ALTRE QUINDICI INTERVISTE
MILLE DUBBI DEI MEDICI
SUL TESTAMENTO BIOLOGICO
Prosegue l’operazione di Scienza & Vita che vuole dare voce ai medici italiani in materia di testamento biologico.
Con questa seconda raffica di interviste proseguiamo nell’approfondimento di un tema strategico, anche in considerazione del dibattito parlamentare destinato presto a riprendere, oltre che delle frequenti provocazioni che appaiono sui media italiani, spesso preoccupati solo di cavalcare un certo sensazionalismo e poco inclini ad una riflessione pacata e soprattutto pluralista. Da non trascurare, poi, la volontà di alcuni settori politici, fortemente laicisti, di connotare la battaglia sul testamento biologico come una scelta di libertà, in un’ottica di contrapposizione con le ragioni suggerite dalle fedi religiose, oltre che dalle pratiche della buona vita.
Siamo convinti, con questa nostra iniziativa, di rendere un servizio al discorso pubblico su un tema delicatissimo che richiede un supplemento di prudenza oltre che un approfondimento da parte del maggior numero di cittadini. Nella consapevolezza che dalle interviste emerge una sostanziale contrarietà al testamento biologico, soprattutto in considerazione delle sue inevitabili derive eutanasiche.
Nell’occasione, non potendo ospitare nella presente newsletter tutte le interviste raccolte, vista la loro portata e complessità, vi indichiamo i nominativi degli intervistati e vi preghiamo di collegarvi al nostro sito: www.scienzaevita.org
Ecco gli intervistati:
Chiara Mantovani Medico-chirurgo. Membro dei Comitati Etici della ASL dell’Azienda ospedaliera e dell’Ordine dei medici di Ferrara. Direttore del “Centro consulenza bioetica” del servizio di accoglienza alla vita di Ferrara.
Franco Balzaretti Direttore del Pronto Soccorso dell’Ospedale provinciale S. Andrea di Vercelli, medico volontario dell’Istituto di Patologia Chirurgica di Pavia e della divisione chirurgica generale di Vercelli.
Ottavio Albano Clinico medico all’Università di Bari; ha fatto parte del Comitato accademico del Campus biomedico a Roma.
Filippo Crivelli Direttore della U.O. di Anatomia e Istologia Patologica dell’Azienda Ospedaliera “S. Antonio Abate” di Gallarate. E’componente del Comitato di Etica Locale di cui ricopre attualmente il ruolo di vice-presidente. Socio fondatore del Consiglio Direttivo della Società Italiana per la Bioetica ed i Comitati Etici (SIBCE).
Ivano Argentini Medico-chirurgo specializzato in Cardiologia, presso l’Ospedale civile San Sebastiano di Correggio (Reggio Emilia).
Maurizio Silvestri Medico, specialista in Ostetricia e Ginecologia e Oncologia medica, dirigente di primo livello Struttura Complessa di Ostetricia presso il Presidio ospedaliero di Spoleto.
Antonio Ercoli Medico-chirurgo. Specializzato in Ostetricia e Ginecologia, dirigente di primo livello dell’Azienda ospedaliera di Varese (Ospedale di Circolo di Varese – presidio “F. Del Ponte”).
Guido Checcacci Medico chirurgo anestesista e rianimatore, urologo; specializzato in chirurgia dell’apparato digerente ed endoscopia digestiva. Dal 2000 è primario presso l’ospedale di Castelpiano (Ancona).
Guido De Paoli Medico, specializzato in Oculistica. Fa parte del Comitato etico indipendente dell’Azienda ospedaliera-universitaria e dell’Azienda territoriale di Trieste.
Marco Ferri Medico-chirurgo. Lavora presso l’Ospedale poliambulanza di Brescia.
Cristina Pasquini Medico Chirurgo. Specializzazione in Medicina interna ad indirizzo Medicina d’Urgenza. Dirigente medico di I° livello presso l’Azienda ASL n. 6 di Livorno e dal 1999 lavora presso la sezione aggregata alla I Medicina Generale di Endocrinologia e Diabetologia dell’Ospedale di Livorno ASL n°6.
