TESTAMENTO BIOLOGICO
LA PAROLA AI MEDICI
Interviste a raffica
La possibilità di introdurre nel nostro ordinamento una disciplina del cosiddetto “testamento biologico” è all’ordine del giorno nel dibattito pubblico. Nelle aule parlamentari già da tempo ci si confronta e nel Paese, anche sull’onda emotiva di alcuni casi di cronaca, si è fatta più intensa l’attenzione nei confronti dei problemi del fine vita.
La possibilità di introdurre nel nostro ordinamento una disciplina del cosiddetto “testamento biologico” è all’ordine del giorno nel dibattito pubblico. Nelle aule parlamentari già da tempo ci si confronta e nel Paese, anche sull’onda emotiva di alcuni casi di cronaca, si è fatta più intensa l’attenzione nei confronti dei problemi del fine vita.
L’Associazione Scienza & Vita, protagonista nell’autunno scorso di una grande campagna nazionale dal titolo “Né accanimento né eutanasia”, ha già manifestato apertamente la propria contrarietà ad una disciplina del testamento biologico che allo stato delle cose appare superflua. Si ritiene, infatti, che il Codice di Deontologia medica e la normativa vigente diano già una risposta esauriente ai problemi sollevati in tema di accanimento terapeutico e di rispetto delle volontà del malato nell’ambito del rapporto fiduciario medico-paziente, che ben si può configurare come un’alleanza terapeutica. In particolare appare quanto mai indispensabile una maggiore e più incisiva iniziativa sul fronte dell’assistenza e delle cure palliative, queste sì in grado di far cadere la domanda di morte che pure viene da alcuni malati affetti da malattie gravemente invalidanti o in fase terminale.
Per poter affrontare questi temi l’Associazione ha ritenuto opportuno dare voce ai componenti della classe medica che vivono in trincea questi problemi, attraverso una serie di interviste. Le domande poste sono pertinenti al tema prescelto. Le risposte offrono un sostanziale giudizio negativo sulla opportunità di una legge che disciplini il testamento biologico, del quale si sottolinea la sostanziale inutilità. In ogni caso viene sbarrata la strada ad ogni ipotesi legislativa che, attraverso il testamento biologico, possa aprire uno spiraglio verso una deriva eutanasica.
Così come tutti i medici e operatori sanitari non medici interpellati rilanciano il valore dell’alleanza terapeutica – all’interno della quale inserire anche la pianificazione degli interventri – e credono nel ruolo strategico delle cure palliative e dell’accompagnamento dei malati in condizioni di grande difficoltà o nelle ultime fasi della vita.
Ciascun intervistato risponde con la propria sensibilità e sulla base della propria esperienza. Non mancano perciò le sfumature, che in ogni caso costituiscono una ricchezza conoscitiva, non solo emotiva.
Si è deciso di lanciare questa iniziativa prima della pausa estiva e pertanto pubblichiamo le prime quindici interviste. Molte altre seguiranno, a testimonianza di un atteggiamento generalizzato nella classe medica, come testimoniato dalla presa di posizione, non solo della Federazione nazionale degli Ordini dei medici, contro l’ipotesi di una legge sul testamento biologico.
In tal modo si auspica di aiutare non solo l’opinione pubblica, ma anche il legislatore, a maturare un atteggiamento più consapevole e rispettoso della vita malata e sofferente. Con la consapevolezza che non si elimina il dolore attraverso il testamento biologico, come in tanti artatamente cercano di far credere. Anche questa è un’offesa a chi soffre (Maria Luisa Di Pietro).
Il testamento biologico nasce con l’intento iniziale di favorire, nell’ambito della relazione medico-paziente, decisioni del medico finalizzate ad evitare l’ accanimento terapeutico. Se venisse approvata una norma che si limitasse al raggiungimento di questo obiettivo, potrebbe essere utile per aiutare il medico a prendere le difficili decisioni di “fine vita”. Nel tempo, però, e con il proseguire del dibattito, l’obiettivo del testamento biologico, e della relativa normativa di cui si parla, si è modificato: l’obiettivo è diventato quello di estendere le decisioni del paziente anche su procedure assistenziali che nulla hanno a che fare con l’accanimento terapeutico.
