Associazioni, movimenti e gruppi si mettono in gioco in tutta Italia
CINQUANTANOVE CON … “LIBERI PER VIVERE”
L’IMPEGNO DI SCIENZA & VITA
di Lucio Romano *
Cinquantanove tra associazioni, movimenti e gruppi – già firmatari del manifesto “Liberi per Vivere” – hanno riconfermato con entusiasmo e condivisione l’impegno a proseguire il progetto. Numerosi gli incontri già realizzati o in corso di attuazione. Tantissimi ancora da censire. Solo numeri che confortano un impegno già assunto alcuni mesi orsono? Certamente no. Rappresentano molto di più. Sono la testimonianza tangibile di un sentire – molto avvertito – volto a percorrere insieme la strada che favorisce presa di coscienza e assunzione di responsabilità riguardo al “fine vita”. Tema questo che ci interroga maggiormente e che richiede un supplemento di discernimento.
Possiamo ritenerci soddisfatti? Non per una sorta di eccessiva pretesa, ma non possiamo ritenerci soddisfatti. Ci interpellano la preoccupazione e la consapevolezza che tanti ancora cercano approfondimenti, chiarimenti, confronti. Ancora maggiore, quindi, lo sforzo che dobbiamo produrre per poter dire in seguito che il nostro impegno è stato totale. Che abbiamo trasfuso entusiasmo e riflessioni. Che abbiamo saputo ricercare e giustificare – con pacatezza e rigore contenutistico – argomentazioni che riconoscono il valore dell’essere umano, la sua intrinseca dignità ancor più negli stadi terminali e nelle gravi disabilità. Il nostro impegno non può essere opzionale. E’, piuttosto, un’aspettativa ineludibile. E’ un invito rivolto a noi tutti per favorire la partecipazione consapevole alla dialettica su temi cosiddetti eticamente sensibili.
Possiamo ritenere “Liberi per Vivere” una “sfida educativa” ovvero una sfida culturale? Può rappresentare un ulteriore argine al nichilismo valoriale, “ospite inquietante del nostro tempo”? La risposta è decisamente affermativa. Sì, “Liberi per Vivere” si connota di questa mission: edificare saperi, formare coscienza “per tornare dall’esilio educativo in cui sembra essersi confinata la civiltà occidentale”. Scienza & Vita ha ben chiara la sua posizione che, sul tema in oggetto, si può sintetizzare nel favor vitae. Potrebbe sembrare superfluo ma è utile ribadire che si è per un’assistenza dei pazienti – anche in fase terminale o con grave disabilità – rispettosa della dignità umana senza derive eutanasiche – per abbandoni o omissioni – e senza accanimenti clinici o terapeutici. Sostenitori della obbligatorietà assistenziale e morale propria delle “cure” e della “presa in carico”, così delle varie forme di sostegno vitale necessarie nella umana relazione di cura, della medicina palliativa e delle terapie del dolore. Difensori della corretta alleanza terapeutica che realizza l’incontro della fiducia del paziente con la coscienza rettamente formata del medico, libero da supposti vincoli o presunti obblighi da precedenti dichiarazioni. Fautori “dell’informazione al paziente, del dialogo, dell’incoraggiamento, del sostegno morale e psicologico”. Tuttavia si richiede attenzione per un dibattito che ci coinvolge e ci impegna alla partecipazione in qualità di cittadini consapevoli e responsabili.
Certo, potrebbe non essere agevole confrontarsi nella molteplicità di considerazioni e valutazioni proprie della bioetica, della biogiuridica e della cosiddetta biopolitica. Ancor più per le suggestioni relativistiche e utilitaristiche che permeano costantemente correnti di pensiero, ideologizzate e falsificanti. Ma non dobbiamo avere incertezze, timori. E’ necessario proseguire lungo percorsi già delineati, giustificati da argomentazioni che – secondo ragione e con metodologia interdisciplinare – riconoscono la vita di ogni essere umano bene indisponibile. Consapevoli di poter declinare la civiltà della “cura” con la tutela dei più deboli e che le argomentazioni addotte possono essere condivise da ognuno, senza soggiacere a preconcetti e pregiudizi. Altresì disponibili, pronti ad un incessante confronto per i costanti sviluppi dialettici che si pongono alla nostra attenzione. Aperti alla ricerca, formati alla partecipazione del vivere civile da laici che sanno coniugare, appunto, “Scienza & Vita”.
Ritengo di poter dire, in ragione della consapevolezza data dalla conoscenza delle varie realtà, che la rete nazionale dei gruppi locali di “Scienza & Vita” si avvale di competenze riconosciute, autorevoli studiosi e ricercatori nelle varie discipline, volontari entusiasti. Questa è una ricchezza! E per questo motivo dobbiamo ancor più implementare il nostro “servizio”, disponibili ad essere promotori di sempre ulteriori iniziative così pronti a offrire esperienze e conoscenze, nella condivisione di finalità e percorsi con associazioni, movimenti, gruppi. E’ un impegno che – in sintonia di valori – scaturisce ineludibilmente dall’adesione volontaria a “Scienza & Vita”.
