A proposito di sperimentazione sull’essere umano in fase embrionale

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Il Senato italiano ha approvato – mercoledì 19 luglio 2006 – una risoluzione sulla posizione che l’Italia dovrà tenere oggi al Consiglio Europeo sulla Competitività in merito al Settimo Programma Quadro sul piano pluriennale di finanziamento alla ricerca scientifica e tecnologica.
Il testo della risoluzione recita quanto segue: “Il Senato […] impegna il Governo: a sostenere sotto il profilo finanziario, in sede di Consiglio Europeo competitività, ricerche che non implichino la distruzione di embrioni, valorizzando quindi la ricerca sulle cellule staminali adulte, comprese le cordonali; a promuovere la ricerca scientifica avanzata tesa ad individuare la possibile produzione di cellule staminali totipotenti non derivate da embrioni e a verificare la possibilità di ricerca sugli embrioni crioconservati non impiantabili; a sostenere le ricerche e le iniziative comunitarie che, innalzando il livello di educazione scientifica della popolazione, contribuiscano a costruire una più completa cittadinanza attiva, anche sotto il profilo scientifico, promuovendo modalità innovative di coinvolgimento attivo dei cittadini nelle scelte di carattere scientifico e tecnologico che hanno effetti rilevanti per la loro vita e per quella delle generazioni future”.
Pur condividendo l’impegno a valorizzare le ricerche che utilizzano cellule staminali adulte o provenienti dal sangue del cordone ombelicale, sollevano non poche perplessità i seguenti passaggi: “Sostenere ricerche che non implichino la distruzione di embrioni” e “verificare la possibilità di ricerca sugli embrioni crioconservati non impiantabili”. Essi appaiono, infatti, in contraddizione tra di loro poiché non è possibile fare ricerca su embrioni umani crioconservati non impiantabili senza distruggerli.
Infatti, per stabilire se embrioni umani crioconservati non sono più impiantabili, è necessario prima scongelarli e poi metterli in coltura per vedere se riescono ancora a svilupparsi, ovvero se ci sono ancora divisioni cellulari per almeno 48 ore. Questo criterio – indicato dai nomi di chi l’ha proposto come criterio “Landry- Zucker” – non è, però, sufficiente per dire che l’embrione sia morto perché alcuni blastomeri possono essere, comunque, ancora vivi e data la loro totipotenza potrebbero svilupparsi anche in un organismo umano completo. E, pur essendoci su questo punto varie ipotesi, non vi è ancora la certezza che questo non possa avvenire. E’ ovvio che lo scongelamento degli embrioni umani crioconservati porta come inevitabile conseguenza la perdita degli stessi: da qui la proposta di procedere allo scongelamento solo dopo aver valutato in modo probabilistico la loro incapacità di sviluppo, valutazione da effettuare sulla base di curve della loro sopravvivenza. A parte il fatto che tali curve di sopravvivenza dovrebbero essere costruite su modelli animali, rimane sempre il problema che un criterio probabilistico (se non, addirittura, convenzionalmente cronologico) non è rigoroso: l’accertamento di morte andrebbe fatto al “letto” di ogni embrione umano, il che riporterebbe il problema al punto di partenza. Se, dunque, non è possibile verificare la non impiantabilità degli embrioni umani senza prevedere la loro implicita distruzione, bisogna concludere che la risoluzione presenta non solo contraddizioni interne ma anche un evidente conflitto con il dettato della Legge n. 40/2004 che al comma 1 dell’articolo 13 recita: “È vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano”. E questo in modo indipendente dal tempo trascorso dalla fecondazione (intesa come fusione delle membrane della cellula uovo e dello spermatozoo) e dalle condizioni in cui l’embrione umano si trova.

Di difficile interpretazione, invece, è il seguente passaggio della risoluzione: “Individuare la possibile produzione di cellule staminali totipotenti non derivate da embrioni”. Varie possono essere, infatti, le interpretazioni. Ad esempio, si potrebbe pensare agli esperimenti di de-differenziazione di cellule staminali adulte, ovvero di riportare allo stato di totipotenza (anche se non è chiaro se si tratti o meno di cellule riportate allo stato di cellule embrionali totipotenti) le cellule staminali adulte la cui potenza – come è noto – si è ridotta. Il dibattito, che vi è stato al Senato, ha invece chiarito che la tecnica a cui si fa riferimento nella risoluzione è la “partenogenesi”, ovvero l’attivazione di una cellula uovo con stimoli esogeni per indurne la divisione cellulare e ottenere un “quid” da cui ricavare cellule staminali. E’ da precisare, però che la partenogenesi – un evento rarissimo nei mammiferi – quando si manifesta dà origine a forme tumorali come il teratoma dell’ovaio. Inoltre, gli esperimenti condotti in laboratorio sugli animali hanno messo in evidenza che, oltre la difficoltà di andare avanti nella divisione cellulare, le stesse cellule ottenute presentano gravi e importanti anomalie cromosomiche e – una volta trapiantate – vengono riconosciute come estranee e rigettate. E allora, senza voler entrare in merito al dibattito su cosa sia un “partenote” umano – così viene definito il prodotto della partenogenesi -, è difficile comprendere non solo come possa essere proposta una tecnica così pericolosa, ma anche come la stessa tecnica dai risultati incerti (sarebbe meglio dire “inesistenti”) possa essere considerata talmente importante da giustificare un assenso parlamentare in tal senso.
Rimane, in conclusione, il timore che con l’approvazione di questa risoluzione vengano usati finanziamenti per ricerche che potrebbero addirittura rappresentare un rischio per la vita umana, ma soprattutto per sostenere la distruzione programmata di tanti embrioni prodotti con la fecondazione artificiale e abbandonati dai loro stessi genitori. Sì, perché – se li vogliamo chiamare finalmente con il loro vero nome – si sta parlando di tanti esseri umani in fase embrionale, anzi di figli in fase embrionale.

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