Il dolore narrato: pagine di letteratura

Il libro che segnaliamo è un’antologia di passi scelti allo scopo di tracciare “una sorta di storia del dolore, per entrare nel vivo di vissuti emotivi, nell’articolarsi di vicende personali” (p.14), muovendo dall’assunto che “la letteratura può offrire un contributo di notevole efficacia, perché la sua meta-temporalità è strettamente legata al locus antropologico, che emerge dai valori universali, per loro natura, meta-letterari”(p.21).
Secondo le Autrici – Paola Binetti e Maria Grazia De Marinis – “ogni epoca ed ogni periodo storico hanno avuto un’ immagine del dolore ed hanno descritto un modo ideale di affrontarlo per essere e sentirsi eroi, o per soccombere miseramente al suo impatto provocatorio”(p.280); così descrivono “approcci diversi per soluzioni diverse” da far “confluire in una visione del mondo unitaria, la cui sintesi è di stretta pertinenza personale” (p. 90).
All’incrocio tra la bioetica, la letteratura e la psicologia si vuole evidenziare la dimensione soggettiva ed emotiva del dolore: “il significato che una persona riesce a dare alla sua sofferenza e che spesso la rende più sopportabile, quando non pienamente accettabile, è strettamente collegato ai valori che configurano lo stile di vita di questa persona” (p.287). Il dolore è considerato una emozione forte che costringe il sofferente ad “un punto di verifica di tutta la sua filosofia di vita, del modo in cui si pone davanti ad una realtà che lo trascende, alla Provvidenza se crede, al caso se non crede, dalla relazione di fiducia che può avere nei loro confronti, più attiva probabilmente nei confronti della Provvidenza, più rassegnata nei confronti del caso” e “tutto dipende dal suo giudizio di valore, dalla gerarchia che riuscirà a fare, attribuendo pesi diversi ad emozioni diverse” (p.52).
Nell’interrogarsi sul contributo delle emozioni, in quanto tali, alle decisioni etiche, individuali e pubbliche, esse concludono che è “necessario fare affidamento anche sulle emozioni delle persone e non solo sulla loro volontà e sulla capacità di osservare delle norme […].D’altra parte il rispetto di una norma è spesso motivato più che dalla sua razionalità intrinseca dal timore della sanzione, dalla sofferenza che la trasgressione scoperta e punita, possa causare al soggetto”(p.60).
La letteratura appare allora un valido strumento per sviluppare competenze di auto ed etero- comprensione, di comunicazione, di ascolto empatico, di compassione, di un più profondo senso di solidarietà, di quell’ascolto che cura, il quale “non può prescindere a sua volta dalla dimensione psicologica” anche se “non dovrebbe essere permesso alla psicologia di scivolare nel moralismo, né all’etica di risolversi in un moralismo”(p.287).
Il libro propone così “un approccio etico di diverso tipo, che pone al centro dell’attenzione non tanto norme e criteri, quanto la persona, sollecitata ad esprimere la propria adesione ad un coacervo di valori […]. La domanda essenziale che ci si deve porre quindi non è tanto: Cosa bisogna fare…Ma: cosa voglio fare io”(p.285). Le stesse Autrici sanno però che “occorre essere molto attenti a non interpretare problemi specificamente bioetici con una chiave narrativa, che ne accentui gli aspetti emotivi, allontanandoli da quell’analisi razionale, che è pure garanzia di oggettività e di scientificità in bioetica”(p.91).

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