delle proprie prestazioni medico-professionali. Anzi, tutti i casi “difficili” sarebbero stati risolti attraverso il dialogo e la disponibilità al confronto. A conferma che la migliore strada, anche nei momenti del fine vita, è quella dell’alleanza terapeutica fra medico e malato.
Questi gli intervistati:
Grazia Bellanova: Specialista in Ostetricia e Ginecologia ed in Genetica Medica.
Laura Guerrini: Specialista in Pediatria con indirizzo Neonatologia e Patologia neonatale.
Antonio Mancini: Specialista in Endocrinologia, Medicina Interna ed Andrologia.
Non possiamo stare fermi di fronte alla domanda di alleviare il dolore
NE’ ACCANIMENTO NE’ EUTANASIA
UN ANNO DOPO LA CAMPAGNA
di Maria Luisa Di Pietro
L’Associazione Scienza & Vita ha promosso dal 28 novembre al 5 dicembre 2006 la campagna “Né accanimento né eutanasia”.
Gli obiettivi della campagna, che ha portato all’organizzazione di oltre 50 eventi su tutto il territorio nazionale, sono stati: chiarire i termini del dibattito in tema di eutanasia, accanimento terapeutico e cure palliative; argomentare le ragioni del rifiuto dell’eutanasia, evidenziandone le forme surrettizie, e dell’accanimento terapeutico; promuovere l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore; interrogarsi sui contenuti e sulle finalità dei testamenti di vita, evidenziandone limiti e rischi; dare una risposta ai reali bisogni dei malati e delle famiglie.
In quella occasione l’Associazione Scienza & Vita ha sottolineato come tale risposta dovesse muovere, innanzitutto, dalla risoluzione dei tanti problemi che ben conoscono quanti combattono ogni giorno con la sofferenza e con il dolore, tra cui: la mancanza di efficaci reti di assistenza domiciliare, l’assenza di interventi a sostegno delle famiglie dei malati, la carenza di hospice e di strutture per la lungodegenza, l’impossibilità di accedere con facilità alle cure palliative, la mancanza di personale sanitario adeguato.
NE’ ACCANIMENTO NE’ EUTANASIA
UN ANNO DOPO LA CAMPAGNA
di Maria Luisa Di Pietro
L’Associazione Scienza & Vita ha promosso dal 28 novembre al 5 dicembre 2006 la campagna “Né accanimento né eutanasia”.
Gli obiettivi della campagna, che ha portato all’organizzazione di oltre 50 eventi su tutto il territorio nazionale, sono stati: chiarire i termini del dibattito in tema di eutanasia, accanimento terapeutico e cure palliative; argomentare le ragioni del rifiuto dell’eutanasia, evidenziandone le forme surrettizie, e dell’accanimento terapeutico; promuovere l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore; interrogarsi sui contenuti e sulle finalità dei testamenti di vita, evidenziandone limiti e rischi; dare una risposta ai reali bisogni dei malati e delle famiglie.
In quella occasione l’Associazione Scienza & Vita ha sottolineato come tale risposta dovesse muovere, innanzitutto, dalla risoluzione dei tanti problemi che ben conoscono quanti combattono ogni giorno con la sofferenza e con il dolore, tra cui: la mancanza di efficaci reti di assistenza domiciliare, l’assenza di interventi a sostegno delle famiglie dei malati, la carenza di hospice e di strutture per la lungodegenza, l’impossibilità di accedere con facilità alle cure palliative, la mancanza di personale sanitario adeguato.
In attesa di interventi sistematici, l’Associazione Scienza & Vita chiedeva che venisse garantito alle famiglie un effettivo coinvolgimento nella cura del malato, che venisse rafforzata l’assistenza domiciliare con investimenti ad hoc per i casi di malattie gravi e in fase terminale e che vi fosse
una revisione e un aggiornamento dei congedi parentali per tutte le famiglie che devono assistere malati gravi.
La società deve, d’altra parte, prendere consapevolezza che le recenti acquisizioni in campo biomedico – offrendo ampie possibilità di intervento e rendendo possibili condizioni di vita considerate nel passato inimmaginabili in presenza di malattie a prognosi infausta – stanno portando alla cronicizzazione di malattie prima rapidamente mortali.
