Grande mobilitazione per riflettere sulla fine della vita e sulla fragilità
CON “LIBERI PER VIVERE”
UN’OPERAZIONE DI POPOLO
Cari Amici,
come avrete appreso dalla stampa nazionale, l’Associazione Scienza & Vita ha promosso una grande opera di coscientizzazione popolare sul tema della fragilità, ivi comprese le condizioni cosiddette “di fine vita”.
L’obiettivo è quello di offrire momenti di riflessione sulla vita, sulla malattia, sulla disabilità, sulla sofferenza e sulla morte alla luce della ragione e della fede, il che richiederà di proporre non solo contenuti informativi ma anche di dare ragioni etiche del proprio agire. Partiremo, innanzitutto, dalle parrocchie e dai gruppi ecclesiali, che si pensa di coinvolgere in incontri, dibattiti e riflessioni comunitarie anche alla ricerca di percorsi di reale sostegno ai malati e alle loro famiglie.
In questa mobilitazione, che ha visto come primo atto la redazione del Manifesto “Liberi per Vivere”, l’Associazione Scienza & Vita è affiancata dal Forum delle Associazioni familiari e da Retinopera. Al Manifesto hanno poi aderito, in calce, numerose Associazioni, Movimenti e nuove realtà ecclesiali italiane.
Nell’immediato, l’Associazione sta predisponendo i materiali per supportare questa impresa e ha già convocato un incontro con tutti i presidenti delle Associazioni locali di Scienza & Vita per avviare una serie di iniziative in tutto il territorio italiano.
Maggiori informazioni saranno presto disponibili sul sito dell’Associazione
Maria Luisa Di Pietro Bruno Dallapiccola
Prolusione del Cardinale Presidente Sua E.mza Cardinale Angelo Bagnasco
Approvato al Senato da una larga maggioranza trasversale il ddl Calabrò
LEGGE SUL FINE VITA
CONCLUSO IL PRIMO ROUND
di Ilaria Nava
Approvato ieri al Senato, con 150 voti favorevoli , 123 contrari e 3 astenuti, il ddl intitolato "Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento" passerà ora al vaglio dell’altro ramo del Parlamento.
Il voto finale di ieri è stato preceduto da un incalzante ritmo dei lavori dell’aula, scandito da un calendario che ha previsto l’esame dei numerosi emendamenti al ddl da parte di maggioranza e opposizione.
Il 16 marzo, infatti, termine ultimo per la loro presentazione prima del passaggio all’assemblea, le proposte di modifica erano circa 3.000, di cui 2.500 presentati dai Radicali. Si sono ridotte a 900 però, quelle ammesse in Aula dalla presidenza. Martedì pomeriggio sono iniziate le votazioni, con scrutinio segreto, sull’articolo 1, dedicato alla “Tutela della vita e della salute”, approvato a fine giornata con 161 voti favorevoli, 95 contrari e 30 astenuti. Accolti 6 emendamenti, tra cui 3 proposti dal Pd (due firmati dal senatore Claudio Gustavano e uno da Rutelli). Non cambia di molto la sostanza dell’articolo1, che afferma l’inviolabilità e l’indisponibilità della vita umana , l’importanza del consenso informato e la priorità dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente. Ribadito il divieto delle condotte descritte dal codice penale agli articoli 575, 579 e 580, che sanzionano l’omicidio, l’omicidio del consenziente e l’istigazione al suicidio; vietati anche i trattamenti straordinari non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente in stato di fine vita o in condizioni di morte vista come imminente.
Via libera, sempre martedì, con 148 voti a favore, 95 contrari e 18 astenuti, anche all’articolo 2 sul consenso informato, che ha accolto 11 emendamenti, di cui due dell’opposizione, proposti da Rutelli (sul coinvolgimento dei minori nelle decisioni che li riguardano) e Bianchi.
Si preannunciava molto delicata, nella giornata di ieri, la votazione sui 9 emendamenti all’articolo 3, relativo ai “contenuti e limiti della dichiarazione anticipata di trattamento”. Il testo licenziato dalla commissione prevedeva che “l’alimentazione e l’idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenza fino alla fine della vita”, richiamandosi alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006. Non possono, quindi “formare oggetto di dichiarazione anticipata”. L’articolo ha finora messo in luce le divisioni interne ai due schieramenti, soprattutto nell’opposizione dove l’opinione più diffusa era favorevole alla soppressione o alla modifica di questo comma dell’articolo 3. Non sono passati, invece, per 164 voti contrari, 105 favorevoli 9 astenuti, gli emendamenti che puntavano alla soppressione di questo comma. Soppressa invece, per accoglimento di un emendamento firmato da Fosson (Udc, Svp e Autonomie) la seconda parte del comma 5 dello stesso articolo, che prevedeva che “in assenza di dichiarazioni anticipate di trattamento sono garantite tutte le terapie finalizzate alla tutela della vita e della salute, ad eccezione esclusiva di quelle configurate come accanimento terapeutico”. Accolto l’emendamento presentato da Michele Saccomanno (Pdl), che cancella il comma 3 dell’articolo 3, che prevedeva, per il soggetto in stato di piena capacità di intendere e volere la possibilità di accettare o meno trattamenti sanitari che, che a giudizio del medico, possano essergli di giovamento e che abbiano potenziale, ma non evidente, carattere di accanimento terapeutico.
Caduto anche, con 136 voti favorevoli, 116 contrari ed 1 astenuto, il requisito della vincolatività per il medico delle dichiarazioni anticipate, che possono essere redatte in forma scritta con atto avente data certa e raccolte dal medico di medicina generale, e hanno valore per 5 anni.
Votato sempre nella seduta di ieri l’articolo 7, relativo al ruolo del medico, che, prese in considerazione le volontà espresse dal paziente, “sentito il fiduciario, annota nella cartella clinica le motivazioni per le quali ritiene di seguirle o meno”. Nell’articolo è specificato anche che “il medico non può prendere in considerazione indicazioni orientate a cagionare la morte del paziente o comunque in contrasto con le norme giuridiche o la deontologia medica”.
Tutto quello che le coppie devono sapere per scegliere
LIMITI E PROSPETTIVE
DELLA CONSULENZA GENETICA PREIMPIANTO
di Bruno Dallapiccola*
La Diagnosi Genetica Preimpianto (DGP) è un protocollo medico-diagnostico sviluppato, originariamente, come alternativa alla diagnosi prenatale (DP) tradizionale, finalizzata a verificare la trasmissione di malattie genetiche gravi ai figli di coppie fertili, che presentano un rischio riproduttivo elevato per una condizione che può essere monitorata, con sufficiente accuratezza, nell’ambito di un programma di fecondazione assistita. La DGP ha trovato, in seguito, indicazioni più ampie e, in particolare, è stata utilizzata per tentare di aumentare il tasso di successo delle tecniche di fecondazione assistita nelle coppie infertili, basato sullo screening delle aneuploidie più comuni correlate con l’età materna avanzata (screening genetico preimpianto). Tuttavia al momento non sono stati acquisiti dati idonei a dimostrarne l’efficacia (1).
