S&V | DIRETTIVE ANTICIPATE, EUTANASIA E DEMENZA: IL CASO OLANDESE EMBLEMATICO DELLA CULTURA DELLO SCARTO E DELLA FRAGILITA’ UMANA | GLI APPROFONDIMENTI DI S&V | DI FRANCESCA PIERGENTILI

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Un recente articolo del Hastings Center Report – “On the Authority of Advance Euthanasia Directives for People with Severe Dementia: Reflections on a Dutch Case” analizza il problema della legittimità delle direttive anticipate riguardanti l’eutanasia del paziente affetto da demenza grave, prendendo spunto da un caso di eutanasia praticata in Olanda.

Nel 2016, infatti, la dottoressa Marinou Arends ha posto fine alla vita di una donna olandese di 74 anni affetta da demenza senile contro il suo volere. Alla signora era stato diagnosticata nel 2012 l’Alzheimer e, a seguito di tale diagnosi, aveva redatto una disposizione anticipata di trattamento, chiedendo l’eutanasia in caso di ricovero in una casa di cura, specificando che venisse praticata su richiesta nel pieno delle facoltà. La signora aveva, inoltre, nominato suo marito e sua figlia come fiduciari, incaricati di realizzare la sua volontà se non fosse stata più in grado di farlo da sola.

Pochi anni dopo, nel 2015, la signora aveva modificato le sue direttive anticipate, richiedendo l’eutanasia per il momento che la stessa avrebbe ritenuto giusto. In quel periodo la Royal Dutch Medical Association richiedeva, infatti, ancora che la paziente confermasse il suo desiderio di eutanasia prima della somministrazione dei farmaci.

Dal 2016 la signora venne ricoverata in una casa di cura contro la sua volontà. Il medico a lei dedicato, la dott.ssa Arends, dopo aver osservato per un mese nella casa di cura la paziente, decise di avviare la procedura per l’eutanasia, consultando due medici indipendenti (uno dei quali psichiatra), il responsabile della casa di cura, l’équipe di cura e la famiglia. Tutti i soggetti coinvolti hanno ritenuto che la signora stesse soffrendo in modo insopportabile.

Proprio nello stesso periodo la Royal Dutch Medical Association pubblicava delle nuove linee guida, di contenuto opposto alle precedenti: veniva infatti previsto con i nuovi indirizzi che  il paziente affetto da forme di demenza in fase avanzata con sofferenza insopportabile, causata anche dai disturbi somatici (come dolore, ansia, aggressività o agitazione), poteva richiedere l’eutanasia  anche senza la conferma della richiesta di morte, essendo necessaria (e sufficiente)  una richiesta scritta in precedenza dal paziente.

Pertanto, anche se per tre volte, a specifica domanda del medico, la donna rispose di non volere l’eutanasia, le sue risposte non furono considerate coerenti con quanto scritto nelle direttive anticipate: il medico valutò la donna non capace di comprendere la sua situazione attuale e la mattina del 22 aprile 2016, venne praticata l’eutanasia alla presenza del marito, della figlia e del genero.

Il caso ha suscitato un acceso dibattito nei Paesi Bassi – e non solo – poiché la signora non aveva confermato la sua richiesta di morte, scritta attraverso le direttive anticipate. Il medico venne assolto dal Tribunale dell’Aia; tale decisione fu anche confermata, nell’aprile 2020, dalla Corte Suprema olandese a cui il giudice aveva rinviato il caso «nell’interesse della legge»: secondo la Corte Suprema «l’eutanasia si può attuare anche quando il paziente è incapace di esprimere la sua volontà a causa di una demenza avanzata». In tal caso il medico può dare seguito alla richiesta scritta di porre fine alla vita.

L’articolo del Hastings Center Report, è tornato a analizzare il caso olandese, per valutare la legittimità delle direttive anticipate in caso di demenza grave del paziente, evidenziando, in particolare, tre principali problemi filosofici connessi alla validità delle direttive anticipate: il problema “dell’altro”, il problema del cambiamento della risposta e il problema dell’autorità normativa. Nello specifico, si chiede se la persona affetta da demenza può essere considerata la stessa persona che ha redatto una direttiva anticipata prima della malattia. Si chiede, inoltre, se la persona può prevedere come in futuro sarà la sua vita con la malattia: può la persona decidere in precedenza sulla sua vita e sulla sua morte, considerando che al momento dell’applicazione di quella decisione la sua volontà potrebbe essere contraria?

Nel rispondere alle domande, l’autore ricorda come nel caso olandese la signora non era più in grado di riconoscersi allo specchio e non era considerata più responsabile delle sue azioni e reazioni. La signora, anche se molto cambiata, era però la stessa persona dal momento che “the best criterion for numerical identity for humans is biological, not psychological”.

Il vero problema rimane quello del valore da attribuire alle dichiarazioni anticipate in caso di conflitto con la volontà attuale della persona affetta da demenza: i medici dovrebbero seguire la direttiva o considerare invece autorevoli i desideri e gli interessi dell’individuo anche se ormai non pienamente autonomo e competente?

Nell’articolo è ricordato il caso olandese per rispondere all’interrogativo, dal momento che esso mostra la caduta del “mito” dell’autodeterminazione e della morte dignitosa attraverso l’eutanasia. Non è, infatti, una violazione dell’autonomia della persona non portare a compimento la richiesta di eutanasia: i pazienti, infatti, non hanno il diritto di essere uccisi ma di ricevere cure adeguate.

Se la morte fosse un diritto, i medici avrebbero il dovere di uccidere: un dovere che, come sottolineato nell’articolo, nessun paese al mondo può imporre ai medici.

Trattare, invece, la persona contro la sua volontà, in particolare sulle scelte sulla vita e sulla morte, è invece sempre una violazione dell’autonomia, anche nella malattia, e per questo è definita “una forma di tirannia”.

Il caso riportato mostra, pertanto, come le direttive anticipate sulla richiesta di eutanasia possono solo apparentemente sembrare una manifestazione di libertà della persona, ma, in realtà, sono espressione soltanto di una cultura dello scarto della fragilità umana e di una falsa compassione di fronte alla malattia. Non esiste, infatti, un diritto a disporre arbitrariamente della propria vita.

Il medico non è, pertanto, chiamato a farsi tutore esecutivo di un presunto diritto contro la vita, ma è invece chiamato ad accompagnare il paziente nella malattia con coscienza e umanità, specialmente nelle situazioni più gravi.

 

Wijsbek, Henri and Nys, Thomas, “ On the Authority of Advance Euthanasia Directives for People with Severe Dementia: Reflections on a Dutch Case,” Hastings Center Report 52, no. 5 (2022)

de Boer, M.E., Dröes, R.-M., Jonker, C., Eefsting, J.A. and Hertogh, C.M. (2011), Advance Directives for Euthanasia in Dementia: How Do They Affect Resident Care in Dutch Nursing Homes? Experiences of Physicians and Relatives. Journal of the American Geriatrics Society

 

 

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