Antonio Meo Laurea in medicina nel 1975, specializzazione in Pediatria nel 1978, perfezionamento in neonatologia nel 1980. Assistente ospedaliero di Pediatria a Rovigo fino al 1983, poi Pediatra di Famiglia a Rovigo.
Carlo Banaudi Medico-chirurgo. Specializzato in Malattie dell’ apparato respiratorio e in medicina interna. Medico ospedaliero pneumologo presso l’ Ospedale “S. Luigi di Torino” (Orbassano), dal 1957 al 1996, percorrendo la carriera fino al grado di primario di Fisiopatologia Respiratoria. Dopo il pensionamento, continua la sua attività libero-professionale.
Vincenzo Nardozza Già primario neurologo dell’Ospedale di Ozieri (SS), dell’Ospedale di Varallo Sesia (VC), dell’Ospedale di Biella. Consigliere dell’Ordine dei medici di Biella. Componente della Commissione di Bioetica dell’Ordine dei medici di Biella.
Vincenzo Pallone Cardiologo, docente di Cardiologia all’Università degli Studi di Perugia.
DOMANDA INEVASA (DALLA LEGGE E DAL COSTUME)
PER OGNI ABORTO RICOSTRUIAMO
LA CATENA DELLE RESPONSABILITA’
di Maria Luisa Di Pietro
E’ sufficiente applicare bene la Legge 194/78 per evitare situazioni come quelle verificatisi al Careggi di Firenze o al San Paolo di Milano? Fissare un limite cronologico oltre il quale non si può più ricorrere all’aborto è una risposta adeguata?
Se dovessi dare una valutazione complessiva di queste proposte, potrei dire che si tratta di interventi senz’altro utili ma purtroppo solo “palliativi”, poiché – non incidendo sulla “patologia” – si limitano ad alleviarne solo alcuni “sintomi”. E dalla gravità dei sintomi – centinaia di migliaia di embrioni umani eliminati “per via legale”, a cui aggiungere gli aborti “clandestini” e i “criptoaborti” -, ci si può rendere conto quanto sia grave la patologia (la disistima della vita umana) e quanto sia urgente una capillare opera di prevenzione.
Non è, però, possibile prevenire una patologia se non se ne conoscono i fattori eziologici o almeno i fattori che ne aumentano il rischio di insorgenza. Nel caso dell’aborto tra i fattori di rischio vi è la mancanza di esercizio di responsabilità. Non mi riferisco alla donna che spesso sola e sconvolta ricorre all’aborto, ma a chi – chiamato a vario titolo ad intervenire – non ha fatto nulla per evitarlo.
Chi sono i responsabili? Troviamo la risposta in un bel passaggio della Lettera Enciclica “Evangelium vitae”, ove Giovanni Paolo II – dopo aver ribadito ancora una volta che l’aborto “è una colpa morale grave” – addita chi non ha fatto nulla per evitare che si verificasse. Il padre del bambino, che potrebbe spingere la donna all’aborto o favorirne in modo indiretto la decisione facendola sentire sola o abbandonandola. La famiglia e gli amici della donna, che non si prendono cura di lei e del suo dramma o le fanno addirittura pressioni perché si liberi del suo bambino. Quei medici che, andando contro la propria deontologia professionale (il Giuramento di Ippocrate recitava “a nessuna donna io darò un medicinale abortivo”), non fanno nulla per indicare alla donna possibilità alternative alla scelta drammatica dell’aborto. Ed ancora quanti, pur avendolo come compito, non hanno messo in atto adeguate politiche familiari e sociali e hanno lasciato la donna sola a "risolvere" il suo problema, o quanti stanno diffondendo una mentalità che considera la maternità un peso da evitare, nascondendo dietro un’ipocrita “libertà di scelta” la solitudine e la disperazione della donna.