Che cosa intende per accanimento terapeutico?
In una prima fase l’accanimento terapeutico identificava l’uso di terapie sproporzionate per eccesso, che riguardavano pazienti affetti da malattie giunte in fase terminale; successivamente ha assunto un significato diverso, e non condivisibile, perché alcuni propongono di estendere il significato di questo termine a qualsiasi terapia ritenuta insopportabile dal paziente. Occorre, a questo proposito, tenere presente che una terapia può essere ritenuta insopportabile da una persona malata indipendente dall’inevitabilità della morte. Per questa ragione, ritengo che una norma sul testamento biologico che faccia riferimento all’accanimento terapeutico così come viene inteso da alcuni, sia inaccettabile, inutile e potenzialmente dannosa. In questi casi è già dovere del medico evitare eccessi diagnostici e terapeutici. La terapia sproporzionata per eccesso si riferisce soprattutto a quelle condizioni in cui la morte è ormai inevitabile – nonostante le terapie a disposizione – ed è attesa nel breve periodo.
Che cosa intende per eutanasia?
L’eutanasia può avere due forme: una attiva, che avviene quando – su richiesta della persona malata – vengono somministrate sostanze tossiche tese a por fine alla vita; in pratica, un’anticipazione della morte su richiesta del paziente, che gran parte delle persone ritengono inammissibile; la seconda forma si può definire eutanasia omissiva, che avviene quando si intende non iniziare o sospendere – sempre su richiesta del paziente – terapie proporzionate, e dovute, al fine di anticipare la morte, quando questa, non solo è evitabile, ma non è attesa nei tempi brevi.
Nel codice deontologico ci sono le risposte necessarie a questa problematica?
Il codice deontologico vieta sia l’eutanasia, nelle sue diverse forme, sia l’accanimento terapeutico, inteso come terapie sproporzionate per eccesso. Il rifiuto di terapie sproporzionate per eccesso rientra nelle disposizioni previste dal codice deontologico, che già prevede che il medico possa avvalersi di quanto espresso precedentemente dal paziente che può indicare decisioni atte ad evitare l’accanimento terapeutico. Questa possibilità, già prevista nel Codice di deontologia medica porta inevitabilmente a mettere fortemente in dubbio la concreta utilità del testamento biologico.
C’è e in che cosa consiste il conflitto tra volontà espresse in precedenza dal paziente e posizione di garanzia del medico?
Quando parlo di relazione medico-paziente, mi piace ricordare che questa relazione non è mai di tipo conflittuale; ha l’obiettivo della condivisione del progetto terapeutico; sta al medico realizzare una relazione positiva con il paziente favorendo questa condivisione.
Nel corso della sua professione ha mai avuto problemi, nel senso di denunce legali, nel caso di interventi contrari alle indicazioni del paziente che pur hanno consentito di salvare la vita o di ristabilire un equilibrio di salute o di sospensione di terapie sproporzionate da cui è derivata la morte del paziente?
No. Nella mia esperienza di rianimatore può accadere – e accade – che ci sia una richiesta dei familiari di fare oltre il possibile. Nell’esperienza comune, quotidiana, si chiede al medico, non dico di praticare l’accanimento terapeutico, ma di fare tutto il possibile certamente. Ripeto: questa è la mia esperienza quotidiana. Devo anche dire che si parla molto di eutanasia, ma le richieste sono rarissime.
Può indicare la differenza tra testamento biologico e pianificazione dei trattamenti, contestualizzata nella relazione medico-paziente?