Scarica l’estratto della Prolusione del cardinale Angelo Bagnasco sul tema del "fine vita"
* Co-Presidente Associazione Scienza & Vita
LIBERI PER VIVERE / La neurologa a confronto con il Manifesto
NOI SIAMO IL NOSTRO CORPO
E SPERIMENTIAMO LA DIPENDENZA
di Matilde Leonardi *
Perché in un Paese come l’Italia si devono ribadire le argomentazioni a favore della cura e contro l’abbandono, a favore della terapia del dolore e contro l’accanimento terapeutico e l’eutanasia? Questi sono argomenti che riguardano il nostro rapporto con la malattia, con la scienza, con la politica e con l’economia. Cosa spinge più di cinquanta rappresentanti di associazioni italiane a mettersi assieme per proclamare in un Manifesto la necessità di saper dire dei si e dei no rispetto al rapporto che ognuno di noi ha con la malattia?
Non è quindi la mancanza di medicina che induce l’apertura di un dibattito nel nostro Paese sulla questione se sia meglio, ad esempio, non far continuare a vivere quei figli che sono affetti da malattie e che non godranno forse, secondo certe teorie, oggi sempre più in voga, dello statuto di persona, perché dovranno vivere nella dipendenza da altri, dovranno subire la tirannia del loro corpo malato. Di fatto il rapporto con la medicina, se si segue la linea che questo dibattito apre, è schizofrenica. Da un lato l’aspettativa dei risultati promessi dalle nuove tecnologie è altissima ma è quasi pari alla frustrazione nel vedere che, spesso, nulla di quanto si vede promosso dai mass media arriva a chi ha quella stessa malattia.
Forse allora Scienza & Vita ha colto la difficoltà che spesso si prova oggi nel rapporto conflittuale che si ha verso il proprio corpo, il proprio corpo malato. Il proprio corpo che in troppi interpretano come una proprietà, per cui non si è il nostro corpo ma si ha un corpo. E allora se il nostro corpo ci appartiene, e noi non siamo il nostro corpo, la malattia rende difficile l’ accettazione di questo corpo che abbiamo, e quindi di come siamo.
Credo si debba partire da questa relazione errata con noi stessi per cercare di capire il grido muto che esce dal manifesto di Scienza & Vita. La scienza ci pone davanti prospettive di vita in corpi malati, anziani, sofferenti che non riconosciamo come “noi” ma che ci “appartengono” quasi come cose.
La questione della disabilità, mi sembra, diventa allora la questione centrale per capire i sì e i no del Manifesto di Scienza & Vita. Non si vogliono ribadire cose che a prima vista sembrano ovvietà, alcune già sancite da leggi, altre normate da leggi, altre appartenenti allo spirito di buon senso che può animare una nazione civile. I sì e i no di Scienza & Vita ci invitano a riflettere sul nostro rapporto con noi stessi, con le nostre malattie, con la nostra paura di diventare “persone con disabilità”.
Chi sono le persone con disabilità? Per capirlo si deve definire la disabilità: essa “è un’esperienza universale, è una difficoltà nel funzionamento a livello del corpo, della persona ed a livello della società, in uno o più ambiti della vita, così come viene vissuta ed esperita da una persona con una qualunque condizione di salute in interazione con i fattori contestuali” L’accento sui fattori ambientali, così come promosso da questa definizione, è posto dal nuovo modello biopsicosociale di disabilità promosso dalla Classificazione Internazionale del Funzionamento, della disabilità e della salute, ICF, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (2001). L’ICF ci fornisce il metodo corretto e il linguaggio adeguato per assegnare il significato appropriato a ogni componente della persona e del suo ambiente. Il corpo, la mente, l’ambiente di vita sono i tre presupposti attorno ai quali si deve focalizzare l’osservazione per poter capire cosa è la disabilità e quali sono i livelli di possibili interventi. Una persona con disabilità necessità di una presa in carico “globale” che si focalizzi sui bisogni e che tenga conto del contesto in cui la persona stessa vive.