I due principali protocolli di DGP sono l’analisi dei globuli polari (biopsia del primo globulo polare sugli oociti in metafase II o del primo e del secondo globulo polare sugli oociti fecondati) e la biopsia del blastomero negli embrioni allo stadio di 8 cellule. Nonostante si tratti di una tecnica relativamente recente (la prima di queste gravidanze è giunta a termine nel 1992) (2), sono nati oltre 1000 neonati da gravidanze monitorate con DGP. Oltre alle malattie cromosomiche, sono state monitorate 58 malattie mendeliane (3).
Dato che la DGP comporta una selezione degli embrioni prima dell’impianto, guidata dall’analisi genetica, essa ha importanti implicazioni tecniche, cliniche, etiche, legali e sociali. Trattandosi di una tecnica finalizzata a monitorare un rischio genetico, la Consulenza Genetica è strettamente integrata nel protocollo e, di fatto, riveste un ruolo critico nel fornire informazioni di natura procedurale e nel discutere criticamente i risultati che possono essere conseguiti, in termini di successo, di accuratezza della diagnosi e di complicazioni per la madre ed il neonato. Trattandosi di una tecnica ancora elitaria, al momento non praticabile nel nostro Paese, è necessario che ogni coppia sia messa nelle condizioni di ottenere, attraverso la Consulenza Genetica, informazioni accurate, aggiornate e scientificamente supportate, tali da consentire di maturare scelte informate.
Le tecniche di DGP, a differenza delle altre tecniche di diagnosi prenatale che, di solito, si eseguono sulle gravidanze avviate con il concepimento naturale, implicano la necessità di recuperare un elevato numero di oociti, attraverso la somministrazione alla madre di farmaci idonei ad ottenere una “superovulazione” e di effettuare un concepimento in vitro. Questi aspetti, relativi al concepimento non-naturale e alle conseguenti implicazioni, devono essere oggetto di una articolata spiegazione da parte del genetista medico e, soprattutto, dell’ostetrico e dell’equipe che metterà in atto la procedura.
Uno specifico aspetto da considerare riguarda la limitatezza del campione biologico che può essere utilizzato e perciò le difficoltà tecniche e i possibili insuccessi di laboratorio. Il numero medio di oociti prelevati ad ogni ciclo di stimolazione varia in rapporto all’età della donna; nelle pazienti di 29 anni, è mediamente 13,5 (10-17 1/2). E’ perciò necessario che ogni ciclo di stimolazione ovarica sia guidato, al fine di ottenere un numero di cellule mature idoneo al trattamento, e per non esporre la paziente al rischio di sviluppare una sindrome da iperstimolazione ovarica con una frequenza >0,2–0,5%. Questa patologia può infatti essere letale nello 0,5/10.000 trattamenti (4).
Indicazioni
La DGP é teoricamente applicabile al monitoraggio delle gravidanze a rischio per malattie mendeliane, nelle quali è noto lo specifico difetto a rischio; può essere utilizzata per la diagnosi di sesso nelle malattie legate all’X, nelle quali non è noto il difetto molecolare della malattia a rischio (ad es. alcune forme di ritardo mentale) o che presentano una elevata eterogeneità genetica (ad es. retinite pigmentosa); può essere utilizzata per monitorare le patologie cromosomiche (aneuploidie, riarrangiamenti di struttura).
Un particolare aspetto della DGP riguarda le coppie a rischio mendeliano che già hanno avuto un figlio affetto e che pianificano una futura gravidanza finalizzandola ad avere un figlio geneticamente compatibile e perciò programmato per essere un potenziale donatore per il familiare affetto da una malattia curabile con il trapianto di cellule staminali (saviour child, ad es. talassemia, anemia di Fanconi, sindrome di Wiscott-Aldrich). In questo caso, gli embrioni vengono selezionati attraverso la tipizzazione HLA. In base alla bassa frequenza di ricombinazione nella regione di interesse e al rischio di una coppia di genitori eterozigoti per una malattia autosomica recessiva, 3/4 embrioni risulteranno non-affetti e 1/4 HLA-compatibile. Tenuto conto del tasso medio di successo della DGP (22%), la probabilità per la coppia di avere un figlio non-affetto HLA-compatibile dopo un ciclo di impianto è circa 4%.
Analisi dei globuli polari
L’analisi del primo globulo polare è stata utilizzata per selezionare, nelle donne attempate, gli oociti da utilizzare nel protocollo di concepimento in vitro. L’utilità di questa selezione, ai fini del successo della gravidanza, è comunque tuttora in discussione. Si tratta peraltro di una indagine che non solleva problemi di natura etica, in quanto viene eseguita su un gamete. E’ però chiaro che questa analisi, se non è seguita dall’analisi del secondo globulo polare, ha una predittività molto limitata, a causa degli eventi di non-disgiunzione nella seconda divisione meiotica. L’analisi del secondo globulo polare si effettua sull’oocita binucleato, cioè, di fatto, sulla prima cellula dell’embrione.
La diagnosi dei globuli polari è stata utilizzata in pochi laboratori specializzati soprattutto per monitorare le gravidanze a rischio per malattie mendeliane. Nel caso della talassemia, è stato calcolato, su base teorica ed empirica, che circa il 65% dei primi globuli polari sono ricombinanti e pertanto non sono informativi; 17,5% portano la mutazione; 17,5% hanno un genotipo selvatico. Solo questi ultimi oociti possono essere utilizzati per il concepimento in vitro, con una fertilizzazione media del 70%. Pertanto, dall’inseminazione di 10 ovociti selezionati con l’analisi del primo globulo polare (7 dei quali fertilizzati) e del secondo globulo polare, solo 3,5 potrebbero svilupparsi in embrione non-affetto (4). Lo studio dei globuli polari analizza solo il contributo genetico della madre e pertanto non è utile per monitorare le malattie a trasmissione paterna. Inoltre, è soggetta ad errori da divisione prematura alla meiosi I e II o da ricombinazione, per scambi tra cromatidi fratelli, che possono non essere rilevati nemmeno con l’analisi congiunta dei due globuli polari (5). Pertanto, l’analisi dei globuli polari è tecnicamente problematica, richiede la disponibilità di un elevato numero di oociti e non risolve i problemi di natura etica, quando venga utilizzato anche il secondo globulo polare. Questo spiega, tra l’altro, la ragione per la quale l’esperienza e l’utilizzazione di questa tecnica, che di solito viene associata alla tradizionale DGP sull’embrione pluricellulare, sono ancora limitate.