Ne consegue una situazione inaspettata per il malato, che deve imparare a convivere con la propria malattia e a riprogrammare la propria esistenza e che ha bisogno di essere aiutato ad affrontare i problemi sanitari, psicologici, sociali e culturali propri dell’esperienza della malattia, della sofferenza e del morire.
Diviene, così, sempre più frequente il caso in cui un paziente – affetto da una neoplasia o da una patologia cronica ed evolutiva – non risponde più alle cure attive e chiede interventi di assistenza e di controllo dei sintomi minori e del dolore.
Non si tratta solo di dolore fisico, ma anche di dolore psicologico (la sofferenza di scoprirsi profondamente cambiati), sociale (la percezione del modificarsi dei rapporti interpersonali più significativi) ed esistenziale (il bisogno di dare significato a un cambiamento radicale della propria della vita).
Vengono, così, ad acquisire grande rilevanza le cure “palliative”, che hanno come obiettivo l’accompagnamento del malato, sollevandolo dal dolore fisico e sostenendolo dal punto di vista psicologico e umano. Dove le cure attive non sono più possibili, le cure “palliative” rappresentano una precisa ed efficace risposta, allontanando anche lo spettro della richiesta di eutanasia da parte di malati che la invocano come via d’uscita per una situazione considerata troppo gravosa e dolorosa.
Si riconsegna, tra l’altro, nelle mani del medico quella che è l’intima essenza della sua professione: curare chi gli si è affidato con fiducia e, anche laddove non vi è più nulla da fare da un punto di vista terapeutico, continuare ad assistere senza negare la finitezza e il dolore della nostra vicenda umana.
Qualsiasi intervento che non tenga conto della complessità delle esigenze del malato nelle fasi finali della sua vita rischia, però, di essere parziale. E poiché nella maggior parte dei casi il decorso della patologia è caratterizzato da una elevata incidenza di sintomi fisici e psicologici, che rende necessario modificare di frequente le modalità di assistenza, appare difficoltoso definire la degenza media ospedaliera ed è anche possibile che il malato possa essere privato di un’assistenza adeguata.
E, se da una parte, l’ospedale è attualmente strutturato per trattare le patologie acute con cure attive anche ad elevato livello tecnologico ed è sempre meno disponibile a farsi carico della cosiddetta “cronicità”, dall’altra è evidente che l’assistenza nelle fasi finali della vita deve rispondere a requisiti che non possono essere soddisfatti dall’organizzazione ospedaliera.
Tali requisiti possono essere così schematizzati: 1. il controllo dei sintomi minori e del dolore, in tutte le sue manifestazioni, deve essere effettuato da una équipe multidisciplinare (medico, infermiere, psicologo, assistente spirituale, etc.); 2. il domicilio del malato va considerato il luogo di elezione per le cure palliative, seguito dall’hospice, dalle unità di cure palliative e – solo in casi di estrema necessità o per indisponibilità delle suddette strutture – dall’ospedale; 3. le cure vanno protratte senza soluzione di continuo fino all’ultimo istante di vita.
L’entrata in vigore delle ultime normative ha messo in moto nel sistema sanitario italiano un cambiamento radicale e portato all’evidenza i bisogni dei malati nel processo assistenziale, con la necessità di riconsiderare con interesse nuovi modelli di intervento. E, infatti, anche in Italia la Medicina palliativa è entrata a pieno titolo nei servizi sanitari erogati dalla sanità pubblica e sono stati previsti il finanziamento e la costruzione di hospice nelle varie regioni.
Quale è, però, la situazione attuale di distribuzione dei suddetti servizi e di erogazione delle prestazioni in rapporto al fabbisogno?
Per finalizzare l’intenso lavoro sulle questioni di fine vita, e per fondare scientificamente le proprie riflessioni e richieste, l’Associazione Scienza & Vita ha chiesto al Prof. Walter Ricciardi, Presidente dell’Osservatorio per la salute e Direttore dell’Istituto di Igiene dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, di condurre un’indagine conoscitiva proprio sul fabbisogno dei pazienti con malattie neoplastiche e delle loro famiglie e la diffusione delle cure palliative in Italia e sull’organizzazione dell’assistenza a livello ambulatoriale e domiciliare, nonché in regime di ricovero ospedaliero o in centri residenziali di cure palliative.