ICF cerca di promuovere quindi l’idea di un modello operativo che valorizzi la condizione della persona con disabilità ma che, ancor prima, lo riconosca come portatore di diritti umani. Molti Paesi ancora non attuano questo riconoscimento e ciò causa gravi compromissioni della tutela dei diritti, soprattutto delle donne e dei bambini. Il riconoscimento della dignità e dei diritti dei bambini, oltre che di tutte le persone con disabilità, come individui caratterizzati da peculiarità è riconosciuto da diverse convenzioni internazionali, che però sono troppo spesso ignorate o non ancora ratificate restando spesso “diritti di carta”. La disabilità è una forma della dipendenza tra gli uomini e come tale non può e non deve mai diventare motivo di discriminazione e di limitazione del duplice riconoscimento della dignità e della cittadinanza. Un altro elemento, allora, che può giustificare la necessità di chiamare a raccolta tante persone attorno al Manifesto di Scienza & Vita, è il tentativo di spiegare il valore della dipendenza in un contesto socio-culturale che riconosce la dipendenza solo come un “dis-valore”dimenticando che di fatto nessuno può dirsi veramente indipendente, ma solo più o meno autonomo all’interno di dipendenze dagli altri, dalle cose, dalle norme, diverse. Non esistono allora i “disabili”, ma “persone che vivono una condizione di disabilità”, sicché la questione della disabilità, invece di riguardare solo alcuni individui, riguarda tutti gli uomini. L’originalità di questa impostazione consiste nel fatto che, se pensata coerentemente, essa non coglie nella disabilità soltanto una questione particolare della politica, quanto piuttosto un tema che tende a ridefinire la politica nel suo complesso.
Combattere la disabilità, perciò, non significa soltanto porre attenzione alla situazione di alcune persone, ma promuovere la consapevolezza che ogni impegno per le persone con disabilità è un impegno per tutti i cittadini, perché la disabilità è una possibilità della condizione umana.
Allora forse questo fanno i sì e i no del Manifesto di Scienza & Vita. Non ribadiscono alla politica cose che la politica sa già, e peraltro l’approvazione recente della legge sulle cure anti dolore e palliative dimostra che sono noti al legislatore i passi per migliorare l’attuazione della politica per il benessere e la salute dei propri cittadini. I “sì” e i “no” di Scienza & Vita ci mettono di fronte alla possibilità che noi “siamo” il nostro corpo e che la nostra condizione umana, di esseri che invecchiano e si ammalano e magari perdono la consapevolezza di sé e del mondo, richiede legami e dipendenza e un ambiente che sia facilitatore e non barriera. Il Manifesto di Scienza & Vita ci indica che, probabilmente, sarà necessario superare il modello socio-sanitario di una risposta segmentata ai singoli bisogni man mano che si presentano, come è avvenuto fino a oggi, ed arrivare, come propone il Libro Bianco del ministro Sacconi, a un Welfare positivo cioè a un modello dinamico di integrazione socio-sanitaria-assistenziale, caratterizzato da una offerta di interventi rivolti alla persona e alla famiglia lungo tutto il percorso della vita e che sostenga le fragilità, favorendo la promozione e lo sviluppo di capacità individuali e di reti familiari.
Soltanto una concezione che comprenda sia le fasi esistenziali della crescita, sia quelle del declino, ci metterà nella condizione di riflettere in modo adeguato su ciò che la società dovrebbe prevedere per garantire la giustizia. Perché una società può anche essere buona, ma è essenziale che sia giusta. E allora non bisogna avere paura, perché la parte di società che è disposta a sostenere questa fragilità data dalla malattia, fragilità che è di tutti e di ognuno di noi, è composta da molti individui che, di fronte ad essa, sanno parlare sì sì, no no e sanno quali sono i sì ed i no giusti. Per scienza, consapevolezza e cultura.
* neurologo, pediatra. Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta
Coordinatore Progetto Nazionale Funzionamento e Disabilità negli Stati Vegetativi e di Minima Coscienza
LIBERI PER VIVERE / La giornalista a confronto con il Manifesto
LA VITA COSI’ COM’E’
NUDA, DAVANTI A NOI
di Caterina Maniaci*
Liberi per vivere. Che cosa significa? Un ennesimo slogan da trascinare in piazza o da spendere in qualche battaglia politica? Se così fosse, non varrebbe la pena di spenderci troppo tempo. Il fatto è che, oggi, il significato di quel che è davvero la vita sta – come dire – rattrappendosi sempre di più, restringendosi, diventando qualcosa delimitato da alti steccati, o intorno al quale si scavano profondi fossati di incomprensione.
Eppure, questo fatto è davanti agli occhi, tutti i giorni. Ma è inaccettabile. Si arriva a sbraitare, sui giornali e in tv, quando un terremoto o un uragano spazzano via uomini e cose, che qualcuno deve pagare e ci si chiede incessantemente di chi è la colpa. Non si può credere che qualcosa sfugga al controllo, al potere. Un uomo che giace su un letto e non può muoversi è un altro, grave insulto a questa mentalità, uno scherno, uno scacco inaccettabile. E difatti non lo si accetta.