Diagnosi genetica preimpianto dell’embrione
La biopsia dell’embrione allo stadio di 8 cellule consente l’acquisizione di una/due cellule totipotenti e la diagnosi delle malattie contribuite indipendentemente da uno o da entrambi i partner. Nel caso in cui venga monitorata una gravidanza a rischio per una malattia autosomica recessiva, a partire da un numero medio di 10 ovociti, 7 dei quali saranno fertilizzati, si ottengono mediamente 5,25 embrioni trasferibili, 3,5 eterozigoti e 1,75 non affetti (4).
Accuratezza
L’accuratezza di questa diagnosi è comunque ben lungi dall’essere soddisfacente, soprattutto nel monitorare le malattie cromosomiche. Secondo Munné et al (6), il 14% degli embrioni classificati aneuploidi con la DGP, se coltivati fino allo stadio di 12 giorni, si “normalizzano”, mentre il 22% presenta aneuploidie in mosaico, in accordo con l’evidenza che gli embrioni ai primi stadi dello sviluppo sono dei mosaici genetici, presentano una distribuzione casuale delle anomalie e possono andare incontro a correzione parziale o completa. Un risultato analogo è stato confermato da un recente studio israeliano (7). Tuttavia, secondo i dati raccolti dall’ESHRE (3), l’accuratezza della tecnica, sarebbe dell’ordine del 99% per la diagnosi di aneuploidie, traslocazioni e di sesso, utilizzando la FISH. Gli errori diagnostici sarebbero imputabili, in particolare, alla mancata ibridizzazione della sonda o alla sovrapposizione dei segnali.
Nel caso della diagnosi delle malattie mendeliane con la tecnica PCR l’errore è stato quantificato in circa 4%, soprattutto a causa della mancata amplificazione di un allele (allele drop out).
Nel complesso, i risultati prodotti da queste analisi retrospettive evidenziano la necessità di verificare i dati acquisiti attraverso la DGP con la diagnosi prenatale tradizionale, sul trofoblasto, attorno alla 10° settimana di amenorrea.
Successo
La DGP si basa su un protocollo lungo e complesso, di basso successo. Questo spiega perché, a fronte della sua crescente utilizzazione, i dati disponibili sono ancora relativamente limitati. I risultati della DGP, raccolti dall’ESHRE PGD Consortium (3) indicano che il successo della tecnica, in termini di nati vivi per embrione impiantato per ciclo, è circa 22%, percentuale che si abbassa al 2,6%, se si considera il numero complessivo dei neonati, rapportati al numero degli embrioni sottoposti a biopsia (Tabella 1).
Tabella 1. Risultati dell’attività della DGP in 45 Centri, anni 1998-2006 (ESHRE, 2007).
No. totale delle biopsie embrionali 19.820
No. di embrioni idonei all’impianto 6.777 (34%)
No. degli embrioni trasferiti 4.200 (61%)
No. dei casi con positività hCG 800 (20%)
No. dei parti 479 (60%)
No. di neonati 521 (2,6% degli embrioni bioptizzati)
Rischi per il neonato
Un importante aspetto della DGP riguarda il possibile rischio di difetti indotti dal protocollo utilizzato. Lo zigote acquisisce “totipotenza” attraverso modificazioni epigenetiche, compresa la manutenzione di “impronte” epigenetiche che garantiscono nella generazione successiva l’espressione mono-allelica, a seconda dell’origine parentale, di oltre 100 geni imprinted (8). I tempi delle modificazioni epigenetiche del genoma umano coincidono con quelli della DGP (ad es. formazione del secondo globulo polare dalla 2° all’8° ora successiva alla penetrazione dello spermatozoo). Recentemente è stato osservato un aumento della frequenza di alcune sindromi genetiche (sindrome di Beckwith-Wiedemann, sindrome di Angelman, sindrome di Silver-Russell) tra i nati da gravidanze avviate con concepimento in vitro. Queste sindromi sono causate da difetti molecolari in specifiche regioni genomiche ed è noto che tutti i neonati affetti, concepiti con tecniche di fecondazione in vitro, presentano difetti epigenetici (9). Uno studio ha dimostrato un aumento del rischio relativo (>12 volte) di queste malattie da alterato imprinting nelle coppie con lunga storia di infertilità (> 2 anni) e stimolazione ormonale (10).
Per quanto riguarda i difetti congeniti complessivamente considerati, i dati dell’ESHRE (3) indicano che la loro percentuale è sovrapponibile a quella della popolazione generale (3%). Tuttavia, le gravidanze monitorate con DGP, come più in generale quelle originate da fecondazione in vitro, evidenziano un aumento dei parti pretermine e un basso peso neonatale, eventi che appaiono riconducibili all’aumento del tasso di gemellarità. Sarà comunque necessario il follow-up a lungo termine di tutti i nati da DGP per valutare il loro sviluppo e confermare la sicurezza di queste tecniche. Ad esempio, uno studio recente ha evidenziato un aumento delle anomalie di impianto del cordone ombelicale e dell’arteria ombelicale unica nei gemelli dizigoti nati da fecondazione assistita, rispetto a quelli nati in seguito a concepimento naturale (11).
Prospettive
La recente ottimizzazione di alcune tecniche che consentono di amplificare l’intero genoma, a partire da quantità molto limitate di materiale biologico (whole genome amplification) offre lo spunto per valutare la loro potenziale applicazione alla DGP, attraverso la genotipizzazione di loci multipli. Queste tecniche comprendono, tra l’altro, la cosiddetta Preimplantation Genetic Haplotyping (PGH), basata sulla costruzione di mappe aplotipiche di loci-malattia, mediante l’uso di marcatori microsatelliti; la Preimplantation Comparative Genomic Hybridization (PCGH), che è in grado di rilevare, ad alta risoluzione, variazioni del numero di coppie di tutte le regioni cromosomiche; i microarrays, che consentono l’analisi mutazionale dell’intero genoma. Queste tecniche potrebbero in prospettiva essere utilizzate nella DGP delle malattie altamente eterogenee, anche se, al momento, devono essere sottolineati i loro limiti e perciò gli errori interpretativi, correlati ai possibili eventi di doppia ricombinazione nel caso della PGH, al mancato rilevamento di modificazioni della ploidia nel caso della CGH-array e ai costi elevati della tecnica, nel caso dei microarrays (12).
La biopsia delle cellule del trofectoderma della blastocisti (stadio a 300 cellule), può in teoria superare il problema della scarsità del campione biologico, ma è ancora sperimentale e non supportata dai dati clinici, in ragione della difficoltà di coltivare gli embrioni fino allo stadio di blastocisti (13).
