AVVENIRE | 12 giugno 2025

Scienza & Vita | Vent’anni fa il referendum sulla Legge 40: cosa abbiamo imparato?

di Paola Binetti | La consultazione del 12 e 13 giugno 2005 vide fallire il tentativo di cancellare le regole sulla procreazione assistita varate un anno prima. Anche grazie alla mobilitazione unitaria dei cattolici

Il 12 giugno 2005 – vent’anni fa – gli italiani venivano chiamati a esprimersi sulla legge 40 che, da poco più di un anno, aveva steso una rete di principi, norme e sanzioni nel terreno prima del tutto privo di regole della fecondazione assistita. A votare si recò poco più di un quarto degli elettori, un dato nettamente inferiore alla partecipazione a ogni altro referendum. Il segno del pieno successo della campagna per il “non voto” consapevole e informato promossa dall’associazionismo cattolico, per mettere in salvo una legge che cattolica di certo non era ma che conteneva alcuni principi elementari di salvaguardia della vita umana.

Non andare al voto non fu un segno di disinteresse o indifferenza: al contrario, fu l’esito di un’opera informativa vastissima, che coinvolse la base del mondo cattolico, dalle parrocchie alle sigle del laicato impegnato nel sociale, in una prova di unità e condivisione che è rimasta come un punto di riferimento.

Tornare alle motivazioni e al clima di quella stagione serve a capire meglio anche il presente, con sfide che sul fronte della bioetica si sono nel frattempo assai estese. Per il rilievo dei temi che vent’anni fa tutto il Paese affrontò e sui quali si pronunciò è utile ricordare lo spirito e i contenuti dell’impegno che percorse i mesi di avvicinamento alla scelta degli elettori.

Paola Binetti era presidente del Comitato Scienza & Vita (poi Associazione e oggi Centro studi) insieme a Bruno Dallapiccola, al centro della mobilitazione dei cattolici. Di quell’esperienza che poi si tradusse in un impegno diretto in politica ci offre la riflessione che qui pubblichiamo (e che su Avvenire del 12 giugno è uscita insieme a un articolo di Paola Ricci Sindoni, che le succedette alla guida di Scienza & Vita, e a un’analisi sui vent’anni di “è vita”, la sezione di bioetica di Avvenire che nacque proprio durante la campagna referendaria come strumento di informazione).

Il 12 e 13 giugno 2005, giusto vent’anni fa, ci fu il referendum sulla fecondazione assistita, in cui non fu raggiunto il quorum, perché oltre il 75% degli italiani non andò a votare, mentre l’80% di chi votò chiedeva di cancellare i divieti della legge 40. Una prima domanda – ancora oggi – riguardava il valore di un referendum abrogativo, se con il tempo il tribunale può vanificarne il senso e il significato. Il risultato vent’anni fa fu chiarissimo e contribuì, allora, a comprendere quale fosse la volontà degli italiani, ma, ciò nonostante, negli anni successivi i tribunali ribaltarono in gran parte la volontà popolare.

Il referendum popolare sulla legge 40/2004 mirava ad abrogare alcune disposizioni ritenute troppo restrittive, in particolare quelle riguardanti la fecondazione eterologa, la crioconservazione degli embrioni e la ricerca. A favore dell’abrogazione dei limiti si schierarono tutta la sinistra e i radicali. Schierata per il no, o l’astensione, tutta l’area del centrodestra, salvo qualche eccezione. Fin dal primo momento apparve tuttavia chiaro che la contrapposizione era soprattutto con il mondo cattolico, estremamente variegato ma coinvolto in modo compatto nel suo opporsi al cambiamento della legge, che pure non si poteva certo definire né “cattolica” né “per i cattolici”. Ma il successo del non voto caratteristico di quel referendum fu proprio la grande unità dei cattolici, incoraggiata da Giovanni Paolo II in occasione della 44 Settimana sociale dei cattolici, il 4 ottobre 2004, quando il referendum non era ancora stato ammesso dalla Corte costituzionale. Wojtyla affermò in modo chiaro che «a nessuno sfuggono i rischi e le minacce che, per un autentico assetto democratico, possono derivare da certe correnti filosofiche, visioni antropologiche o concezioni politiche non esenti da preconcetti ideologici».

