LA VITA E LA DOTTRINA SOCIALE DIRITTI E DOVERI NELLA STAGIONE DEL RELATIVISMO

Dal 09/11/2012
al 09/11/2012
Dalle 17:00
alle 19:45
Città Firenze
Luogo presso l' Oratorio San Filippo Neri, via dell'Anguillara, 25.
Relatori Prof. Stefano Fontana Direttore Osservatorio Internazionale Card. Van Thuân sulla Dottrina Sociale della Chiesa Mons. Giovanni Momigli Direttore Ufficio Pastorale Sociale Arcidiocesi di Firenze Prof.ssa Assuntina Morresi Docente Università di Perugia - membro Comitato Nazionale di Bioetica Coordina l’incontro: Dott. Marcello Masotti Presidente di Scienza & Vita Firenze
Collaborazione Ass. Med. Catt.ci Fi–Circ. Liberi-Magna C. Fi–MO.I.CA Fi–Mov. Crist.no Lav.tori Fi–Mov. per la Vita Fi–Unione Giur. Catt. Fi
Telefono 0552399194
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LA VITA E LA DOTTRINA SOCIALE-DIRITTI E DOVERI NELLA STAGIONE DEL RELATIVISMO C’è stata una stagione in cui era naturale per cattolici e laici parlare di “doveri”. Oltre alla morale cattolica, c’era l’influenza del pensiero kantiano, un’ “etica formale del dovere e dell’intenzione”, l’idea che una volontà buona si basa su una rappresentazione del dovere. Così il laico Giuseppe Mazzini e il cattolico Silvio Pellico scrivevano sul tema “Dei doveri dell’uomo”, nella convinzione che prima di parlare di diritti occorre ben determinare i doveri degli uomini, insiti nella stessa dignità della natura umana e ad essi assoggettarci. Dopo “gli atti di barbarie che avevano offeso la coscienza dell’umanità” compiuti delle dittature del 900, la Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo dell’Assemblea dell‘Onu, approvata nel 1948, sancì la salvaguardia dei principi di giustizia e libertà che gli stati sono tenuti a garantire: in primis il “diritto alla vita”, poi quello alla sicurezza della propria persona e al lavoro, alla libertà di pensiero, di coscienza, di religione, di fondare una famiglia. Successivamente, nel 1950, il Consiglio d’Europa approvò la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali ribadendo tali principi e prevedendo anche per assicurare il rispetto degli impegni una “Commissione Europea” e una “Corte dei diritti dell’uomo”. Paolo VI, in visita all’ONU, affermò che la Dichiarazione costituisce “quanto di più alto ha saputo produrre la saggezza umana”. Il 68 e la rivoluzione libertaria che si è realizzata in quegli anni nel mondo occidentale ha profondamente modificato tutto il modo di pensare ed il costume del periodo successivo ed oggi, dopo qualche decennio se ne possono cogliere tutte le conseguenze. Per reagire ai tabù e ai vincoli della tradizione si è proclamato il “è proibito proibire”, aprendo la strada ad un relativismo che tutto livella ed uniforma sanzionando “l’indifferenza alle differenze”. Contemporaneamente è avanzato il processo di secolarizzazione che escludendo Dio e predicando l’autodeterminazione, ha tolto ulteriormente limiti alla responsabilità dell’uomo, dandogli l’idea di poter fare tutto e accentuandone l’individualismo; sul piano giuridico è avanzato un positivismo giuridico che considera le leggi prodotto formale di una maggioranza svincolandole da ogni riferimento ad un concetto oggettivo di bene e di natura. Sui diritti e sulla loro involuzione senza un ancoraggio alla legge naturale sono significative le parole di Benedetto XVI all’ONU nel 60°della Dichiarazione : “I diritti umani sono sempre più presentati come linguaggio comune e sostrato etico delle relazioni internazionali. Allo stesso tempo, l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti umani servono tutte quali garanzie per la salvaguardia della dignità umana. È evidente, tuttavia, che i diritti riconosciuti e delineati nella Dichiarazione si applicano ad ognuno in virtù della comune origine della persona, la quale rimane il punto più alto del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia. Tali diritti sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti”. Fino ad alcuni decenni orsono il “diritto alla vita” figurava indiscusso al primo posto nella cultura, nel diritto come nella comune mentalità della gente; ora, invece, si vogliono affermare i cosiddetti “nuovi diritti”: di aborto, matrimonio omosessuale, eutanasia e il “diritto alla vita” non riveste più una dimensione assoluta, ontologica, ma subisce una sorta di slittamento e diventa una specie di diritto “condizionato”. Alla vita si aggiunge un aggettivo: “degna” che la relativizza e la lega alla cosiddetta qualità della vita. Sembra quasi che cessi la centralità dell’essere umano, la sua”eccedenza”, e, in un mondo schizzofrenico, che l’assolutezza si trasferisca dalla vita dell’uomo a quella degli animali. Si fa l’appello per la tutela degli uccellini, ma si assiste nell’indifferenza totale al massacro degli aborti umani. La nuova cultura trova spazi non solo nella politica e negli organismi internazionali, dell’Onu e della Comunità europea, ma anche nella magistratura come dimostrano le sentenze delle Corti europee ma anche quelle della nostra Corte di Cassazione, ultima quella sul risarcimento concesso a un bambino down che sancisce una sorta di “diritto a non nascere”. Siamo in una epoca in cui non siamo più attrezzati di fronte alle sofferenze e davanti alle quali si afferma che la dignità sta non nel vivere ma nel morire, proclamando la soluzione dell’eutanasia. Non si ritengono accettabili menomazioni e disuguaglianze fisiche e si arriva anche a teorizzare un razzismo verticale, operando la più assoluta discriminazione tra chi deve nascere e chi no e attuando una reale selezione genetica in contrasto non solo con le “pari opportunità” di cui all’art 3 della Costituzione ma in contraddizione anche con lo stesso postulato posto a fondamento della democrazia che vuole che tutti siano considerati uguali. Non si tollera più neppure l’ “obiezione di coscienza” non sopportando una testimonianza controcorrente in nome di un valore alto, né è gradito chi impegnato per la vita proponga alternative all’aborto o una fecondazione artificiale che almeno escluda la selezione genetica e il massacro degli embrioni. Benedetto XVI ha scritto nella Caritas in Veritate che “l’apertura alla vita è al centro dello sviluppo”e in Libano ha detto che “l’efficacia dell’impegno per la pace dipende dalla concezione che il mondo può avere della vita umana”. La Chiesa Cattolica, colla sua Dottrina Sociale, continua a parlare della “Vita”anche in un mondo ostile; non può cessare di farlo non solo perché è il primo dei diritti, senza il quale gli altri si annullano, ma anche perché, come è stato scritto “il rispetto della vita pone inequivocabilmente le società davanti all’indisponibile e quindi funge da matrice fondante una cultura dei doveri”. Marcello Masotti Presidente Scienza &Vita Firenze

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