E’ verosimile che la DGP si sposterà nei prossimi anni verso nuovi scenari e che il protocollo sviluppato per la diagnosi delle malattie mendeliane, quelle che presentano una stretta correlazione tra il genotipo e il fenotipo, potrà essere utilizzato con finalità più ampie, ad esempio per selezionare la suscettibilità genetica allo sviluppo delle malattie complesse. Nel 2006, l’autorità britannica per la fertilità e l’embriologia (HFEA) ha deciso di inserire nei protocolli di DGP alcune sindromi genetiche che conferiscono suscettibilità ai tumori (ad es. poliposi adenomatosa familiare) (14). Questa decisione presuppone che le coppie a rischio abbiano ricevuto una consulenza genetica preimpianto idonea ad illustrare e a discutere tutte le problematiche potenzialmente correlate con tale protocollo. Infatti, in queste condizioni (ad es. tumore ereditario non poliposico del colon-retto, HNPCC) la probabilità di sviluppare il tumore nella persona che ha ereditato la mutazione, è variabile in rapporto alla penetranza del gene-malattia. L’età media allo sviluppo del tumore spesso supera i 30 anni ed esistono numerosi trattamenti di prevenzione e/o di sorveglianza (15).
Il dibattito sul potenziale impiego della DGP per monitorare le malattie genetiche mitocondriali è ancora aperto (16). Si tratta di patologie a trasmissione materna, multisistemiche, croniche, a prognosi spesso infausta, per le quali non esistono terapie efficaci. Le caratteristiche peculiari dell’eredità mitocondriale, compresa l’eteroplasmia (commistione del genoma selvatico e di quello mutato) e il “collo di bottiglia” genetico durante lo sviluppo degli oociti, che causa variazioni estreme del tasso di mutazione, non permettono di stabilire correlazioni genotipo-fenotipo accurate e perciò di formulare una prognosi esatta.
Conclusioni
La consulenza genetica è critica all’interno del percorso della DGP. Le coppie che contemplano questa opzione devono essere informate e devono comprendere le implicazioni cliniche della malattia genetica presente nella loro famiglia, le opzioni disponibili per il suo controllo con la terapia e con la prevenzione. In questo ambito le possibilità e i limiti della DGP devono essere discusse comparativamente con le altre tecniche di diagnosi prenatale, fornendo informazioni sulle caratteristiche dei diversi protocolli, compresi i tempi della diagnosi; il loro successo, non solo in termini tecnici, ma anche in rapporto alla probabilità di avere un neonato in braccio; l’accuratezza della diagnosi; i rischi per la madre e per il neonato.
Bibliografia
1. Twisk M et al. Preimplantation genetic screening for abnormal number of chromosomes (aneuploidies) in in vitro fertilisation or intracytoplasmic sperm injection. Cochrane Database Syst Rev. 2006;25:CD005291.
2. Handyside et al. Birth of a normal girl after in vitro fertilization and preimplantation diagnostic testing for cystic fibrosis. N Engl J Med 1992 Sep 24;327:905-9.
3. Sermon KD et al. ESHRE PGD Consortium data collection VI: cycles from January to December 2003 with pregnancy follow-up to October 2004. Hum Reprod. 2007;22:323-36.
4. Elaborato commissione ministeriale sulle tecniche di diagnosi genetica sui gameti. Ministero della Salute, Dicembre 2004.
5. Munné S et al. Case report: chromatid exchange and predivision of chromatids as other sources of abnormal oocytes detected by preimplantation genetic diagnosis of translocations. Prenat Diagn. 1998;18:1450-8.
6. Munné S et al. Self-correction of chromosomally abnormal embryos in culture and implications for stem cell production. Fertil Steril. 2005;84:1328-34.
7. Frumkin T et al. Elucidating the origin of chromosomal aberrations in IVF embryos by preimplantation genetic analysis. Mol Cell Endocrinol. 2007 Nov 22 [Epub ahead of print].
8. Sasaki H & Matsui Y. Epigenetic events in mammalian germ-cell development: reprogramming and beyond. Nat Rev Genet. 2008:129-140.
9. Maher ER. Imprinting and assisted reproductive technology. Hum Mol Genet. 2005;14:R133-8.
10. Ludwig M et al. Increased prevalence of imprinting defects in patients with Angelman syndrome born to subfertile couples. J Med Genet. 2005;42:289-91.
11. Delbaere I et al. Umbilical cord anomalies are more frequent in twins after assisted reproduction. Hum Reprod. 2007;22:2763-7.
12. Braude P et al. Preimplantation Genetic Diagnosis. Nat Rev Genet. 2002;3:941-53.
13. Gardner DK. Development of serum-free media for the culture and transfer of human blastocysts. Hum Reprod. 1998;13 Suppl 4:218-25.
14. Human Fertilisation and Embryology Authority, 2006,
http://www.hfea.gov.uk/cps/rde/xchg/SID-3F57D79B-DA4AC4C5/hfea/hs.xsl/1124.html
15. Vasen HF et al. Guidelines for the clinical management of Lynch syndrome (hereditary non-polyposis cancer). J Med Genet. 2007;44:353-62.
16. Bredenoord AL et al. Dealing with uncertainties: ethics of prenatal diagnosis and preimplantation genetic diagnosis to prevent mitochondrial disorders. Hum Reprod Update. 2008;14:83-94.
* Presidente Associazione Scienza & Vita, Istituto CSS Mendel
Altissimo il rischio di introdurre cultura e pratiche eugenistiche
I PROFILI BIOETICI
DELLA DIAGNOSI PREIMPIANTO
di Maria Luisa Di Pietro*
La diagnosi preimpianto (DP) viene proposta – come è noto – a tutte le coppie in cui è presente il rischio di avere un figlio affetto da malattie a causa di alterazioni cromosomiche o geniche. Accanto alle ragioni “mediche”, sono state poi avanzate ragioni “sociali” come, ad esempio, la selezione degli embrioni in base al sesso (anche al di fuori dell’ipotesi di malattie legare al cromosoma X) e la selezione di embrioni a scopi “terapeutici” a beneficio di terzi. Si tratta del caso in cui la DP viene utilizzata per individuare gli embrioni HLA compatibili e, quindi, possibili “donatori” di cellule staminali. In questo contributo, analizziamo solo la DP per ragioni “mediche”, in quanto oggetto dell’attuale dibattito.
Alla ricerca di un inesistente beneficio, vi è chi ravvede nel ricorso alla DP una forma di “prevenzione” dell’aborto. L’argomentazione è la seguente: mentre l’aborto comporta l’uccisione di un feto, con la DP e la successiva selezione si prenderebbe contemporaneamente la scelta di lasciar vivere (gli embrioni sani) e di lasciare morire (gli embrioni malati) ma “non di uccidere”. Inoltre, la decisione di abortire coinvolgerebbe di più sul piano emotivo e fisico la donna, rispetto alla decisione di selezionare presa da altri.