La differenza è sostanziale. Nel testamento biologico la dichiarazione viene fatta su una malattia non esistente, su una condizione presunta di patologia, per un evento che potrebbe verificarsi. Nella pianificazione dei trattamenti ci riferiamo ad una patologia in atto; il paziente è consapevole in quanto informato dal medico curante, che la malattia potrà andare incontro ad un’evoluzione, fino alla fase terminale: costruiamo quindi, insieme alla persona malata, decisioni per quella patologia gia in atto. La pianificazione dei trattamenti rientra pienamente nell’ambito della formazione del consenso informato.
L’implementazione delle cure palliative e dell’assistenza domiciliare, delle strutture di lungodegenza e degli Hospice possono essere una risposta all’eutanasia e all’abbandono terapeutico? Come si presenta la sua realtà geografica da questo punto di vista?
In realtà, le cure palliative e l’assistenza al malato in condizioni terminali, costituiscono un dovere assoluto della medicina indipendentemente dal perseguimento di obiettivi secondari. Rappresentano uno degli elementi che caratterizzano un’assistenza di alta qualità, attenta a collocare il miglior interesse del paziente al centro dell’azione terapeutica. Non mi piace dire: promuoviamo le cure palliative per limitare le richieste di eutanasia; vanno promosse, comunque, perché costituiscono la migliore risposta assistenziale possibile per molti malati.
Responsabile Modulo di Immunoterapia – U.O. di Urologia, Ospedale S.Orsola-Malpighi; membro del Gruppo di cooperazione in Immunologia, della Società Italiana di Urologia e del Cluron (Club di Urologia Oncologica); Presidente Società Internazionale del Transfer Factor (Itfs)
Che cosa pensa di una norma che sancisca il testamento biologico?
Mi vede perplesso, perché sarebbe una decisione presa oggi, in una determinata condizione, che non può più essere revocata ed inoltre affidata a qualcun altro.
Che cosa intende per accanimento terapeutico?
Qualunque pratica medica o terapeutica fatta al di fuori di ogni possibile, ragionevole prospettiva di ottenere un beneficio per il paziente.
Che cosa intende per eutanasia?
Dare la morte. Compiere un atto che ha un immediato risultato: la morte di una persona.
Nel codice deontologico ci sono le risposte necessarie a questa problematica?
Ci sono tutte, perché i medici operano tutti nell’ambito del rapporto che si instaura tra medico e paziente.
C’è e in che cosa consiste il conflitto tra volontà espressa in precedenza dal paziente e posizione di garanzia del medico?
C’è un conflitto fortissimo del medico perché una decisione dell’individuo di lasciarsi morire crea un conflitto per la scienza e la coscienza del medico. L’aspirazione del medico è tenere in vita le persone; una norma che lo vincoli diventa un grosso problema. Devo anche dire, che se il legislatore vuole fare una proposta sul testamento biologico, la faccia pure, è suo diritto. Noi pensiamo però, ed è nostro diritto-dovere dirlo che una proposta del genere può creare problemi seri.
Nel corso della sua professione ha mai avuto problemi, nel senso di denunce legali, nel caso di interventi contrari alle indicazioni del paziente che pur hanno consentito di salvare la vita o di ristabilire un equilibrio di salute o di sospensione di terapie sproporzionate da cui è derivata la morte del paziente?
Non mi è mai capitato. Sono stato anche fortunato in questo senso. Né mi è mai giunta alle orecchie una cosa del genere. Ci si trova il più delle volte di fronte ai parenti del malato e si fa ogni sforzo per comprenderli e per dialogare.
Può indicare la differenza tra testamento biologico e pianificazione dei trattamenti, contestualizzata nella relazione medico-paziente?
Sono cose diverse. Il testamento biologico significa dare disposizioni, concedere all’individuo una prerogativa che la legge non gli consente. La pianificazione è tutta un’altra cosa.
L’implementazione delle cure palliative e dell’assistenza domiciliare, delle strutture di lungodegenza e degli Hospice possono essere una risposta all’eutanasia e all’abbandono terapeutico? Come si presenta la sua realtà geografica da questo punto di vista?