La solitudine della donna”. Un aspetto su cui è intervenuto il Comitato Nazionale per la Bioetica nel documento “Aiuto alle donne in gravidanza e depressione post-partum” del 2005: “La relegazione di una donna nella solitudine, sia essa materiale e morale, dinanzi all’impegno della maternità costituisce infatti violazione radicale della dignità umana della donna medesima e del figlio, e nel contempo rappresenta il fallimento dei vincoli solidaristici fondamentali per la convivenza civile”. Perché non ci si limiti a palliare i sintomi, è allora necessario intervenire a livello culturale a favore della difesa della vita e a livello sociale, mettendo in atto strumenti normativi a tutela del concepito e iniziative di sostegno economico, assistenziale e giuridico alla donna e alla coppia.
Deve essere, infine, forte impegno a promuovere la prevenzione “remota” dell’aborto, educando i giovani sia alla percezione del valore della nuova vita che potrebbe essere chiamata all’esistenza, sia al vero significato della paternità e maternità responsabili. Un’educazione che deve coinvolgere l’uomo e la donna, mettendoli in grado di assumersi le stesse responsabilità di fronte al fatto procreativo e di vincere la radicata mentalità che la procreazione sia retaggio solo della donna e che l’uomo ne sia coinvolto in modo solo occasionale. Allo stesso modo va formato il personale sanitario e quanti si occupano della cosa pubblica affinché possano appoggiare e promuovere la vita, aiutando la donna o la coppia ad accogliere il proprio figlio.
Tutto questo è reso certamente più difficile dalla presenza di una legge che ha comunque favorito il diffondersi di una mentalità di banalizzazione della sessualità e di negazione dell’umanità del concepito. Ed è su questi aspetti – sessualità e preziosità della vita fin dal concepimento – che bisogna riportare la riflessione: potrebbe essere un buon punto di partenza.
A PROPOSITO DI CATTEDRE “DISCUTIBILISSIME”
L’AZZARDO DI VERONESI
“IL FUTURO SARÀ BISESSUALE”
di Domenico Delle Foglie
Il professor Umberto Veronesi, negli anni, ci ha abituati a molte e diverse esternazioni puntualmente destinate ad essere riprese dai media, cui servono titoli forti e slogan immediati. L’intervista rilasciata in agosto al Riformista prospetta un futuro segnato dalla bisessualità.
Ma rileggiamo le sue parole agostane: “La specie umana — ha affermato Veronesi — si va evolvendo verso un «modello unico», le differenze tra uomo e donna si attenuano (l’uomo, non dovendo più lottare come una volta per la sopravvivenza, produce meno ormoni androgeni, la donna, anche lei messa di fronte a nuovi ruoli, meno estrogeni) e gli organi della riproduzione si atrofizzano. Se a ciò si aggiunge che il sesso non è più l’unica via per procreare, si finirà col privare del tutto l’atto sessuale del suo fine riproduttivo e dunque non sarà più così importante se sceglieremo di praticarlo con un partner del nostro stesso sesso.”
All’inizio sorge anche il dubbio: sarà lui o non sarà lui? Ma poi l’eloquio inconfondibile, le argomentazioni medico scientifiche buttate lì con la nonchalance dello scienziato che “non deve chiedere mai”, le conclusioni da tecnocrate, e per finire l’attacco al Paese “ritardato”non lasciano dubbi: non può essere che lui, il professor Umberto Veronesi. Ci sembra di rivederlo, con il suo stile da vecchio elegante signore che dall’alto del suo scetticismo confesso e militante, impartiva lezioni televisive (rigorosamente senza contraddittorio) durante il referendum sulla procreazione assistita per spiegare come la legge 40 fosse una disciplina retrograda. Circostanza regolarmente smentita dalla realtà. Ma perché ci occupiamo di Veronesi? Il quotidiano arancione “il Riformista” ha pubblicato, in agosto, una conversazione con l’oncologo a cui ha dato un titolo più che significativo: “Veronesi prospetta un futuro bisessuale”. Il professore pone le basi del suo ragionamento