I risultati ottenuti mettono in evidenza, da una parte, ciò che di fatto esiste e, dall’altra, le carenze che vanno ancora colmate.
Quello che si apre davanti ai nostri occhi è uno spaccato di sofferenza e di speranza, che mette in evidenza quanto sia necessario rinforzare ancora di più – anche attraverso una sempre migliore organizzazione della rete sanitaria, socio-sanitaria e socio-assistenziale – quelle istanze solidaristiche che sono proprie dei moderni ordinamenti civili e democratici.
Il caso italiano fra gap territoriali e urgenza della rete
IL BISOGNO DI CURE PALLIATIVE
NEI PAZIENTI ONCOLOGICI
di Walter Ricciardi
In Italia, ogni anno circa 160.000 persone muoiono di tumore. Si può stimare che almeno il 90% di questi pazienti muoia dopo aver attraversato una fase terminale di malattia.
Da ciò si può dire che:
• ogni anno almeno 144.000 nuovi pazienti abbiano un bisogno di cure palliative legato alla presenza di una malattia oncologica in fase terminale;
• in questo momento circa 35.000 persone abbiano un bisogno di cure palliative legato alla presenza di una malattia oncologica in fase terminale (stima della prevalenza puntuale).
IL BISOGNO DI CURE PALLIATIVE
NEI PAZIENTI ONCOLOGICI
di Walter Ricciardi
In Italia, ogni anno circa 160.000 persone muoiono di tumore. Si può stimare che almeno il 90% di questi pazienti muoia dopo aver attraversato una fase terminale di malattia.
Da ciò si può dire che:
• ogni anno almeno 144.000 nuovi pazienti abbiano un bisogno di cure palliative legato alla presenza di una malattia oncologica in fase terminale;
• in questo momento circa 35.000 persone abbiano un bisogno di cure palliative legato alla presenza di una malattia oncologica in fase terminale (stima della prevalenza puntuale).
In sintesi:
• I pazienti oncologici con malattia in fase terminale sono in larga parte anziani (l’80% ha più di 65 anni e il 32% ha più di 80 anni).
• Come atteso, vista l’età dei pazienti, il livello di istruzione è basso (il 67% non ha titolo di studio o ha la licenza elementare). Solo il 3% sono laureati.
• La maggior parte dei pazienti (il 90.8% in Italia, ma in misura maggiore al Centro – Sud) trascorre parte del tempo a casa. Un’alta percentuale di pazienti (il 63.4% in Italia, ma in misura minore al Centro – Sud) trascorre parte del tempo in ospedale (considerando solo i ricoveri di durata maggiore alle 24 ore). Piccola, ma rilevante (8.3%) la quota di pazienti in RSA (molto bassa al Sud). Ancora in In Italia il 57.9% dei pazienti muore a casa (di residenza o un’altra casa), il 34.6% in ospedale, e una quota non trascurabile in RSA (6.5%). significante (0.7%) al tempo della rilevazione (2002-2003) la quota di pazienti in hospice.
• In un’alta percentuale di casi (il 62.8%), a questi pazienti non è comunicata la diagnosi di tumore.
• Circa il 70% dei pazienti o familiari paga per qualche aspetto dell’assistenza. L’impatto economico tocca maggiormente il Sud Italia (84.3%).
Prof. Walter Ricciardi
– Professore Ordinario di Igiene presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma dal 2001 ad oggi.
– Direttore dell’Istituto di Igiene e della Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma dal 2001 ad oggi.
– Presidente dell’European Public Health Association (EUPHA) dal 2003 al 2004.
– Fondatore e Direttore dell’Osservatorio Nazionale per la Salute nelle Regioni Italiane dal 2002 ad oggi
Scarica le slide della ricerca.
Intervista al Prof. Ricciardi su Avvenire del 8 dicembre 2007.
Rendere umano il fine vita attraverso le cure palliative
INCALZEREMO LE REGIONI
PER LA TERAPIA DEL DOLORE
di Lucetta Scaraffia
Fino a qualche decennio fa, ai medici si insegnava a riconoscere i segni della morte imminente, come se questo fosse il momento in cui dovevano allontanarsi dal paziente, per lasciarlo ai familiari, o al sacerdote, come se la medicina dovesse indirizzarsi solo a coloro che possono guarire, e non a chi soffre senza speranza. Oggi, questo pregiudizio dovrebbe essere superato: i medici hanno anche il dovere e il potere di alleviare le sofferenze dei pazienti, fino alla fine.