Partendo da questi presupposti, la DP viene non solo giustificata, ma addirittura considerata un “dovere morale” per i genitori, che avrebbero l’obbligo di scegliere per il “benessere” del concepito anche mediante la selezione di quegli embrioni che hanno maggiori possibilità di una vita di qualità. E questo approccio viene proposto sia per patologie ad esordio precoce sia per patologie ad esordio tardivo (ad esempio, morbo di Alzheimer o Corea di Huntington) o per le situazioni in cui vi potrebbe essere un rischio aumentato di patologia [ad esempio, mutazione BRCA1 & 2 per il cancro della mammella e dell’ovaio o la mutazione nel gene oncosoppressore p53 nella predisposizione familiare al cancro (sindrome di Li-Fraumeni). La presenza di una patologia a comparsa tardiva comporterebbe, inoltre, che, data la sua ereditarietà, un genitore ne sarà già affetto o in procinto di ammalarsi con una scarsa aspettativa di vita e – nel caso del morbo di Alzheimer – con anni di condizioni degenerate al punto tale da non potersi occupare del figlio.
A queste posizioni, proprie di una concezione eugenistica negativa che ha stravolto oramai il significato stesso di termini come “diagnosi” e “prevenzione”, non mancano obiezioni anche da parte di chi muove da presupposti antropologici ed etici differenti. Si legga, a questo proposito, quanto scrive J. Habermas: “[…]La ricerca sugli embrioni e la diagnosi di preimpianto turbano gli animi soprattutto perché esemplificano i pericoli evocati dalla metafora di una «eugenetica selettiva» nella razza umana […] Supponiamo che l’uso sperimentale degli embrioni generalizzi una prassi per cui la tutela della vita umana prepersonale venga considerata come secondaria rispetto ad altri possibili fini (incluso l’auspicabile sviluppo di nobili «beni collettivi», per esempio nuovi metodi di cura). La diffusa accettazione di questa prassi renderebbe meno sensibile la nostra visione della natura umana e aprirebbe le porte a una genetica liberale. In ciò possiamo già ora vedere quello che in futuro ci apparirà come un fait accompli del passato, cui i fautori della genetica liberale faranno appello come un Rubicone da noi già effetti-vamente oltrepassato” (Habermas J., Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Torino: Giulio Einaudi, 2002).
Una concezione eugenistica negativa: se, infatti, la richiesta di poter avere un figlio sano è più che legittima, il metodo con cui questo si vuole raggiungere è purtroppo il risultato di aver ridotto l’essere umano da “dono atteso” a “prodotto preteso”. E, nell’ottica della produzione, il ricorso alla DP al fine di individuare e selezionare gli embrioni “malati” ne è l’inevitabile conseguenza. E a nulla rileva il fatto che questa selezione avvenga prima o dopo l’impianto. In entrambi i casi, o con un’azione omissiva (il non trasferimento in utero dopo DP) o commissiva (l’aborto volontario), si impedisce ad un essere umano di giungere a vita autonoma.
La “storia” di ogni essere umano inizia dalla fecondazione e si dipana in una continua, graduale, coordinata successioni di fasi di sviluppo nella vita prenatale e postnatale. Anche se chiamato con nome diverso – “pre-embrione”, “pre-zigote” – al fine di sminuirne il valore e quindi il diritto di tutela, nessuno potrà cancellare la sua vera realtà. Per cui se si può considerare – a prescindere dalla valutazione etica delle tecniche di fecondazione artificiale successivamente utilizzate – lecita, in quanto a fini immediati e mezzi utilizzati, la DP sul primo globulo polare della cellula uovo prima della fecondazione, lo stesso non si può dire dell’analisi sul secondo globulo polare o sulle cellule prelevate con la biopsia nelle successive fasi di divisione embrionale. Questa valutazione etica precede anche il paventato danno per le generazioni future a seguito della selezione genetica o il timore di “addomesticare” – come scrive Testart – una natura umana ancora selvaggia dal punto di vista genetico (Testart J., Il mondo verso una nuova eugenetica, Vita e Pensiero 2004, 1: 71-76). Perchè ciò che è assurda è già la sola idea che un individuo umano possa essere valutato, selezionato, lasciato morire o soppresso in base “alla sua qualità”.
* Presidente di Scienza & Vita, associato di Bioetica Università cattolica del Sacro Cuore, Roma
Atteso per martedì il giudizio sui capisaldi dell’intera normativa
LA LEGGE 40 AL VAGLIO
DELLA CORTE COSTITUZIONALE
di Ilaria Nava
Atteso per martedì prossimo il giudizio della Corte Costituzionale sulla legge 40. In discussione i capisaldi dell’intera normativa: prima di tutto la diagnosi pre impianto, dalla cui richiesta di ammissibilità discendono a pioggia una serie di modifiche anche ad altri aspetti che caratterizzano la legge e ne costituiscono la ratio, come il divieto di distruzione o crioconservazione degli embrioni, il divieto di creare più di 3 embrioni per ciclo e l’obbligo di impianto di tutti gli embrioni creati.
Con lo stesso provvedimento il Tar aveva anche annullato le linee guida della legge laddove prevedevano che l’indagine sull’embrione dovesse essere esclusivamente di tipo “osservazionale”, affermando che in realtà la legge, nel disporre il divieto di sperimentazione sugli embrioni, non limiterebbe gli interventi alla sola osservazione. Una tesi confermata dalle nuove linee guida emanate dall’allora ministro della Salute Livia Turco, e licenziate quando ormai il Governo aveva legittimazione solo per “il disbrigo di affari correnti”, con poteri limitati alla sola “ordinaria amministrazione”.
Gli altri due provvedimenti che hanno portato la legge 40 davanti alla Corte Costituzionale sono entrambi del Tribunale di Firenze: la prima è un’ordinanza dell’11 luglio 2008, che afferma che il divieto di creare più di tre embrioni e l’obbligo di impianto di quelli creati siano irragionevoli per incoerenza rispetto alle finalità della legge stessa, volta a risolvere i problemi della sterilità e infertilità. Inoltre, si ritiene che tali prescrizioni ledano il diritto alla salute della donna protetto dall’articolo 32 della Costituzione. Infine, il giudice fiorentino ha ritenuto che l’impossibilità per la coppia di revocare il consenso dopo la fecondazione dell’ovulo darebbe vita a un trattamento sanitario obbligatorio incostituzionale.