Ma la vita è più forte. La libertà profonda dell’uomo, quando è responsabilmente accettata, quando la ragione accetta il Mistero, non come limite, ma come salvezza trasforma tutti i criteri superficiali e la vita si impone nella sua grandezza. C’è stata una giovane donna, Eluana, alla cui vita e desiderio di vita si è risposto con un gesto tragico. C’è oggi una giovane donna, Caterina, che da giorni è entrata in un tunnel buio e non sembra in grado di risvegliarsi. Ma intorno a lei, a cominciare dal padre, Antonio Socci, e l’intera famiglia, si è creato un “movimento” di preghiera, di speranza, di tenerezza , che testimoniano la convinzione che la vita, in lei, non solo c’è, ma sta generando altra vita, altro amore. Ecco, questa è libertà per vivere, non come “dovrebbe essere”, ma com’è, davanti a tutti noi.
* Giornalista
Il disegno di legge analizzato sotto il profilo economico
CURE PALLIATIVE IN RETE
LA CONOSCENZA GENERA VALORE
di Tommaso Cozzi *
La Camera dei Deputati ha recentemente approvato il disegno di legge inerente la disciplina delle cure palliative e del dolore valida per l’intero territorio nazionale. Tale legge, oltre che introdurre delle interessanti novità anche dal punto di vista economico e dello sviluppo delle conoscenze, si pone come obiettivo di porre ordine rispetto alle varie leggi che, a livello regionale, sono state emanate nel tempo. Pertanto, un’unica legge, che pone delle linee guida, a partire dalle esperienze sviluppate nei vari contesti locali.
In effetti, un aspetto interessante che riguarda l’azione organica imposta dalla legge con riferimento alla modalità organizzativa di erogazione delle cure palliative, riguarda l’art. 2 che stabilisce: “per assicurare le cure palliative e le terapie del dolore, che sono inserite nel piano sanitario nazionale come obiettivo prioritario, viene istituita su base regionale una apposita rete. La rete deve essere omogenea a livello nazionale".
Tale approccio è suscettibile di riflessioni non solo in campo biomedico, ma anche in campo economico. Forse è necessario effettuare un passo indietro, guardando a quanti si sono occupati nel tempo del tema delle cure palliative. Un riferimento utile potrebbe essere quello della rivista "Altro Consumo” (che sembrerebbe quasi fuori luogo citare nel contesto di cui si discute, stante la marcata mission commerciale della rivista) che ha sviluppato, a partire dall’anno 2000 e fino al novembre 2006, una serie di inchieste che hanno fatto rilevare la grande necessità per i soggetti bisognosi di terapia del dolore e/o di cure palliative, di inserirsi in un circuito che sia strutturato non solo dal punto di vista logistico, ma anche dal punto di vista dell’effetto diffusivo che la rete imposta (e quindi non facoltativa) dalla nuova legge. Le indagini effettuate dalla predetta rivista, evidenziano bene come nella nostra nazione, esista una realtà a macchia di leopardo, in cui si rileva che ben il 53% dei pazienti è stato curato in casa, il 32% in ospedale, e la parte restante in altre tipologie di struttura. In termini economici, ciò significa porsi un serio quesito sulla capacità delle strutture, o degli operatori operanti nel domicilio del paziente, di sviluppare conoscenze, approcci, metodologie, che, non solo siano condivisi, ma che possono rappresentare quello che in linguaggio aziendalistico viene definito il knowledge.
Knowledge significa sviluppare la cultura della condivisione del sapere. Al posto delle strutture, della rigidità tecnologica, emerge come nuovo fattore critico di successo la gestione integrata di tutti quei saperi utili per la gestione dell’attività di tutti i soggetti che operano all’interno delle organizzazioni e a favore dei pazienti. Si tratta di una pratica gestionale che ha come obiettivo la costruzione di un sapere diffuso all’interno delle organizzazioni e che richiede un approccio integrato che tenga conto di tre categorie di variabili: le persone (in primis i pazienti e poi gli operatori) i processi e le tecnologie. Le organizzazioni, infatti, possono disporre delle tecnologie più avanzate per il trasferimento e la condivisione delle informazioni, ma non ottenere da questi strumenti i vantaggi desiderati perché le persone non sono disposte ad utilizzare queste tecnologie e a condividere il sapere di cui sono in possesso. È la cosiddetta economia tecnocratica a cui fa riferimento Benedetto XVI nella Caritas in veritate. I sistemi di knowledge, infatti, sono poco efficaci se l’organizzazione non attiva, parallelamente alla loro implementazione, azioni volte a diffondere al proprio interno ed esterno una cultura di knowledge sharing. In altri termini si tratta di mettere al centro la persona, senza mortificare il progresso tecnologico, ma senza allo stesso tempo osannarlo come unico portatore di salute e benessere.
Il legislatore ha imposto la creazione non solo di una rete nazionale, che colleghi le varie strutture regionali ad oggi esistenti, ma nei successivi articoli della legge in via di approvazione, si determina la costituzione di un organismo, il cosiddetto osservatorio, che non avrà lo scopo di “guardare” (contemplare in modo passivo, come tanti osservatori oggi esistenti..) ciò che accade nel mondo delle cure palliative, ma avrà lo scopo specifico di coordinare le strutture in rete, così come preordinato dal precedente articolo due. Tutto ciò si evince dalla lettura sistematica degli articoli di legge così come approvati.