Purtroppo, però, i risultati di questa ricerca ci fanno capire che questo non avviene, o non avviene soprattutto in alcune regioni italiane, ed è nostro compito, come Scienza & Vita, combattere e vigilare affinché questa trascuratezza venga riparata. E lo faremo, verificando l’operato delle Regioni, e denunciando gli ostacoli che si frappongono all’applicazione delle cure palliative e, quindi, al sollievo del dolore per i pazienti più gravi.
INCALZEREMO LE REGIONI
PER LA TERAPIA DEL DOLORE
di Lucetta Scaraffia
Fino a qualche decennio fa, ai medici si insegnava a riconoscere i segni della morte imminente, come se questo fosse il momento in cui dovevano allontanarsi dal paziente, per lasciarlo ai familiari, o al sacerdote, come se la medicina dovesse indirizzarsi solo a coloro che possono guarire, e non a chi soffre senza speranza. Oggi, questo pregiudizio dovrebbe essere superato: i medici hanno anche il dovere e il potere di alleviare le sofferenze dei pazienti, fino alla fine.
Purtroppo, però, i risultati di questa ricerca ci fanno capire che questo non avviene, o non avviene soprattutto in alcune regioni italiane, ed è nostro compito, come Scienza & Vita, combattere e vigilare affinché questa trascuratezza venga riparata. E lo faremo, verificando l’operato delle Regioni, e denunciando gli ostacoli che si frappongono all’applicazione delle cure palliative e, quindi, al sollievo del dolore per i pazienti più gravi.
Il dolore, e di conseguenza la paura del dolore, costituiscono infatti le motivazioni che spingono alle richieste di testamento biologico e di eutanasia: cancellando, o almeno diminuendo fortemente il dolore attraverso appositi e mirati trattamenti, il problema dell’eutanasia si sgonfia e, da esigenza reale, rivela la sua natura profonda di pretesto ideologico. Pretesto per intervenire sulla fine della vita, così come si interviene, con l’aborto e la procreazione assistita, sull’inizio. Pretesto per far sentire l’essere umano padrone della vita, creatore e non creatura.
Certo, per il Sistema sanitario nazionale è più difficile e costoso mettere in opera strutture palliative efficienti invece che accettare forme di eutanasia, diretta o mascherata. Ma è una soluzione pericolosa, che non tiene conto del valore di ogni vita umana. E un Paese ricco e civile come il nostro deve assicurare che questa dignità venga assicurata a tutti i suoi cittadini, e non solo ai benestanti che possono pagare.
Sul tema delle cure palliative, gli ospedali cattolici sono all’avanguardia, e questo da solo dovrebbe bastare a cancellare il pregiudizio – purtroppo molto diffuso anche oggi, come si vede da un recente articolo su “Repubblica” del professor Stefano Rodotà – che i cattolici siano favorevoli al dolore, e non vogliano curarlo. Facendo in questo modo una colpevole confusione fra dare un senso al dolore – aspetto centrale della dottrina cristiana – e cercare il dolore. Così la mancata applicazione delle cure palliative trova un facile capro espiatorio: la Chiesa.
Molti preferiscono dimenticare che la Chiesa ha sempre cercato di lenire il dolore, in tutti i suoi aspetti, ben consapevole che il dolore non è solo un fenomeno fisico, ma anche spirituale e psicologico. Un ospedale modello come è stato alla sua costruzione – nel 1204 – l’ospedale romano di S.Spirito, prevedeva pareti affrescate, e una inclinazione particolare dei letti affinché ogni malato potesse ammirarle, nonché un sistema acustico per cui tutti i malati potessero godere delle musiche che venivano suonate appositamente a piano terra.
E, in tempi a noi più vicini, papa Pio XII, nel 1955, in occasione di un incontro con gli anestesisti cattolici che gli chiedevano se potessero somministrare morfina ai sofferenti anche se questa avrebbe affrettato la loro morte, rispose di iniettarne quanto era necessaria per lenire il dolore, senza preoccuparsi di avvicinarne la fine.