
La donazione di organi da destinare alla medicina dei trapianti risponde ad una necessità “sociale”, che guarda al bisogno di cura di tanti pazienti che attendono l’operazione salva-vita di trapianto. Da decenni i progressi scientifici e tecnologici in questo campo sono in continua evoluzione; con il progredire delle tecniche, però, anche le problematiche etiche sono sempre più complesse. Le principali questioni riguardano il consenso informato e la libertà del donatore, la tutela dell’identità personale del ricevente, la difesa della vita del donatore e del ricevente, la gratuità ma anche l’interesse “sociale” a incrementare le donazioni. Più in generale, il problema bioetico sotteso riguarda la relazione tra la persona e il proprio corpo e i limiti che la libertà di disporre di sé incontra nella sua realizzazione. La materia interroga sullo statuto del corpo e sul significato del dono.
Lo sviluppo della medicina dei trapianti è oggi condizionato da fattori scientifici ma anche dal numero limitato di organi da destinare al trapianto: la scarsità di organi disponibili, a fronte di una domanda crescente, pone una sfida senza precedenti ai sistemi sanitari globali. Per quanto riguarda l’Italia, ad esempio, il Sistema informativo trapianti contiene oggi circa 21.136.036 dichiarazioni di volontà: di questi, i consensi al prelievo degli organi dopo la morte sono 14.827.898, mentre le opposizioni sono 6.308.138 (in aumento rispetto al 2023), mentre i pazienti in attesa di un organo sono 7932. La donazione di organi rappresenta, così, sia una necessità medica, sia una responsabilità etica verso gli altri, nel rispetto della dignità di ogni essere umano.
Per risolvere il problema della carenza cronica di organi c’è chi ha sostenuto, in passato, di tentare la strada della commercializzazione: incentivi economici potrebbero aumentare il numero dei donatori e degli organi da destinare al trapianto. In dottrina si è, altrimenti, ipotizzato di “nazionalizzare il cadavere” o, meglio, di prevedere il “prelievo di autorità”: si sostiene, in altre parole, che dovrebbe essere compito dello Stato decidere se e come utilizzare gli organi dei cittadini dopo la loro morte. Si renderebbe, così, il cadavere una proprietà pubblica, limitando le possibilità decisionali dei parenti in merito alla donazione di organi del proprio caro dopo la morte. Tali strade appaiono, però, entrambi non rispettose della dignità umana: lo stesso termine utilizzato “dono” di organi, sta a indicare l’assoluta libertà e spontaneità dell’azione, il valore di solidarietà e la non commerciabilità dell’atto.
Un recente articolo pubblicato su Experimental and clinical transplantation, si interroga sulla risposta fornita dai governi degli Stati alla necessità di incrementare la donazione di organi. Nella tematica è particolare la dinamica che si crea tra solidarietà sociale e autonomia del singolo: tale tensione si fonda sul bisogno di reperire organi da destinare al trapianto per salvare la vita dei pazienti in attesa di trapianto ma anche sul rispetto della dignità e della libertà della persona. Nell’articolo si ricorda che le principali religioni mondiali ritengono legittima la donazione di organi, come forma di altruismo, come atto di solidarietà e di carità. Al centro dell’etica della donazione di organi si collocano, in ogni caso, il principio della pari dignità di ogni essere umano, che porta a rifiutare logiche commerciali e a tutelare la libertà della persona.
Nello studio si riportano le diverse politiche adottate a livello globale dai singoli paesi per affrontare la scarsità di organi. In tale orizzonte di analisi si possono individuare quattro diversi possibili sistemi da adottare: sistemi di opt-in, sistemi di opt-out, sistemi che prevedono la scelta obbligatoria e sistemi che prevedono la scelta attiva volontaria. I sistemi opt-in richiedono la scelta libera dei singoli in merito alla donazione dopo la morte: i tassi di donazione, in questo caso, sono generalmente più bassi a causa dell’inerzia e della mancanza di coinvolgimento del singolo, ma è certamente rispettata la volontà individuale. Nei sistemi di opt-out, invece, si presume il consenso alla donazione a meno che gli individui non registrino esplicitamente il loro rifiuto: in questo caso può aumentare il tasso di donazione, ma potrebbe essere lesa la sfera di libertà del singolo. Le politiche di scelta obbligatoria richiedono, invece, ai singoli di prendere una decisione in merito alla donazione di organi, spesso al momento dell’ottenimento o del rinnovo della patente di guida o di un documento di identità: può essere tale sistema una “spinta” alla manifestazione di volontà, ma anch’esso potrebbe essere considerato come una coercizione, dal momento che mancherebbe la giusta informazione e consapevolezza al momento della decisione.
I modelli di scelta attiva volontaria, infine, si caratterizzano per il tentativo di incoraggiare la scelta per la donazione: il sistema sembra rispettare l’autonomia della persona, ma si basa su strategie volte a influenzare il processo decisionale. In tale contesto si parla di “nudge”, per indicare gli elementi di design nella struttura delle scelte che alterano il comportamento delle persone in modo prevedibile, senza proibire alcuna opzione. La loro applicazione nella donazione di organi è eticamente controversa: i nudge possono sfruttare pregiudizi cognitivi per influenzare i processi decisionali, inducendo a fare scelte che non riflettono pienamente i valori o i desideri della persona. L’articolo evidenzia, in conclusione, l’importanza di promuovere politiche che aumentino i tassi di donazione, rispettando pienamente la persona e il principio del consenso informato. Questo delicato equilibrio richiede strategie di comunicazione e di coinvolgimento trasparenti ed inclusive, che consentano ai singoli di fare scelte informate, in linea con i propri principi e valori. È necessario, cioè, promuovere una cultura della donazione, basata sulla informazione e sulla libertà del singolo.
L’evoluzione della ricerca in campo biotecnologico, le trasformazioni delle prassi mediche, l’ampliamento delle possibilità terapeutiche, i cambiamenti dell’epidemiologia dei riceventi e dei donatori, impongono oggi di guardare alla materia dei trapianti con un rinnovato interesse, come punto di partenza per la promozione di una cultura del dono, della solidarietà e della speranza. Tale cultura spinge a rifiutare logiche individualistiche e utilitaristiche – tendenti al solo incremento del numero degli organi – per accogliere una visione personalista, in grado di rispondere ai bisogni di chi è nella vulnerabilità, nel rispetto della dignità di ogni essere umano.
L’esperienza italiana dimostra che, a fronte di un allargamento del bacino di persone che hanno dichiarato la loro volontà aumentano proporzionalmente anche le opposizioni alla donazione. È importante, allora, partire dallo sviluppo della conoscenza e della informazione in materia di trapianti, anche rispetto alle finalità e alle garanzie poste a tutela della vita del donatore e del ricevente, per promuovere la fiducia dei cittadini, necessaria per incentivare le donazioni e i trapianti. In tale prospettiva anche la certezza dei diritti del donatore e del ricevente aumenta la fiducia pubblica, la consapevolezza e le donazioni.
È importante, allora, porre al centro le relazioni umane e gli aspetti comunicativi: la cultura della solidarietà e del dono è promossa partendo dal riconoscimento del valore dell’altro e del valore di ogni vita.
Per approfondire:
- Ehtuish EFA. Ethics of Organ Donation and Transplantation: Toward Self-Sufficiency. Exp Clin Transplant. 2024 Oct;22
- CARDILLO, La Rete trapiantologica italiana a vent’anni dalla legge 91-99: come cambiare per affrontare il futuro, in Trapianti 2022; 26 (1), 3.
ultimo aggiornamento il 27 Febbraio 2025