Il secondo giudice, quello che ha emesso l’altra ordinanza di rimessione alla Corte, ha in parte ripreso queste argomentazioni, aggiungendo che il divieto di creare più di tre embrioni e l’obbligo di impianto degli stessi darebbero vita a una lesione della dignità umana, protetta dall’articolo 2 della Costituzione, che sia incostituzionale la parte in cui non è consentita la crioconservazione degli embrioni per grave e documentata causa relativa allo stato di salute della donna e che il divieto di riduzione embrionaria di gravidanze plurime per violazione della dignità della donna violi i principi di eguaglianza e ragionevolezza, l’inviolabilità della libertà personale e il diritto alla salute, non adeguatamente bilanciato con la tutela dell’embrione.
Il governo italiano valorizza la logica del dono e si oppone alla privatizzazione
BIOBANCHE DEL CORDONE OMBELICALE
NO AL PROFITTO, SI’ AL SERVIZIO PUBBLICO
di Assuntina Morresi*
Quando si parla di temi eticamente sensibili il pensiero va subito alle situazioni di inizio e fine vita in relazione ai nuovi progressi scientifici: fecondazione assistita, stati vegetativi e via dicendo. Si stanno facendo però strada anche altre sfide, non direttamente legate a questioni di vita e di morte, ma non certo meno problematiche per le conseguenze nel tessuto sociale.
Una di queste riguarda quella che indichiamo come medicina rigenerativa, e cioè la possibilità di rigenerare cellule e tessuti danneggiati da malattie attualmente incurabili, sostituendole con materiale biologico sano.
Fra tante promesse, le cellule staminali che già consentono da tempo una terapia consolidata sono quelle contenute nel sangue del cordone ombelicale: sono le cosiddette cellule emopoietiche, quelle cioè da cui si possono generare le cellule del sangue. In modo del tutto analogo a quanto avviene per quelle del midollo osseo, il trapianto con le staminali da cordone ombelicale permette di curare molte malattie del sangue, come ad esempio alcuni tipi di leucemie.
Per poter utilizzare queste cellule è necessario raccoglierle, conservarle e distribuirle: c’è bisogno di “bancarle”, depositarle cioè in appositi centri di qualità certificata che rispondano a requisiti ben precisi, per poterle anche importare ed esportare da e in quei Paesi che forniscano le medesime garanzie. Tutto ciò è regolato da una direttiva europea, emanata il 31 marzo 2004 e recepita in Italia nel 2007, che riguarda cellule e tessuti in generale, e si applica anche alle staminali del cordone ombelicale.
Nel testo della direttiva si legge, fra l’altro “in via di principio, i programmi di applicazione di tessuti e cellule dovrebbero basarsi sulla filosofia della donazione volontaria e gratuita, dell’anonimato del donatore e del ricevente, dell’altruismo del donatore e della solidarietà tra donatore e ricevente. Gli Stati membri sono invitati ad adottare misure per incoraggiare un forte contributo del settore pubblico e del settore non profit alla prestazione di servizi per l’applicazione di cellule e tessuti e al relativo impegno in termini di ricerca e di sviluppo”.
In modo del tutto analogo a quanto già avviene per i trapianti di organi, insomma, si cerca di mantenere quello delle cellule e dei tessuti all’interno di strutture pubbliche, seguendo il principio della donazione volontaria e gratuita, per evitare un commercio di parti del corpo umano. Il divieto di trarre profitto dal corpo umano è codificato in diverse convenzioni internazionali, prima fra tutte quella di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina. E d’altra parte, la disponibilità totale del proprio corpo non è prevista nell’ordinamento giuridico italiano; si tratta di un laicissimo principio di tutela di ogni essere umano, a garanzia delle vere libertà individuali: nel nostro Paese non è possibile ad esempio vendere i propri organi, né sottoporsi volontariamente a schiavitù.
E’ proprio per garantire questo principio che sangue e organi per trapianto sono conservati e scambiati all’interno del servizio sanitario pubblico, ed è importante che anche la rete delle biobanche per la conservazione di cellule staminali del sangue del cordone ombelicale segua gli stessi criteri. Il tentativo di promuovere la conservazione autologa del sangue cordonale anziché allogenica – cioè conservarlo per lo stesso nascituro anziché metterlo a disposizione della comunità tutta – è il modo con cui banche private commerciali cercano di inserirsi nella rete pubblica di biobanche: il servizio pubblico italiano infatti consente la conservazione del cordone solamente quando ci sono evidenze scientifiche di applicazioni cliniche efficaci, e cioè sempre nel caso della donazione “allogenica”, e solo in casi particolari per la conservazione autologa. (Un recente documento curato dall’Associazione Scienza & Vita ne argomenta a proposito). Per conservare solo per il proprio bambino il sangue cordonale le mamme italiane possono quindi rivolgersi esclusivamente a strutture private straniere, che, peraltro, chiedono da tempo di operare anche in Italia.
Qualche settimana fa il governo ha stabilito invece che la rete di biobanche del cordone ombelicale sia all’interno del servizio pubblico, sostituendo una norma del precedente governo Prodi, che consentiva l’ingresso dei privati: è importante evitare di inserire criteri di profitto nella gestione di un sistema tanto delicato, come quello dei trapianti, anche se si tratta solamente di cellule e non di interi organi.
*Professore associato di Chimica fisica presso l’Università di Perugia
La recensione / “Aborto” di Maria Luisa Di Pietro per edizioni “Vivere In”
NOVANTA DOMANDE PER SVELARE
TUTTE LE MANIPOLAZIONI SULL’ABORTO
di Emanuela Vinai
In un periodo in cui è difficile distinguere tra verità e disinformazione, può essere utile avere a disposizione una bussola lessicale che aiuti a districarsi tra le trappole linguistiche, e non solo, che hanno provveduto a semplificare artificiosamente ciò che semplice non è.
“Aborto. Dalla manipolazione della scienza alla manipolazione delle parole” è un agile libretto ad opera della professoressa Maria Luisa Di Pietro, mandato in stampa dalle edizioni “Vivere In” nel gennaio scorso.
Si parte dall’introduzione, a cura della stessa autrice, dove si spiega brevemente come l’aborto, nel corso degli anni, sia divenuto nell’immaginario collettivo “da fatto esecrabile ad essere considerato un ‘diritto’ della donna”. Questo processo, apparentemente indolore, si è svolto attraverso un’accurata manipolazione, assimilabile ad una mistificazione, sia della scienza, negando i dati scientifici a disposizione, sia delle parole, utilizzandone il significato a seconda dell’uso e del contesto, fino a snaturarle.
Per cercare di porre un argine a questo capovolgimento culturale e antropologico, è necessario conoscere quale sia effettivamente la posta in gioco, e questo è possibile solo se si dispone di una corretta informazione che permetta il discernimento.