sul “calo di spermatozoi nella popolazione maschile del mondo occidentale. Questo è un fatto che dipende da cause ormonali. Cioè la ipofisi che controlla le ghiandole che producono ormoni androgeni ne stimola una produzione sempre minore per effetto dell’evoluzione delle condizioni di vita dell’uomo, che non necessitano più di una intensa aggressività fisica per la sopravvivenza: caccia, guerra, etc”. Qualcosa di simile avverrebbe anche nelle donne, che nella loro rincorsa alla parità col maschio, produrrebbero sempre meno ormoni estrogeni. Conclusione: il futuro dell’umanità, secondo l’oncologo, sarà segnato dal prevalere della bisessualità, con la procreazione che si separerà totalmente dalla sfera affettiva. Di qui il ruolo cardine della fecondazione assistita e della clonazione come strumenti a servizio di un nuovo modello antropologico. Terminata la lettura dell’articolo, ci si chiede se l’illustre clinico abbia collaborato alla stesura della trama di un film di fantascienza, oppure sia stato colto da un momento di debolezza. In realtà il professore non è un visionario e sa bene che in tanti “circoli” (vedi l’ambiente anglosassone), l’ambizione di rimodellare l’antropologia per via scientifica è fortissima. Basti pensare al via libera inglese alla produzione di “chimere”, nuove entità realizzate fondendo il materiale genetico proveniente da esseri viventi diversi. Il problema si sposta così su un altro piano, che lambisce l’etica e la politica, ma che non può essere sottaciuto. Intanto va ricordato al professore che se il calo degli spermatozoi riguarda il mondo occidentale, come la mettiamo con tutto il resto del pianeta? Divideremo il mondo in due: quelli che i figli li faranno naturalmente e perciò stesso saranno destinati a dominare il mondo con la forza e quegli altri (noi) che li faremo in laboratorio, ma poiché non sapremo più combattere per difendere il nostro stile di vita e i nostri valori, saremo destinati a soccombere. E poi, con la sua spiegazione deterministica sul calo degli spermatozoi , Veronesi non fa altro che dare fiato e giustificazione scientifica a tutte quelle correnti (teorie del gender) che negano la differenza biologica dei sessi e che hanno assunto come principale obiettivo “politico” il riconoscimento dei “generi” sessuali ( al di là, dunque, dell’uomo e della donna). Per concludere: Veronesi non parla a caso. Di sicuro nella sua impostazione c’è la razionalità illuministica di chi crede di poter dominare la materia, ma dovrebbe anche sapere che la materia si ribella. Basti pensare all’incubo di un mondo in cui “la massa prevalente dei suoi membri sia praticamente asessuata”. In ogni caso il professore – e tanti come lui – preferiscono stare sempre dalla parte di chi si arrende allo stato delle cose, considerandolo ineluttabile. Ma perché non si chiede cosa possa fare la comunità scientifica per contrastare il calo degli spermatozoi? In ogni caso, se il futuro ci riserverà fenomeni sempre più accentuati di “orgoglio eterosessuale”, Veronesi non si dovrà meravigliare. Sarà grazie anche al suo universo visionario.
UN LIBRO SUL TESTAMENTO BIOLOGICO
MESSO A NUDO IL MITO
DELL’AUTODETERMINAZIONE
Il titolo del libro: “Testamento biologico: quale autodeterminazione?” prende spunto dagli argomenti a sostegno di una legge sul cosiddetto “testamento biologico”, che – com’è noto – risiedono nel fatto che un malato (o chi abbia subito un trauma) in uno stato di “incompetenza”, non può – a differenza del malato “competente” – manifestare le proprie volontà, capire e farsi capire; non può – in una parola – scegliere.
Di qui la sollecitazione a raccogliere “in tempo” le volontà circa i trattamenti sanitari e più in generale le scelte di fine vita in un apposito documento. Presentato come strumento semplice, utile e pratico il “testamento biologico”, in realtà, presenta profili di criticità di non poco rilievo alla luce dei vari disegni di legge.