Le stesse strutture erogatrici delle cure palliative, sono oggi alla ricerca di modelli di funzionamento, che consentano loro di raggiungere e mantenere il cosiddetto vantaggio competitivo. Il vantaggio competitivo, quando ci si imbatte in problemi connessi alla bioetica, non è solo ed esclusivamente rappresentato dal risultato economico, pur legittimo, ma è altresì costituito dalla capacità di intervento efficace nei casi di necessità terapeutica. L’organizzazione, è soprattutto una struttura sociale. È rappresentata e costituita dall’insieme degli individui che ne fanno parte. Il suo scopo deve perciò essere quello di valorizzare i punti di forza degli individui, in modo tale da sviluppare le competenze necessarie al miglioramento del loro agire. La rete, pertanto, propone un’organizzazione basata sulla conoscenza. E l’organizzazione è tale solo se pone al centro del suo funzionamento le competenze delle persone e fa di queste il patrimonio strategico da accrescere e su cui basare il futuro della propria esistenza. Tutto ciò significa determinare un valore che è rilevante dal punto di vista economico in senso stretto, nella misura in cui pone in essere processi di esplicitazione della conoscenza, e quindi a tutti accessibili (anche ai pazienti e loro familiari) in quanto radicata in ciascun uomo.
La rete prevista dalla legge propone, pertanto, la costruzione di un archetipo, di un prototipo, di un modello che descriva e ponga estrema concretezza alle conoscenze che via via vengono a svilupparsi attraverso la rete e per la rete. Sono quindi le persone (il capitale intellettuale) che opereranno nelle strutture per le cure palliative ad aggiungere valore al sapere, all’informazione, trasformando prassi operative in veri e propri vantaggi per se stessi, ma soprattutto per i pazienti. La diffusione e la disponibilità delle informazioni sono ormai traguardi raggiunti e rappresentano una conquista dell’intera società. Si tratta di invertire la logica a partire dalla quale si opera: l’uomo che domina la tecnologia e non viceversa. Il riferimento è, in questo caso, alle cosiddette competenze di contesto, laddove per contesto si intende non solo l’ambito geografico di riferimento, ma soprattutto il settore, in questo caso quello biomedico, in cui le conoscenze nascono, crescono e si sviluppano e diventano patrimonio di tutti. Ciò significa innovare, sviluppare una forte identità, conseguire risultati di eccellenza. In tal modo i comportamenti diventano virtuosi, in quanto l’economia della conoscenza ci invita a rovesciare i paradigmi costruiti sull’economia dei capitali che ha prodotto la catena di montaggio (anche in campo sanitario) lo sfruttamento della produttività, i conflitti, la sfiducia nelle persone. La nuova legge, pertanto, propone un’etica giusta che, ottenuta attraverso i processi descritti, appare essere anche conveniente in primo luogo per i soggetti necessitanti di cure palliative, ma anche per coloro i quali si troveranno nel quotidiano ad erogarle.
Clicca qui per scaricare il Ddl sulle cure palliative
* Docente invitato di bioetica economica, Università Pontificia Regina Apostolorum-Roma
I rischi aggiuntivi, e poco considerati, della pillola abortiva
RU486, L’ABORTO PRECOCE
PER CONTROLLARE LE NASCITE
di Daniela Notarfonso*
Da quando vent’anni fa è stata prodotta per la prima volta in Francia, la pillola abortiva Ru486 non ha mai cessato di provocare accesi dibattiti.
In Italia, i primi protocolli sperimentali sono stati avviati nel 2005 in centri autorizzati e la recente decisione dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco), che ne ha autorizzato la commercializzazione, ha riacceso la discussione pubblica e indotto la Commissione Sanità del Senato ad avviare una indagine conoscitiva, prima di stabilire la linee guida e giungere alla decisione definitiva.
L’interruzione di gravidanza è consentita in Italia dalla legge 194 del 1978. Per la donna che lo richiede è possibile abortire entro il 90° giorno di gestazione, dopo un colloquio di discernimento, per verificare le alternative all’aborto, riconosciuto come un male e mai come un diritto. L’intervento va eseguito in ospedale, sotto stretto controllo medico. Uno dei motivi per cui nacque la 194, infatti, era quello di proteggere la donna dai rischi gravi per la sua salute e per la sua vita, così frequenti nella pratica dell’aborto clandestino, e accompagnarla in una decisione che la vede, tristemente, unica protagonista. L’uso di un metodo abortivo piuttosto che un altro, non cambia il giudizio etico sull’evento aborto che è e resta un dramma per la donna, la negazione della vita al figlio che ha in sé, la negazione a sé stessa di quella preziosa accoglienza.