La richiesta di farsi dare la morte avviene a causa di dolori incoercibili, per scarsa assistenza, per senso di abbandono. Fare di più nel campo dell’assistenza può ridurre questa spinta. Nella regione in cui opero, da questo punto di vista la situazione è buona: i malati terminali vengono curati e seguiti fino in fondo, attraverso gli Hospice, e questo fatto di certo allevia le loro sofferenze e quelle dei parenti.
Che cosa pensa di una norma che sancisca il testamento biologico?
Non sono d’accordo, perché il testamento biologico deve essere un atto volontario della persona, che corrisponda alla cultura della persona, anche alla sua spiritualità, se ve n’è una. Non ci può essere nessuna obbligatorietà. Credo in un testamento biologico volontario quando questo abbia un carattere di salvaguardia della natura della persona.
Che cosa intende per accanimento terapeutico?
Penso che sia un discorso strumentale quello che viene fatto attorno alla questione dell’accanimento terapeutico. Da parte del medico non ci può essere nessun accanimento terapeutico. Diverso è il discorso se l’accanimento terapeutico è utilizzato per mantenere in vita una persona a costi alti per introitare il massimo di ricavi possibili; ma questa è una pratica immorale.
Che cosa intende per eutanasia?
E’ la soppressione di una vita e nessuno può arrogarsi il diritto di sopprimere una vita.
Nel codice deontologico ci sono le risposte necessarie a questa problematica?
Sì, anche a partire dallo stesso giuramento di Ippocrate, ci sono tutte le risposte in senso etico. Anche per questa ragione, non si giustificano delle norme superiori al codice deontologico.
C’è e in che cosa consiste il conflitto tra volontà espresse in precedenza dal paziente e posizione di garanzia del medico?
Il conflitto può esistere. Di fronte ad un testimone di Geova in pericolo di vita, io, medico, oltrepasso la sua convinzione religiosa. Io non posso far morire una persona. Staccare la spina? Non l’ho mai fatto e non lo farei mai.
Nel corso della sua professione ha mai avuto problemi, nel senso di denunce legali, nel caso di interventi contrari alle indicazioni del paziente che pur hanno consentito di salvare la vita o di ristabilire un equilibrio di salute o di sospensione di terapie sproporzionate da cui è derivata la morte del paziente?
Si. A Torino, negli anni ’70. Il padre di una bambina epilettica non voleva che la figlia assumesse cura farmacologia. Io l’ho somministrata. Lui mi ha denunciata.
Può indicare la differenza tra testamento biologico e pianificazione dei trattamenti, contestualizzata nella relazione medico-paziente?
La pianificazione dei trattamenti rientra nel discorso della disponibilità del paziente rispetto a se medesimo nel rapporto con il medico.
L’implementazione delle cure palliative e dell’assistenza domiciliare, delle strutture di lungodegenza e degli Hospice possono essere una risposta all’eutanasia e all’abbandono terapeutico? Come si presenta la sua realtà geografica da questo punto di vista?
Possono essere una risposta. Sono qualcosa di molto buono e vanno incrementate. L’informazione mediatica su questo deve essere più capillare, più comprensibile.
Non sono d’accordo, perché ritengo che sia poco utile. Si tratterebbe di una norma che andrebbe a sancire l’alleanza terapeutica tra medico e paziente, che davvero non vedo come si possa sancire per legge.
Che cosa intende per accanimento terapeutico?
E’ il limite oltre il quale non ci si dovrebbe logicamente attendere beneficio da quella che è la terapia in atto. Essa presuppone anche un concetto di cura. L’alleanza terapeutica è un rapporto che prevede una condivisione di principi di base. Se non c’è questo, ci troviamo dinanzi a un contratto terapeutico, non ad un’alleanza terapeutica.
Che cosa intende per eutanasia?