I cattolici devono «riconsiderare l’importanza dell’impegno nei ruoli pubblici e istituzionali e in quegli ambienti in cui si formano decisioni collettive significative, e in particolare in quello della politica, intesa nel senso alto del termine». Il suo appello venne immediatamente raccolto dal suo vicario, cardinale Camillo Ruini, allora presidente della Cei: «È inutile inseguire cambiamenti della legge in Parlamento – disse pochi mesi dopo – poiché nessuna modifica apporterebbe miglioramenti a una legge che comunque salvaguarda princìpi e criteri essenziali». Lo stesso Ruini propose di far mancare il quorum alla consultazione popolare, obiettivo per il quale serviva una grande mobilitazione popolare spiegando bene le varie questioni a tutti i cittadini e ottenendo un consenso realmente informato.

Fu creato il Comitato Scienza & Vita (del quale fui nominata copresidente insieme a Bruno Dallapiccola) cui aderirono tutti – ma proprio tutti – i movimenti, le associazioni, i gruppi di ispirazione cattolica, che si prodigarono in una incessante attività pedagogica in cui i contenuti scientifici si intrecciavano ai valori umani, in perfetta coerenza con i princìpi della fede cristiana. Questa enorme campagna divulgativa coinvolse anche la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia. E così andò prendendo forma la grande avventura in cui si imbarcarono professionisti di diversa estrazione culturale: medici, giuristi, ricercatori. Tutti insieme resero familiari all’opinione pubblica i più recenti sviluppi della scienza, sconosciuti ai più. Gli incontri preparatori ai referendum diventarono una gigantesca operazione di formazione popolare, sul piano medico-giuridico e sul valore e i limiti della ricerca.

L’esito della consultazione secondo Ruini fu il «frutto della maturità del popolo italiano, che si è rifiutato di pronunciarsi su quesiti tecnici e complessi, che ama la vita e diffida di una scienza che pretenda di manipolare la vita».

Oggi, a distanza di vent’anni, la legge 40 conserva solo alcuni punti di riferimento essenziali, che vanno difesi per evitare ulteriori errori in futuro. Due sono ancora oggi i punti chiave: l’inizio della vita umana dal momento del concepimento e la vita umana come progetto biologico unico e irripetibile.

Tutte le opzioni di chi annuncia e realizza altre azioni legali per continuare a demolire la legge 40 puntano a separare la nascita di un bambino dal suo contesto familiare, per soddisfare il desiderio di avere un figlio da parte di un adulto che lo considera un diritto da soddisfare quando e come vuole.

La legge 40, il suo iter e la mobilitazione per fermare la demolizione delle regole per via referendaria continuano ad avere ancora molto da insegnarci. Lo slogan di Scienza & Vita era molto semplice: “sulla vita non si vota”, ma se si vota allora è democraticamente doveroso rispettare il risultato delle urne. Qualche numero a distanza di anni può ancora aiutare a capire l’effettiva manipolazione a cui è stato sottoposto quel referendum: complessivamente votò solo il 25,50% degli aventi diritto (12 milioni su 50), di questi solo un 85% (10 milioni su 12) chiese l’abrogazione. Un quinto del corpo elettorale. Stiamo parlando di un 20%.
Malgrado questa cifra eloquente, in questi vent’anni si è preteso (e spesso ottenuto) di piegare l’esito inequivocabile delle urne a scelte di parte. Un approccio nel quale c’è davvero poco di democratico. È forse questo il rischio maggiore per il prossimo futuro.

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ultimo aggiornamento il 18 Giugno 2025

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