Una attenta analisi del problema, però, mette in evidenza che le modalità d’uso della Ru486 aggiungono ulteriori elementi negativi in palese contrasto con la legge: per diminuire il rischio di quelle complicanze gravi che, in questi 20 anni, si sono verificate nei Paesi in cui è già usata, il ricorso alla Ru486 è limitato alle sette settimane di gestazione. Perciò la donna, che sa di essere incinta da circa due, tre settimane, se è orientata all’aborto chimico, deve affrettarsi a prendere una decisione, anche se questa la segnerà per tutta la vita.
I due terzi delle donne che assumono la Ru486 espellono l’embrione il 2° giorno del protocollo, nelle 3-4 ore di attesa in ambulatorio, dopo l’assunzione del secondo principio attivo. Le altre, invece, impiegheranno alcuni giorni. E’ molto probabile perciò che durante l’aborto vero e proprio, la donna sia in casa, magari sola, con i dolori delle contrazioni uterine, il rischio di emorragia e con la possibilità di vedere l’embrione morto che, se pur piccolo, è comunque riconoscibile.
Non si può certo dire che tutto questo sia una conquista per la donna che, ancora una volta, si ritroverà sola; sembra piuttosto un modo per giungere sbrigativamente alla fine di un incubo, quale l’aborto effettivamente è.
La fretta, inoltre, lo sappiamo, è cattiva consigliera. Si potranno ponderare veramente tutte le implicazioni della vicenda? Ci sarà il tempo e lo spazio per incontrare qualcuno capace di offrire un’alternativa, una speranza, nell’intravedere in quel figlio che ha fatto capolino, una persona da accogliere, un’opportunità da incontrare?
Quante donne avranno le idee così chiare da essere certe fin dall’inizio che non hanno risorse per consentire a quel figlio di nascere? Viene il sospetto che saranno coloro che, a priori, non vogliono figli, incorrendo nel rischio di usare l’aborto, proprio perché effettuato in un tempo così precoce, come un metodo di controllo delle nascite, in palese contrasto con l’articolo 1 della Legge 194. Anche il Cardinale Bagnasco, nella sua prolusione all’Assemblea generale della Cei, ha esplicitato questo pericolo.
Il tema è lacerante, la politica può e deve compiere scelte concrete per dare risposte davvero a favore della vita. Una vita che, per essere accolta, ha bisogno prima di tutto di un rinnovato clima culturale che riconosca il valore di ogni vita, di tutta la vita; e poi di famiglie che possano contare su di un salario dignitoso e garantito; di case accessibili, con affitti e mutui che non dimezzino il reddito familiare; di reti di supporto, sia pubbliche sia di volontariato, che siano a disposizione ogni qual volta si presenti una disabilità, una malattia grave, una persona anziana da accogliere; di agenzie formative che aiutino i giovani a dare senso alla sessualità, da vivere come espressione di un amore vero, maturo, capace di accogliere la vita quando questa bussa, anche se inaspettatamente, alla loro porta.
Scarica l’estratto della Prolusione del Cardinale Angelo Bagnasco sulla Ru486
* Medico, vicepresidente Associazione Scienza & Vita
Riflessioni biomediche per orientarsi nel dibattito scientifico
RU486: DALL’ABORTO CHIMICO
ALLA CONTRACCEZIONE DI EMERGENZA
di Lucio Romano*
Il dibattito – già da tempo in corso sull’aborto chimico con RU486 e gli analoghi delle prostaglandine – richiede ulteriori riflessioni sulla dimensione biomedica, motivo di controversie. In base a quanto riportato in letteratura, si richiamano gli aspetti fondamentali inerenti farmacologia (slide n°7 – 12); effetti collaterali e gravi, etiopatogenesi delle emorragie e delle sepsi (slide n° 20 – 34); azione teratogena (slide n°16 – 19).
Inoltre si riportano studi finalizzati a favorire procedure, certamente pericolose per la salute delle donne, come la riduzione dei controlli (slide n°39 e 40). Attenzione viene rivolta, poi, all’uso dell’RU486 – desumibile dalle già diverse sperimentazioni – nella contraccezione ed in quella di emergenza (slide n° 41 – 45) così da “chiudere un cerchio (aborto-contraccezione-aborto), al cui centro sta una vita umana, rifiutata a priori”. Si propone una schematica review da cui si possono desumere – con sguardo di rigore scientifico e non ideologizzato – obiezioni biomediche, procedurali, antropologiche ed etiche.
Le slide sono in lingua inglese, in quanto riportano fedelmente l’originale letteratura scientifica.