Il sussidio è ripartito in sette capitoli, che svolgono il tema sotto prospettive diverse: la questione semantica; le tecniche abortive; i “perché” di una richiesta; la realtà dell’embrione umano; la riflessione etica sull’aborto; la prevenzione dell’aborto spontaneo e procurato; l’accompagnamento.
Chiude la trattazione un lessico essenziale, ma esauriente e una bibliografia di base da cui partire per costruire ulteriori approfondimenti.
“Aborto” si inserisce in una collana, curata da Domenico Delle Foglie, che si propone di trattare argomenti “cannibalizzati” e interpretati a senso unico dai mass media per renderli comprensibili ed accessibili al grande pubblico grazie al contributo di esperti di ogni settore.
Già pubblicato il volume “Otto per mille”, scritto dal giornalista Umberto Folena, di prossima pubblicazione “Unioni di fatto” elaborato dal professor Venerando Marano.
“Aborto. Dalla manipolazione della scienza alla manipolazione delle parole”, Maria Luisa Di Pietro, Ed. Vivere In, Monopoli (Ba) 2009, pagg. 84, € 5,00.
Nel film di Andrew Niccol del 1997 il futuro è dietro l’angolo
GATTACA, IL SOGNO BATTE
LA DITTATURA EUGENETICA
di Umberto Folena
In chi ti riconosci? Nella persona Valida o in quella Non-valida? In chi è stato programmato geneticamente, ha una lunga aspettativa di vita, è sano, robusto e intelligente e, se i genitori sono stati premurosi, ha una predisposizione innata letteralmente per le scienze, lo sport o le arti?
Questo è il futuro, così vicino da sembrare appartenere quasi al passato, del film Gattaca, scritto e diretto nel 1997 da Andrew Niccol.
Non andiamo oltre. Chi ha visto il film ne conosce gli sviluppi. Chi non l’ha visto è giusto che possa goderselo senza conoscere troppo della trama. Gattaca acrostico delle quattro basi azotate che compongono il Dna: Guanina, Ademina, Timina e Citosina è una distopia, o utopia negativa, su una società dominata dal totalitarismo della tecnoscienza e della biopolitica. E Vincent Freeman letteralmente: Uomo Libero Vincente è il sogno e la volontà che sconfiggono il determinismo genetico. «There’s no gene for fate», il destino che tu decidi di costruirti con i tuoi sogni e la tua determinazione non è programmato geneticamente; per dirla in altri termini, io sono il mio Dna ma il mia Dna non sono io, io sono anche altro, io sono di più.
Se cercate su Internet, su siti dal chiaro orientamento ideologico troverete recensioni che negano che Gattaca sia un film sui pericoli di un mondo dominato da tecnoscienza e biopolitica. Addirittura si arriva a scrivere che nel mondo immaginato da Niccol non c’è ingegneria genetica, ma soltanto «selezione degli embrioni». Proprio quella che è negata dalla nostra legge 40… In realtà, nelle prime sequenze del film si vede perfino un pianista con sei dita, un Valido che i genitori hanno voluto grande esecutore… «selezione degli embrioni»?
È vero, non è un film contro la tecnologia né contro la scienza, per fortuna. Ma contro la loro dittatura sì, per fortuna. Dimostra come tecnoscienza e biopolitica non siano neutrali ma capaci, se non governate, di modellare la società, incidendo in profondità nei modelli di pensiero e di comportamento. Questo racconta Niccol dimostrando una dolente simpatia innanzitutto verso Jerome Eugene Eu-Gene, più chiaro di così… uomo perfetto costretto su una sedia a rotelle a sognare i sogni di Vincent. Che alla fine corona il suo sogno di amore con Irene Cassini Irene, pace; Cassini, da Gian Battista Cassini, grande astronomo del Seicento, direttore dell’Osservatorio di Parigi, scopritore di quattro satelliti di Saturno e della cosiddetta “divisione di Cassini” nei suoi anelli e riesce a partire per lo spazio grazie anche all’aiuto di altri uomini buoni e generosi. Perché la tecnocrazia non riesce a cambiare abbastanza gli uomini, né a programmarli a tal punto da estirpar loro l’anima.
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Sul palco di Sanremo un soffio di verità dal fascino surreale
“LA VITA E’ UN DONO”
LO CANTA PURE ARISA
di Daniela Delle Foglie
Antonio, Rosalba, Isabella, Sabrina, Assunta sono una famiglia come tante di quella Basilicata, silenziosa regione italiana, dimenticata dai concorrenti dei reality che a volte ne ignorano anche l’esistenza. Come in un giochino della settimana enigmistica, però, ricongiungendo le iniziali dei componenti di questa famiglia “normale”, quello che viene fuori è il nome dell’ultima pop star, dal fascino surreale, che ha conquistato il Belpaese: Arisa.
Ad occhio e soprattutto ad orecchio più attento non sfugge, invece, che tutta quella osannata stranezza non è la rivelazione di un “alieno” catapultato in un mondo dello spettacolo pieno di artisti pari a macchine umane costruite con la presunzione di vendersi come persone “normali”, anzi, è l’esatto contrario.
L’album Sincerità, opera prima di Arisa rivela, infatti, tutto l’opposto di ciò che ha innescato il ciclone festivaliero. La normalità sconcertante che sgorga dalle sue belle “canzonette” non è altro che il ritratto di una giovane Italia di cui non ci si era accorti o di cui ci si era totalmente dimenticati di parlare, forse perché non conveniva farlo.
Una generazione che a detta di Arisa “aspetta la pensione può darsi non arrivi mai, col mutuo resti sotto, allora c’è l’affitto per una vita pagherai”.
Per tutti quelli che ancora si stessero chiedendo se la nuova promessa della musica italiana ci faccia o ci sia, nel testo della canzone “Io Sono” la stessa Rosalba si svela e spiega esattamente che tipo di donna è: “Io sono una donna che crede all’amore che vuole il suo uomo soltanto per sé. Voglio essere mamma perché la mia mamma è la cosa più bella che c’è. Mi piace il Natale, domenica al mare, poi alzarsi da tavola verso le tre. Perché la famiglia a me mi meraviglia, mi piglia, vorrei farne una da me”. Coraggioso ritratto di un genere antropologico di donna che si pensava non esistesse più. E invece proprio negli angoli meno noti del Paese e tra le maglie di una generazione che studiosi e opinionisti cercano di incasellare in canoni socio-televisivi ben poco reali, si nascondono giovani italiani che non disdegnano la semplicità di una vita fatta di famiglia e digestione lenta.
