Il confine fra la sedazione palliativa e l’eutanasia è importante per distinguere un diritto da un crimine; una buona pratica clinica dall’imprudenza, dalla negligenza, dall’imperizia, dall’abuso. Le cure palliative, per loro statuto, accolto dall’OMS, rifiutano l’eutanasia, nel senso dell’uccisione intenzionale di un essere umano dipendente per suo presunto beneficio (definizione del Consiglio d’Europa) e sono finalizzate al sollievo della sofferenza e di altri sintomi. Affermano la vita e considerano la morte come un fatto naturale. Il Comitato Nazionale di Bioetica, consapevole dell’importanza della distinzione con l’eutanasia, in merito alla sedazione palliativa ha proposto la definizione di “sedazione profonda continua nell’imminenza della morte”. Una definizione diversa da quella fatta propria dal legislatore francese, che ha legalizzato la possibilità di praticare “una sedazione profonda e continua fino alla morte”, in un contesto in cui i medici possono interrompere ogni trattamento, incluse le cure di base come l’alimentazione e l’idratazione, se tali trattamenti possono essere interpretati come “ostinazione irragionevole”, anche se il paziente è privo di coscienza e non è alla fine della sua vita, ma sta vivendo “una vita artificiale”. L’autrice spiega come la Francia, in questo modo, ha di fatto legalizzato l’eutanasia. Infine l’autrice analizza le proposte di legge all’esame del parlamento italiano sotto il profilo della coerenza con la legge sulle cure palliative o con la prospettiva eutanasica.