
La comunicazione in medicina, tra medico e paziente, rappresenta un aspetto fondamentale del rapporto di cura. Comunicare non si riduce a una tecnica, o al semplice fornire informazioni, ma è parte integrante e sostanziale della relazione di fiducia tra medico e paziente.
La radice etimologica (da cum ‘insieme’ e munus ‘dono’) evoca l’idea di un dono che richiede una condivisione: la comunicazione crea, così, la relazione umana e professionale, in una dimensione che non è solo fisica, ma anche emotiva e mentale: il processo comunicativo integra vari aspetti verbali e non verbali, alternando parole e silenzio, ascolto e contatto. La forma e le modalità espressive, come anche la sostanza di ciò che si comunica sono in grado di incidere sull’andamento del percorso diagnostico-terapeutico instaurato.
A prescindere dalla capacità di comunicare di ognuno, sono necessarie formazione ed esperienza anche in questo ambito. Le “tecniche” non sono, però, sufficienti: la comunicazione, infatti, non è incasellabile in rigidi protocolli e il professionista deve rapportarsi alla persona. Comunicare genera, così, una realtà di incontro, alle volte faticoso, ma propriamente umano.
La comunicazione tra medico e paziente non è, pertanto, solo scambio di informazioni relative al quadro clinico o mera formulazione di diagnosi, prognosi e terapia. L’art. 1, comma 8, della legge n. 219 del 2017 ricorda, a tal proposito, che “il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”. Lo stesso articolo afferma, inoltre, che “la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico…si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico.”
Il ruolo della comunicazione tra medico e paziente acquista un valore significativo nelle situazioni complesse e, in particolare, nella medicina palliativa: in tale contesto la comunicazione instaurata all’interno della relazione di cura con il paziente e la sua famiglia garantisce l’accompagnamento del paziente e la cura totale.
Un recente articolo pubblicato sulla Rivista italiana di cure palliative – dal titolo “La comunicazione in medicina palliativa” – analizza la sostanza e gli obiettivi “che il processo comunicativo dovrebbe sempre assumere e fare propri nella dimensione delle cure palliative”. In medicina, ma ancor più in medicina palliativa, lo scopo principale della comunicazione “è incanalare ogni sforzo per consentire il riconoscimento e l’accoglienza anzitutto del paziente nella sua dignità di persona, di essere umano portatore di una storia e di un’identità ben precise da valorizzare ed esaltare in ogni momento della relazione di cura instaurata”.
Tale riconoscimento della dignità passa anche per la custodita dei sentimenti, delle emozioni, dei desideri e dei bisogni della persona, anche di quelli non espressi: il processo comunicativo può, così, accogliere e portare alla luce anche quanto non verbalizzato, esaltando l’essere umano in tutta la sua dignità. Nell’articolo si evidenzia che ogni strategia comunicativa – come la cura dell’aspetto esteriore, della sostanza della parola condivisa e della propria gestualità, o il dosaggio di parola e silenzio in una dimensione di ascolto reale, senza tempo, che contempli anche la necessità ed il coraggio di una carezza e di un abbraccio – ha lo scopo di stabilire un rapporto interumano alla pari che, esaltando la dignità della persona, “sia in grado di innescare processi di cura e di speranza e indicare percorsi di liberazione, di riconciliazione e di pace”.
La via del confronto e del dialogo può essere particolarmente complessa se il paziente vive una realtà di dolore e di angoscia. La vicinanza e la prossimità umana, l’accompagnamento e la condivisione, può venire, in tali casi, dall’“essere con”. Nella fragilità e vulnerabilità è necessario, “trovare un sostegno, un appoggio che ci permetta di non “romperci”, di non soccombere al male nella solitudine”. Sono così descritti l’essenza e il senso ultimo del corretto percorso di comunicazione in medicina palliativa. Dietro ogni relazione autentica di cura esiste sempre una “spinta” di un “desiderio incontenibile che viene dal profondo del cuore di una vita umanizzata” che nasce dal fissare lo sguardo sulla umanità fragile dell’uomo, che accomuna ogni essere umano: la persona malata, con tutte le sue difficoltà, ridotta all’essenziale, “trasuda umanità da tutti gli angoli del suo essere”.
Nelle situazioni cliniche più complesse, i professionisti sanitari possono fornire accompagnamento, nel tentativo di promuovere la consapevolezza di assistiti e familiari, rispettando i tempi di ciascuna persona. Non è, infatti, semplice comunicare al paziente e alla famiglia una brutta notizia. Come si legge nel recente parere del CNB su Cure pallliative, “la stessa comunicazione di “patologia inguaribile” può, di per sé, generare una significativa sofferenza. Spesso, il concetto di “non guaribilità” non permette ai pazienti di comprendere la permanenza della “curabilità”. Oltre all’informazione, la vicinanza e il supporto emotivo possono aiutare il paziente nell’accettazione di notizie sensibili, delicate e critiche, in modo da ridurre l’impatto emotivo e facilitarne l’elaborazione, al fine di sostenere decisioni consapevoli e la pianificazione condivisa del percorso terapeutico.
Per quanto riguarda il tema della comunicazione nella medicina palliativa, si evidenzia, inoltre, la necessità di una comunicazione corretta anche all’interno dell’équipe di cura, tra i professionisti. La relazione è, così, parte essenziale dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente (e i suoi familiari), ma anche per l’equipe di cura.
Di fronte al diffondersi di una cultura dell’individualismo e dell’indifferenza, che esalta il mito dell’efficienza, è fondamentale ripartire dal mettere al centro la dignità di ogni essere umano e dei suoi bisogni, soprattutto quando la malattia e la fragilità tende a fare sentire la persona sola e abbandonata, avvertendosi come un peso per gli altri. La problematica della comunicazione si inserisce, pertanto, nel contesto di un problema culturale più generale.
La prima cura nella malattia è, allora, la vicinanza e l’accompagnamento: il prendersi cura dell’altro a partire dalle relazioni. La comunicazione è strumento fondamentale di relazione interpersonale, di presenza e vicinanza, che sostiene nel tempo della malattia e della fragilità.
Tale manifestazione di vicinanza dovrebbe permeare ogni gesto di cura: ogni momento, ogni azione di cura della fragilità umana è sempre una comunicazione del riconoscimento del valore, inestimabile, dell’altro.
Per approfondire:
ultimo aggiornamento il 11 Febbraio 2025