“Non vi è dubbio – si legge nell’introduzione – che l’autonomia delle persone meriti ogni attenzione e rispetto e non vi è dubbio che essa debba essere valorizzata e promossa. Tuttavia ci chiediamo: quale autodeterminazione vogliamo valorizzare e promuovere? Quella autoreferenziale che si vuole imporre o quella che vuole dialogare? Quella dei sani o quella dei malati? L’autonomia che si esplica nella relazione terapeutica, che investe un soggetto-paziente e il suo medico curante è qualitativamente diversa dall’autonomia esercitata al di fuori e a priori di un contesto medico-sanitario, dove la malattia vissuta può modificare profondamente le prospettive e le attese? E poi: quanto incide nella scelta autodeterminata la qualità dei rapporti umani, la fiducia nel sistema sanitario, il non sentirsi un peso per gli altri? Può dirsi “auto” determinata la scelta del soggetto per il semplice fatto che la sua voce o la sua firma in calce ad un documento, chiamato “testamento biologico”, risultano in apparenza “spontanee”? Quanto incide, per esempio, in quella “auto” determinazione l’ “etero” determinazione non visibile, ma non per questo meno trainante, della mentalità collettiva che tende a rifiutare chi con la sua malattia, il suo decadimento fisico e psichico, la sua silenziosa presenza è ritenuto un peso inutile e un costo gravoso?”
Gli autori – Carlo Casini, Marina Casini, Maria Luisa Di Pietro – osservano che la spinta verso una legge sul “testamento biologico” proviene da istanze culturali che vogliono rendere disponibile la vita umana in uno dei momenti di massima fragilità, in nome di una dignità umana “perduta”, “minore” o “assente”. Di qui la domanda di fondo: “Quale autodeterminazione si vuole tutelare: quella nei confronti della libertà di cura o quella nei confronti del proprio stesso esistere?”. Dal libro emerge, infatti, che in tutto il dibattito sulle questioni di fine vita, la voce “autodeterminazione” è penultima rispetto alla voce “dignità umana” che è, in realtà, quella davvero decisiva non solo riguardo al giudizio di valore formulato dall’interessato, ma anche (soprattutto) riguardo alla valutazione sociale della “qualità della vita” dei malati inguaribili, dei soggetti in “stato vegetativo”, dei morenti.
Il volume è suddiviso in due parti: la prima – intitolata “Prodromi e proposte” – è dedicata ai profili definitori, alle vicende (nazionali e internazionali) che hanno preceduto e accompagnato il dibattito legislativo, all’esame dei vari progetti e disegni di legge presentati al Parlamento dalla XIII legislatura in poi. La seconda parte – intitolata: “I luoghi della sfida” – si articola nelle riflessioni sulla libertà, sulla salute, sull’uguaglianza, sulla dignità, sulla coscienza. La sfida riguarda sostanzialmente i diritti umani e il loro fondamento ravvisato non nell’assolutizzazione della volontà individuale, ma nel valore di ogni essere umano in quanto essere umano. Come per altri temi di bioetica è, ancora una volta, la “questione antropologica” ad emergere con forza e ad esigere che medicina, diritto e politica portino nel cuore del loro essere e operare il valore non negoziabile di ogni esistenza umana. Per questo, concludono gli autori, una legge sul testamento biologico non solo non è in sé necessaria, ma è addirittura inaccettabile se contiene logiche eutanasiche.
Il libro è intessuto dei riferimenti normativi e medici più significativi: vengono esaminate le norme costituzionali e ordinarie più richiamate in materia (particolare riguardo è riservato all’art. 32 della Costituzione), la giurisprudenza e le norme deontologiche, i pareri del Comitato Nazionale per la Bioetica (in particolare quello del 2003 sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento), la Convenzione di Oviedo.
Il rigore scientifico, la precisione nelle argomentazioni e nell’esposizione dei dati, si accompagna all’agilità del testo e alla passione di chi vuole con questa pubblicazione concorrere ad una riflessione culturale di ampio respiro.
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Carlo Casini, Marina Casini, Maria Luisa Di Pietro, Testamento biologico. Quale autodeterminazione? Società Editrice Fiorentina, Firenze ISBN -13: 978-88-6032-043-8
IN “NEXT” IL RACCONTO DI UN MONDO SOMMERSO
CRICHTON NON E’ IL GURU
DELLA GENETICA CHE VERRA’
di Giulia Galeotti
“Questo romanzo è opera di fantasia, tranne per le parti che non lo sono”: così scrive Crichton in apertura del suo ultimo romanzo Next. Autore di best seller internazionali spesso divenuti film dai grandi incassi, creatore di E.R. Medici in prima linea, una delle serie televisive di maggior successo degli ultimi anni, Michael Crichton questa volta sorprende davvero. Non estraneo ad affrontare temi controversi (pensiamo a "Rivelazioni" sulle molestie sessuali o "In caso di necessità" sull’aborto fatale di una minorenne), con questo romanzo l’autore ritorna sull’ingegneria genetica, tema complesso e scottante su cui si era soffermato già dieci anni fa. Questa volta però, rispetto a "Jurassic Park" e a "Il mondo perduto", la narrazione ha un altro spessore.
