Dar da bere agli assetati Maurizio Calipari

facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

L’esperienza del Giubileo straordinario della Misericordia continua a coinvolgere ogni giorno migliaia di credenti, in tutto il mondo. E tra i possibili mezzi – suggeriti direttamente da Papa Francesco – a cui ricorrere per vivere in modo più autentico e fruttuoso lo spirito di questo Evento, facendo esperienza concreta del dono reciproco della misericordia, vi è la riscoperta e messa in pratica delle tradizionali “opere di misericordia”, tanto quelle spirituali quanto quelle corporali. Tra queste ultime, il compito di “dar da bere agli assetati”. Ma è ancora possibile, oggi, considerare questo gesto come espressione significativa di misericordia e condivisione umana? Nel nostro contesto contemporaneo, può rappresentare ancora un impegno etico qualificante, ben oltre uno sbrigativo segno di carità spicciola?
Ecco che, subito, verrebbe voglia di portarci su un piano differente, più elevato, traducendo per analogia quest’opera di misericordia a livello spirituale. In questa prospettiva, “la sete” da placare sarebbe allora quella conseguente all’aridità dell’anima, alla povertà della vita interiore che affligge ciascuno di noi, in tanti frangenti della vita. Anche questo un impegno misericordioso, sicuramente importante e necessario.
Ma paradossalmente – e non senza un certo senso di vergogna -, dobbiamo purtroppo rimanere con i piedi per terra e riconsiderare il valore del “dar da bere agli assetati” nel suo senso più concreto e materiale. Ora più che in passato, infatti, i freddi dati statistici dipingono un’impietosa situazione di ingiustizia sociale a livello planetario, proprio a causa del… “non dare da bere agli assetati”!
Ad un miliardo e 800 milioni di persone nel mondo, infatti, è ancora negato l’accesso all’acqua potabile: il controllo e la distribuzione delle risorse idriche stanno alimentando nuovi conflitti tra Nord e Sud del mondo. Mentre, complessivamente, il 20% più ricco della popolazione mondiale, ovviamente concentrato nei paesi industrializzati, consuma ben il 58% dell’acqua disponibile. Il problema continua a rivestire proporzioni drammatiche soprattutto in alcune regioni dell’Africa e dell’Asia. Per esempio ad Addis Abeba, in Etiopia, o a Ukunda, in Kenya, dove i poveri spendono circa il 9% del loro reddito per l’acqua; oppure a Onitsha, in Nigeria, dove si arriva al 18%! In altre zone, come Karachi, Port au Prince, o Jakarta, l’acquedotto pubblico ancora non arriva, con la conseguenza per la popolazione – per lo segnata dalla povertà – di dover acquistare l’acqua trasportata dalle autobotti, con un costo 25-30 volte superiore a quello dell’acqua di rete.
Un gravissimo problema, dunque, che rischia di compromettere un futuro di pace e di sviluppo, essendo di tutta evidenza come la possibilità di accedere ad una sicura, pulita e sufficiente fonte di acqua dolce sia un requisito fondamentale per la sopravvivenza, il benessere e lo sviluppo socio-economico di tutta l’umanità.
Ma c’è di più. La riserva idrica è in drammatico calo per la crescita dei consumi, che nell’ultimo secolo sono decuplicati a causa dell’aumentata pressione demografica, dell’agricoltura intensiva, dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione. Basti pensare che, in 50 anni, la disponibilità d’acqua è diminuita di tre quarti in Africa e di due terzi in Asia.
E per il futuro? Per ora, nulla di promettente. Almeno secondo il parere di un gruppo internazionale di oltre 900 esperti del settore, che prevede entro il 2050 una seria crisi globale, a causa dell’aumento planetario della domanda di acqua, dovuto al crescente bisogno di essa da parte dell’industria manifatturiera, dei processi di generazione dell’elettricità e dell’uso domestico.
L’acqua, sul nostro pianeta, è un bene di tutti, una risorsa della natura per il bene comune. Eppure ne abbiamo fatto strumento di discriminazione e sfruttamento fra uomo e uomo, fra popolo e popolo. “Dar da bere agli assetati”, allora, più che un gesto di misericordia, si impone oggi come opera urgenza di giustizia! Una decisione che spetta anzitutto alla politica e ai potenti della terra, ma che – nel proprio piccolo raggio d’azione – ciascuno di noi può contribuire a realizzare, magari cominciando a curare, con maggiore impegno e responsabilità, un uso corretto e parsimonioso dell’acqua, nel proprio vivere quotidiano, evitando sprechi e superficialità. Anche questo può esser un modo reale per impegnarsi a “dar da bere agli assetati” che, ancora oggi, sono tanti, troppi!

Maurizio Calipari

Bioeticista, Ufficio stampa nazionale S&V

image_pdf
facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail
Pubblicato in Newsletter