Scarica le slide cliccando su questa riga
* Co – Presidente Associazione Scienza & Vita
In questi giorni al lavoro su Ru486, Dat e cure palliative
BIOETICA, ORA LA PARTITA
SI GIOCA IN PARLAMENTO
di Ilaria Nava
Una stagione calda sul fronte della bioetica attende i nostri parlamentari. Diversi temi che attendono una decisione dal legislatore vengono vagliati in prima istanza dalla commissione Affari Sociali della Camera e dalla Igiene e Sanità del Senato.
Proprio qui giovedì 1° ottobre prenderà il via la contestata indagine conoscitiva sulla Ru486 con l’audizione del ministro del Welfare Maurizio Sacconi.
L’indagine è stata votata il 22 settembre dall’ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, al fine di “compiere un approfondimento sugli effetti legati al ricorso di tale farmaco presso le strutture sanitarie”. I nodi da chiarire sono legati anche alla compatibilità di questo farmaco abortivo con la legge sull’aborto. La rinuncia di Dorina Bianchi (Pd) all’incarico di correlatrice dopo la linea indicata dal partito, non senza polemiche, lascia per ora come unico relatore dell’indagine Raffaele Calabrò (Pdl). Il senatore azzurro si occuperà di seguire i lavori della procedura informativa, anche attraverso la raccolta di documentazione già esistente, come quella relativa alle audizioni svolte dalla commissione Affari Sociali della Camera nella scorsa legislatura. Nel frattempo, nel Cda dell’Agenzia del Farmaco convocato per domani, 30 settembre, verrà esaminata la bozza di delibera definitiva sulla Ru486, anche se non è escluso che i consiglieri decidano di attendere i risultati dell’indagine conoscitiva avviata dal Senato, e che secondo le previsioni del Senato stesso dovrebbe concludersi nel giro di 60 giorni.
Nella commissione Affari Sociali di Montecitorio si sta invece discutendo del disegno di legge sulle “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, consenso informato e dichiarazioni anticipate di trattamento”, assegnato a Domenico Di Virgilio. Dopo la relazione illustrativa di quest’ultimo, il presidente Palumbo ha dato la parola ai membri del gruppo. Non tutti, anche nella maggioranza, concordano nell’adottare come testo base quello licenziato al Senato, come manifestato anche da alcuni parlamentari che, dopo essersi per anni battuti per una legge, ora vorrebbero una “soft law” poco prescrittiva che lasci al medico il potere di decidere. Il nodo cruciale, come è noto, riguarda la possibilità di interrompere l’idratazione e l’alimentazione assistita per i pazienti non più capaci di intendere e di volere.
I lavori sulle cure palliative erano iniziati in questa commissione. Un testo poi passato all’Aula, dove a metà settembre ha incassato il sì di maggioranza e opposizione. Una convergenza che lascia intuire una rapida approvazione anche al Senato. Per ora il provvedimento è approdato in commissione Sanità, che ha nominato relatore Stefano De Lillo. E dove i lavori dovrebbero iniziare proprio nella giornata di oggi.
LA RECENSIONE / A Venezia tante pellicole colme di interrogativi
ALLA MOSTRA DEL CINEMA
LA VITA E’ OSPITE D’ONORE
di Emanuela Genovese*
La vita in tutte le sue forme fa discutere. Ci sono registi che si interrogano sul senso dell’esistenza, sulla presenza e assenza della famiglia, e se la guerra abbia un senso e se l’uomo può decidere la fine di un altro uomo. I festival diventano occasioni per comprendere gli interrogativi che gli uomini, gli artisti, si stanno ponendo e dove stanno cercando le loro risposte.
Pur avendo suscitato entusiasmo la rivelazione del film sorpresa della Mostra dal titolo My son, my son, what have ye done? diretto da Wener Herzog e prodotto da David Linch, il film ha deluso le attese: la storia, ricostruzione di un matricidio attraverso i flashback, non riesce a raccontare profondamente il dolore e la pazzia di un figlio, oppresso da una madre troppo presente nella sua vita.
Il desiderio invece di vivere e di non cedere allo scoraggiamento sono stati invece ben raccontati in due film forti e intensi come La strada e Lo spazio bianco. Il primo, tratto dal romanzo omonimo di Cormac McCarthy, racconta l’amore di un padre verso un figlio e la lotta contro il male in una terra desolata dall’orrore e da uomini che mangiano e derubano gli unici sopravvissuti. Fedelissimo al romanzo il regista attraverso il viso di Viggo Mortensen (nel ruolo del padre) e di Kodi Smit-McPhee (nel ruolo del figlio) riesce, grazie alla sceneggiatura firmata dallo stesso scrittore, a trasformare una storia, intrisa di buio, nella sorprendente ricerca di non fermarsi anche se il cielo è sempre grigio e i buoni non sembrano esistere più. Emozionante poi Lo spazio bianco, il film, vincitore della prima edizione del premio Pro Life, ideato dal Fiuggi Family Festival e il Movimento per la Vita, d’accordo con il consiglio di amministrazione della Biennale. Diretto da Francesca Comencini, regista impegnata nel sociale, ma che ha pubblicamente dichiarato che le battaglie pro life non le appartengono, il film racconta la gravidanza di una donna quarantenne, dal cuore instabile. Nata dopo solo sei mesi di gravidanza Irene (che significa speranza) vive nell’incubatrice, accompagnata da un’attesa piena di dolore della madre. Il film è stato premiato perché capace di raccontare, come dice il verdetto della giuria, la vita “nella dimensione valoriale condivisibile nell’ambito di un territorio più alto, quello della cultura della vita che appartiene all’umanità e non agli schieramenti”. A conferma che la vita resta sempre un valore non negoziabile.