ANALISI CRITICA DI “XXY”
UN FILM – MANIFESTO
DELLA TEORIA DEL “GENDER”
di Lucetta Scaraffia
E’ indubbiamente un bel film “XXY”, con bravi attori, per di più vincitore alla Settimana della Critica del festival di Cannes: la storia di una ragazzina-ragazzino, dall’identità sessuale dubbia, che vive in uno sperduto angolo dell’Uruguay, poche casette sull’oceano. I genitori la/lo hanno portato a vivere lì per nascondere un segreto: Alex è un “ermafrodito”, uomo e donna insieme. Nell’infanzia il nascondiglio funziona, ma non riescono però a fermare il tempo. Prima o poi Alex dovrà ingoiare ormoni, scegliere il sesso che avrà nella vita adulta, e affrontare un’operazione. Come si coglie immediatamente, il tema scelto è pesantemente “politico”, ed il modo di svolgerlo molto di parte.
Intanto, il film fa credere che esistano gli ermafroditi, cioè persone che sono al tempo stesso donne e uomini, mentre invece esistono solo persone con una identità sessuale definita ma con delle malformazioni degli organi genitali, che si possono curare. Poi, i personaggi positivi, come il padre della-del protagonista, biologo marino di fede ecologista, è buono, comprensivo, aperto ad accettare le contraddizioni della natura, in questo caso il fatto che – dice il film – esistono gli ermafroditi. Per questo, non vuole che sua figlia sia sottoposta a cure ormonali e a operazioni ¬- come vorrebbe la madre – per diventare “normale”. Chi rappresenta la normalità, del resto, è un amico chirurgo antipatico e rigido, che si rivela pure omofobo e oppressore del figlio adolescente, che naturalmente si scopre omosessuale. In sostanza, il messaggio del film è che la normalità è oppressiva e violenta, mentre la natura è aperta alla possibilità di tutti i tipi di identità sessuale, e che noi lo dobbiamo accettare.
Si tratta di un manifesto della teoria del “gender” molto ben fatto, che, attraverso un caso limite di sofferenza e difficoltà individuali, fa passare l’idea che la normalità non esiste, è solo una costrizione esterna violenta. Un’altra prova del fatto che nella nostra cultura è vivo un filone che vuole dimostrare che l’identità sessuale femminile e maschile non esiste, ma è solo un’invenzione dei reazionari, di coloro che sono contro la libertà individuale.
APPUNTAMENTI
Le segnalazioni dei prossimi incontri ed eventi
a Milano, Roma, Firenze
APPUNTAMENTI
Le segnalazioni dei prossimi incontri ed eventi
28 Settembre 2007
Il caso dei gemelli abortiti all’ospedale San Paolo di Milano ci interroga: Aborto selettivo, selezione degli embrioni … siamo all’eugenetica?
Milano – Parrocchia san Benedetto – Via Strozzi 1 (sala Giambelli)
12 Ottobre 2007
Fertilità: visione cattolica
Roma – Auditorium Padre A. Sala – IDI IRCCS – Via Monti di Creta, 104
20 Ottobre 2007
Scuola di Biopolitica "Holly Patterson"
Firenze – AC Hotel Firenze – Via Luciano Bausi 5
27 Ottobre 2007
Giornata di Formazione – Il secondo Quaderno di Scienza & Vita: Identità e Genere
Milano – Centro Scolastico FAES Argonne – Via M. Gioia 42
19 Novembre 2007 – 20 Giugno 2008
II edizione del Master universitario di II livello "Case Manager. Bioetica, scienze umane e ICF per progettare e unire le reti con e per le persone con disabilità"
Milano – Università Cattolica del S. Cuore