Bioetica e biopolitica le questioni cruciali Bioetica e biopolitica sono parole entrate nel linguaggio comune che sottintendono questioni ormai globali, planetarie, che toccano le radici dell’uomo, la sua posizione nell’universo che lo circonda, cioè la sua dimensione antropologica. Sono temi appassionanti e decisivi che hanno a che fare con l’entrata e l’uscita dal palcoscenico della vita, le manipolazioni genetiche, l’aborto, la sopravvivenza di individui cerebrolesi, l’eutanasia. L’impatto della scienza/tecnica sull’uomo é stato accelerato dal XX secolo a oggi ed è particolarmente invadente ed incisivo nelle biotecnologie. Una sorta di "ideologia della tecnica" fa pensare che si può fabbricare e produrre tutto e che anche l’uomo può essere oggetto e materia disponibile per qualsiasi manipolazione. La natura non è più una realtà "apriori" ma si può intervenire e anche cambiare il destino biologico. Tale contesto si va a collegare con l’idea libertaria e individualista che la dignità dell’uomo consiste nella assoluta autonomia e autodeterminazione senza più freni. È da rilevare che nella stagione della secolarizzazione non c’è più neppure Dio come idea di limite e richiamo alla responsabilità. La biopolitica, cioè la politica che si occupa della vita, recepisce un tale quadro culturale e, a sua volta, contribuisce a fare il mutamento antropologico, e avalla un disegno titanico di riprogrammazione della vita umana che parte non dal valore in sé dell’uomo ma da una valutazione di efficienza e utilitaristica. Si applica la concezione della democrazia procedurale e del positivismo giuridico che consacra il principio della volontà assoluta delle maggioranze che col voto possono fare tutto, anche cambiare l’uomo senza alcun vincolo di rispetto di principi inerenti alla" natura umana". Tutto questo avrebbe dovuto rappresentare una esaltazione di nuove libertà e possibilità umane e l’apertura di una stagione nuova di "Umanesimo" più pieno Dobbiamo constatare, invece, che l’uso spregiudicato di certe biotecnologie sull’uomo insieme anche a nuove concezioni antropologiche hanno marginalizzano l’essere umano e lo hanno reso più oggetto. È questo che ha fatto parlare taluni di epoca del "postumano". Accogliere una visione utilitaristica e materialistica di bioetica e riportare l’essere umano solo agli elementi biologici, significa cancellare il peculiare dell’essere umano e retrocedere l’uomo a un destino animale in una sorta di indistinto naturalismo cosmico. Si ha un riscontro di questo non solo in filoni di pensiero che vedono un continuum tra uomo, animale e macchina ma anche nell’affiorare di una mentalità che si fa strada e che, ad esempio, manifesta grande sensibilità per la vita degli animali ma non per l’aborto umano, che protesta per la sperimentazione sulle bestie ma che, senza fiatare, accetta la nuova eugenetica umana o l’eutanasia. Allora in tale panorama, quantomeno confuso e contraddittorio, si può porre la domanda se l’affermazione di un nuovo, vero, "Umanesimo" non debba cominciare dal riconoscere, secondo l’antica lezione del personalismo cristiano, "il valore in sé" dell’essere umano e la sua dignità, affondando le radici in una cultura forte filosofica e religiosa e fondando su tale base una bioetica, né pragmatistica né utilitaristica, capace di distinguere bene e male e chiedendo una conseguente e coerente biopolitica. Marcello Masotti Presidente Scienza&Vita FIrenze
ultimo aggiornamento il 9 Marzo 2022