* giornalista cinematografico
Un cartone mette a nudo il mito della libertà individuale
COME SALVARE UN SUICIDA E ROVINARSI L’ESISTENZA
L’AMARO CASO DI MISTER INCREDIBLE
di Umberto Folena
Agenzia Ansa, 11 settembre scorso: «”Fini? Ognuno è libero di suicidarsi come vuole". Così il segretario federale della Lega Nord, Umberto Bossi, ha detto oggi a Paesana (Cuneo) al comizio che ha concluso la cerimonia del prelievo dell’acqua del Po alla sorgente del Pian del Re».
Coincidenze (chiedo perdono per la prima persona). Nell’esatto istante in cui sto cominciando a scrivere, sul video appare questa notizia.
L’Ansa ha funzionato da diversivo. In realtà qui si vuole e si deve parlare di un film, un formidabile film: Gli incredibili, affidato nel 2004 da quella inesauribile fucina di idee e di storie che è la Pixar alla verve di Brad Bird. “Un cartone animato?” penserà qualcuno. Dire che Gli incredibili è un cartone, è come dire che Quarto potere è un film sui giornali. Non significa niente. Gli incredibili è una grande storia con un sottotesto molteplice e ricchissimo. Non un film per bambini che può divertire anche gli adulti, ma un film per adulti a cui portare serenamente anche i bambini. Ciascuno lo vedrà a modo suo, ricavandone soddisfazione.
Già, ma che cosa c’entrano il suicidio e la libertà di suicidarsi con Gli Incredibili? C’entrano a tal punto da imprimere una svolta decisiva alla trama. All’inizio del film Mr. Incredible, un supereroe dalla forza spropositata, salva un aspirante suicida. Sfortuna vuole che il salvataggio avvenga proprio mentre un temibile bombarolo sta scassinando una cassaforte. Lo scontro che ne segue è fragoroso. Al termine, l’aspirante suicida si salva, a costo di qualche osso ammaccato. E che cosa accade a questo punto?
L’aspirante suicida querela il supereroe. Ha un sacco di ottimi motivi per farlo. Non ha chiesto di essere salvato; Mr. Incredible ha violato la sua libertà; e gli ha procurato danni fisici.
L’ironia è palese. Se una vicenda come questa fosse stata narrata in un film “normale” con attori in carne e ossa, torme di censori avrebbero gridato alla provocazione conservatrice, magari all’ingerenza vaticana (Bird è cattolico? Protestante? Buddista? Agnostico? Libero pensatore? Boh). Ma dentro un “cartone” ci si può permettere tutto.
Colmo dell’ironia, il giudice dà ragione all’aspirante suicida e condanna il supereroe a un super risarcimento. Lo Stato si è sempre preso a carico i supereroi… ma da quel momento, essi sono travolti da una valanga di cause, fino a indurre il governo a proibirne l’attività, imponendo loro il ritiro a vita privata. Vietato salvare il mondo, se il mondo non solo non vuol essere salvato, ma ti chiede un risarcimento per esserlo stato.
Altro che innocuo “cartone”. Brad Bird in poche scene mette a nudo una delle massime contraddizioni dell’età contemporanea (e non sarà l’unica: anche per questo Gli incredibili è un capolavoro).Se la libertà individuale è valore assoluto e insindacabile, da tutelare sempre e comunque, va rispettata anche la libertà di suicidarsi. L’aspirante suicida, con perfido candore, accusa: io non avevo chiesto di essere salvato. È l’ossimoro perfetto. Se non voleva più vivere, come avrebbe potuto voler ancora vivere, almeno consapevolmente? Ironia nell’ironia, non solo l’aspirante suicida continua a vivere, godendosi il sontuoso risarcimento, ma indirettamente limiterà la libertà dei supereroi, costretti a non fare più i supereroi, ossia ad essere se stessi.
A questo punto, davvero Fini può «suicidarsi come vuole». I supereroi, emblemi del buon senso, dell’etica, della morale, della generosità e dell’altruismo hanno le mani legate. La mentalità dominante rema contro di loro. La libertà diventa un idolo a cui tutto va sacrificato, fino ad assurgere a divinità tirannica… liberticida.
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