S&V | SUICIDIO ASSISTITO E PRINCIPIO DI AUTONOMIA GLI APPROFONDIMENTI DI SCIENZA & VITA | DI FRANCESCA PIERGENTILI

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Un recente articolo pubblicato su Journal of Medical Ethics, dal titolo “An autonomy-based approach to assisted suicide: a way to avoid the expressivist objection against assisted dying laws”, tenta di giustificare dal punto di vista etico la richiesta di suicidio assistito in base al principio di autonomia. L’autore, nel ricostruire il tema, riporta tra gli argomenti giustificativi della richiesta di morte due principi: quello dell’autonomia e quello della beneficenza.

In base al primo principio, si sostiene che il suicidio assistito sarebbe ammissibile dal momento che garantirebbe la scelta autonoma e libera del paziente in merito alla propria morte. In riferimento, invece, al principio di beneficenza si afferma che il suicidio assistito garantirebbe il migliore interesse del paziente, dal momento che segnerebbe la fine delle sofferenze legate alla malattia.
I sostenitori della legalizzazione della cd. “morte volontaria medicalmente assistita” giustificano in tal modo la richiesta di porre fine alla vita in tutte quelle ipotesi in cui il malato si trova a vivere profonde sofferenze legate a una malattia irreversibile: in questo caso si considerano rispettati i due principi richiamati.
Tale condizione di sofferenza insopportabile causata da una malattia o da fenomeni degenerativi irreversibili consente l’accesso al suicidio assistito in molti ordinamenti: è il caso dei Paesi Bassi, del Belgio, del Canada. Nei Paesi Bassi, ad esempio, è possibile richiedere il suicidio assistito in presenza di una sofferenza insopportabile causata da una condizione medica irreversibile, senza prospettive di miglioramento e senza alternative ragionevoli: è una valutazione medica a stabilire la gravità della sofferenza del paziente e se non siano disponibili altre opzioni praticabili per curare il paziente. I soggetti richiedenti che non rientrano in tale condizione sono esclusi dalla procedura. Tale valutazione medica sulla sofferenza viene considerata – come si legge nell’articolo – una sorta dei condizione in grado di garantire che la morte assistita non sia a disposizione di tutti i possibili richiedenti (anche di chi sia “solamente stanco della vita”).