Arisa, classe 1982, cresciuta probabilmente come tutti i suoi coetanei sulle note di Cristina D’Avena (la cui sigla tv “Arriva Cristina” ricorda in qualche modo la traccia sopra citata) parla col cuore in mano a chi condivide con lei lo sfortunato tempismo di affacciarsi sul mondo, con i sogni e le aspettative della sua età, proprio quando la realtà sembra aver poco da offrire. Il suo, però, è un inno alla resistenza davanti alle difficoltà, perché “la vita è un dono” come lei stessa sottolinea prima di esortare i suoi “amici” a non arrendersi: “E quindi amici non si può mollare, io continuerò a sognare una casa che… che abbia un balconcino con le piante e un angolo cottura bello grande”.
Ritratto di un “Italian dream” col retrogusto di quella cultura pop vintage dello “scavolinismo” e degli scenari da “mulino bianco”.
Ma ora che è lei la più amata dagli italiani, le sue parole non saranno cantate al vento, ma saranno prese al volo da quella fascia di “adulti da poco” che ha trovato qualcuno in grado di raccontarli. E il successo di Arisa non è la dimostrazione di quanto sia forse meglio che si lasci a loro stessi il compito di capirsi, raccontarsi, definirsi?
“Pensa così” dice Arisa nella proto-favola di Esopo al centro della canzone che porta quell’imperativo come titolo, solo che a lei non sfugge il buon senso di non prendersi troppo sul serio, soprattutto quando dà un semplice consiglio a chi non è nulla di diverso da lei stessa: “Ognuno ha qualcosa dentro di sé e basta cercarla, vedere di trovarla, capire dov’è. Ognuno ha un talento e ce l’hai anche tu, anche se per ora le tue insicurezze sfamano e accrescono le tristezze di questa vita, che non ti vuole tanto domani c’è sempre il sole, pensa così. Fai solamente quello che credi non ascoltare se non ti fidi, nemmeno a me, che non sono certo niente di diverso rispetto anche a te”.
Nella canzone “Piccola Rosa”, inno all’amore e alla vita, la giovane cantante intona una poesia al femminile in musica: “Piccola rosa diverrai sposa e quando il tempo lo vorrà, dalla mia rosa dolce e odorosa un altro fiore nascerà”.
In conclusione quello che Arisa racconta nel suo album non è altro che la sua “strana verità”, che tanto strana non è, perché quello che diverso appare in un mondo noiosamente omologato non è strano, è semplicemente vero, come la sensibilità di chi concepisce “la felicità solo come eternità”.
E quando sul palco, persino di Sanremo, fa il suo ingresso incerto una verità, seppure strana, finisce per conquistare tutti.
Paola Ricci Sindoni e Paolo Marchionni: perché “Educare alla vita”
LA CENTRALITA’ DELL’EDUCAZIONE
NEL QUINTO QUADERNO DI S&V
di Beatrice Rosati
"Educare alla Vita" è questa la riflessione lanciata dal Quaderno di Scienza & Vita. La centralità delle questioni legate all’educazione è sotto gli occhi di tutti ed approfondirne gli aspetti fondamentali è una priorità.
Il tema dell’educazione invoca e si coniuga con i temi della responsabilità e delle relazioni più complesse fra le generazioni, ed è proprio questo il cardine da cui derivano le difficoltà nella quali si imbatte oggi la riflessione culturale e scientifica intorno al valore della vita e a cui questo quaderno vuole dare una risposta in chiave educativa e nella prospettiva della formazione dei giovani.
“Da qualche tempo oramai – ribadiscono i direttori – il tema dell’educazione e delle sue difficili emergenze è entrato nell’agenda di lavoro delle maggiori istituzioni nazionali, sia politiche sia sociali. Anche l’associazione Scienza & Vita con questo Quaderno, intende interagire con il dibattito in corso, offrendo il suo contributo di idee progettuali e di esperienze operative " .
Questo quinto Quaderno si articola in quattro grandi aree: la prima – attraverso i saggi di Francesco D’Agostino, Luigi Alici, Adriano Bompiani e di Maria Luisa Di Pietro – prende in esame il tema a partire dalla narrazione della vita, passando attraverso l’educazione alle relazioni e ai legami, per finire con l’educazione alla scienza e la formazione al sentire morale.
La seconda area propone il confronto tra la prospettiva laica di Pietro Barcellona di come educare alla vita e la prospettiva credente di Marina Corradi.
La terza area mette a confronto alcune prospettive esistenziali, come quella di Paola Pellicanò sull’educare all’accoglienza della vita, di Paolo Gomarasca sull’educare al mondo degli affetti, di MariaGrazia De Marinis sull’educare alla sofferenza.
Raccoglie infine le fila di questa sezione il saggio di Edo Patriarca che sottolinea quanto il difficile atto educativo non possa svolgersi che all’interno di una dimensione relazionale che va dalla famiglia sino alle associazioni di volontariato.
Il quaderno si chiude con una nuova rubrica dei Quaderni di Scienza & Vita, quella dei "Percorsi tematici" di Paola Dalla Torre per il cinema, di Giovanna Costanzo per la letteratura e di Aanna Delle Foglie per l’arte figurativa. Di fronte all’emergenza educativa l’augurio infine non è solo quello di una buona lettura ma anche di farsi portavoce di queste tematiche in ambito familiare, amicale e associativo.
Per scaricare il PDF del Quaderno n. 5 clicca qui. Per ogni informazione relativa al quaderno si può consultare il sito dell’Associazione Scienza & Vita: www.scienzaevita.org , oppure inviare una e-mail all’indirizzo: quaderni@scienzaevita.org
Appuntamenti
I PROSSIMI INCONTRI
DELLE NOSTRE ASSOCIAZIONI
Vi proponiamo gli appuntamenti che ci sono stati segnalati dalle associazioni locali e dagli amici di Scienza & Vita
Vi ricordiamo che gli eventi sono consultabili al link https://www.scienzaevita.org/appuntamenti.php
21 Aprile 2009
Bioetica del dolore
Fano (Pu) Centro pastorale, via Roma 118
06 Aprile 2009
Testamento biologico: riflessioni giuridiche ed etiche
Barrafranca Liceo Scientifico, Via Pio La Torre
04 Aprile 2009
Obiezione di coscienza.
Cosenza sala consiliare del Comune
04 Aprile 2009
Il testamento biologico: quale legge?
Abbazia di Casamari (Fr) Sala del granaretto
28 Marzo 2009
Cena di Beneficenza 2009
Roma Parrocchia Santa Francesca Romana all’Ardeatino, via Capucci 15
28 Marzo 2009
Disabilità Psichica e Malattia Psichiatrica: la speranza possibile
Ravenna Sala D’Attorre di Casa Melandri
28 Marzo 2009
DISABILITA’ PSICHICA E MALATTIA PSICHIATRICA: la speranza possibile
Ravenna Sala D’Attorre di Casa Melandri – Via Ponte Marino, 2