Per l’autore dell’articolo citato, la giustificazione del suicidio assistito in base al principio della beneficienza andrebbe incontro a un limite implicito: sarebbe, cioè, presupposto un giudizio negativo sulla vita umana che vive una condizione di fragilità. La vita, in altre parole, in certe condizioni potrebbe essere considerata come una vita non più degna di essere vissuta.
Tale obiezione (expressivist objection) – secondo la quale il consentire la morte assistita ad un determinato gruppo di persone (ad es. coloro che soffrono di una malattia irreversibile) esprimerebbe un giudizio negativo sulla loro vita – potrebbe essere superata, per l’autore dell’articolo pubblicato su Journal of Medical Ethics, in base proprio al principio di autonomia.
È così riportato il caso della giurisprudenza costituzionale della Corte federale tedesca e, in particolare, la sentenza del 26 febbraio 2020 che ha dichiarato incostituzionale la norma che puniva l’assistenza al suicidio in Germania in virtù del diritto all’autodeterminazione in merito alla propria morte. La sentenza della Corte tedesca ha affermato che il diritto di porre fine alla propria vita con l’assistenza di terzi è espressione di un diritto costituzionale: garantirebbe, infatti, la libertà personale e l’autodeterminazione individuale. Non vi sarebbero pertanto limiti oggettivi all’accesso alla procedura: l’accesso al suicidio assistito non potrebbe essere limitato a determinate condizioni mediche. La sentenza suggerisce, poi, alcune restrizioni all’accesso al suicidio assistito a garanzia dell’autonomia della scelta (come il rispetto del consenso informato) ma non condizioni sullo stato della malattia o ancorate a dati oggettivi.
Tale approccio basato sull’autonomia sarebbe, come si legge nell’articolo, in grado di evitare l’obiezione sul giudizio negativo implicito sul valore della vita nella fragilità e nella sofferenza. Il suicidio assistito sarebbe espressione della libertà personale della persona: un azione autonoma anziché una procedura medica.
L’articolo segue per molti versi il ragionamento sostenuto in Italia dai promotori del referendum di abrogazione parziale dell’art. 579 c.p. – dichiarato pochi mesi fa inammissibile dalla Corte costituzionale italiana – e si presta a molteplici evidenti punti critici.
Prima di tutto il considerare la valutazione medica sulla sofferenza insopportabile come condizione oggettiva all’accesso al suicidio assistito è già elemento di per sé molto controverso: la sofferenza, infatti, anche rispetto al dolore fisico, si presta difficilmente a una valutazione oggettiva, essendo ancorata alla percezione e alla soggettività della persona.
Mentre si apprezza l’obiezione al principio di beneficienza per giustificare eticamente il suicidio assistito, considerato un rimedio per porre fine alla sofferenza – essendo in tal caso evidente il giudizio implicito che la vita, a determinate condizioni, può non essere protetta – è, tuttavia, parimenti criticabile l’applicazione del principio di autonomia. Se, infatti, certamente si riconosce il valore dell’autodeterminazione personale, è anche vero che è molto rischioso considerare l’autodeterminazione quale unico parametro di scelta, in grado di prevalere su tutti gli altri diritti fondamentali.
Sul piano fattuale, poi, sarebbe da verificare se l’autodeterminazione del soggetto sofferente a causa di una malattia irreversibile sia poi così “libera”. Anche solo l’applicazione del principio di precauzione, per la delicatezza dei valori in gioco, imporrebbe una maggior cautela: lo stato di bisogno e di sofferenza insopportabile e la complessità della situazione che si trova a vivere il malato e la sua famiglia possono in qualche modo influire sulla libertà di scelta.
Si ricorda, a tal proposito, quanto statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 50 del 2022 sull’inammissibilità del referendum abrogativo: «non può non essere ribadito il «cardinale rilievo del valore della vita», il quale, se non può tradursi in un dovere di vivere a tutti i costi, neppure consente una disciplina delle scelte di fine vita che, “in nome di una concezione astratta dell’autonomia individuale”, ignori “le condizioni concrete di disagio o di abbandono nelle quali, spesso, simili decisioni vengono concepite” (ordinanza n. 207 del 2018).

Quando viene in rilievo il bene della vita umana, dunque, la libertà di autodeterminazione non può mai prevalere incondizionatamente sulle ragioni di tutela del medesimo bene, risultando, al contrario, sempre costituzionalmente necessario un bilanciamento che assicuri una sua tutela minima».
Anche la mancata erogazione di cure concrete, prime fra tutte quelle palliative, potrebbe non rendere così autonoma la scelta. Come ha affermato la Corte costituzionale nella nota sentenza n. 242 del 2019, si deve sottolineare l’esigenza di adottare opportune cautele. Il coinvolgimento in un percorso di cure palliative, ad esempio, dovrebbe costituire un pre-requisito anche a garanzia della libertà di scelta: «un pre-requisito della scelta, in seguito, di qualsiasi percorso alternativo da parte del paziente»…«l’accesso alle cure palliative, ove idonee a eliminare la sofferenza, spesso si presta, infatti, a rimuovere le cause della volontà del paziente di congedarsi dalla vita».
Si ricordano in conclusione le parole di Vezio Crisafulli che affermava, in un memorabile articolo, che “le apparenze possono sembrare ingannevoli e un incontrollato tripudio di libertà può segnarne invece a breve scadenza il tramonto”, poiché “di libertà si può anche morire, quando si siano superati certi limiti oltre i quali essa si snatura”.

1)Braun E. An autonomy-based approach to assisted suicide: a way to avoid the expressivist objection against assisted dying laws, Journal of Medical Ethics Published Online First: 07 September 2022

2) Corte cost. Sent. 50 del 2022

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