Mettere fine ad una vita che altrimenti continuerebbe, in un modo o nell’altro. Faccio fatica a pensare ad una divisione tra eutanasia attiva e passiva. I principi di riferimento della professione medica sono difesa della vita, tutela della salute fisica e psichica dell’uomo, sollievo alla sofferenza. Il bene vita è disponibile o no? Se anche questo bene diventa relativo, allora può valere tutto. Anche il concetto di autoderminazione è un concetto relativo. Il problema vero rimane il concetto della disponibilità del bene vita nel rapporto tra medico e paziente. Se il paziente non condivide quel che il medico ha giurato, e per questo solo fatto si determina la sua volontà, può valere qualsiasi cosa… Eutanasia e accanimento terapeutico sono principi relativi.
Nel codice deontologico ci sono le risposte necessarie a questa problematica?
Ci sono tutte le risposte che servono. Bisogna leggere il codice deontologico nel suo insieme, corredato dal giuramento professionale, che è l’interfaccia positiva del codice deontologico. Da una parte i principi, dall’altra le sanzioni. Non ha senso leggere il codice deontologico articolo per articolo. Lo si deve leggere nel suo insieme, con accanto il giuramento professionale.
C’è e in che cosa consiste il conflitto tra volontà espresse in precedenza dal paziente e posizione di garanzia del medico?
Deve essere tutto contestualizzato all’interno dell’alleanza terapeutica. Quando si trattano queste problematiche, ci deve essere una persona che conosce il paziente da tantissimo tempo, in grado di capire come ragionava prima e come ragiona ora. Che cosa vuol dire poi volontà espresse? Io non so neanche cosa penserò tra dieci minuti rispetto ad una situazione nuova che non ho mai provato. Ad esempio: cosa si fa nei casi di coma? Ci sono casi documentati in cui si pensava si trattasse di coma profondo e invece … Nel dubbio, mi asterrei dall’intervenire. Purtroppo viviamo un tempo in cui la capacità umana viene insegnata veramente poco, in cui la scienza è sopravvalutata, un tempo in cui vengono erogate le prestazioni, anche specialistiche, ma c’è poca cura del paziente.
Nel corso della sua professione ha mai avuto problemi, nel senso di denunce legali, nel caso di interventi contrari alle indicazioni del paziente che pur hanno consentito di salvare la vita o di ristabilire un equilibrio di salute o di sospensione di terapie sproporzionate da cui è derivata la morte del paziente?
Una volta mi è capitato di predisporre un parere ufficiale su un caso che si presentava molto difficile. Un paziente ricoverato in un Ospedale di Milano, affetto da Sla, aveva redatto disposizioni anticipate, nelle quali sosteneva di non voler ricevere interventi invasivi. Il direttore dell’Ospedale mi chiedeva cosa fare. Dopo alcune indagini, si scopre il cattivo rapporto esistente tra medico e paziente. Il paziente non aveva fiducia e il medico aveva paura di essere denunciato dai familiari. All’Ospedale è stato chiesto perché il paziente non venisse trasferito. La risposta fu: perché bisogna rispettare i turni. Da questo episodio si può trarre la lezione che le dichiarazioni anticipate (o il testamento biologico, se vi sarà mai una legge) si fanno quando c’è una paura (di quello che succederà, di fare del male ai propri familiari, di non essere più quelli di una volta) e che la medicina difensiva è causata da un’eccessiva trasformazione in senso legale della nostra professione.
L’implementazione delle cure palliative e dell’assistenza domiciliare, delle strutture di lungodegenza e degli Hospice possono essere una risposta all’eutanasia e all’abbandono terapeutico? Come si presenta la sua realtà geografica da questo punto di vista?
Sono assolutamente fondamentali, con un risultato scientificamente obiettivabile, sempre nel campo della cura: un po’ meno la cura del corpo, un po’ più la cura dell’anima. La cura palliativa pensa all’obiettivo finale della persona, quello di essere felice: è questo quello che fa la differenza, in un punto della vita in cui poco può fare la tecnica. Il problema è come mettere insieme il concetto di buona amministrazione con quello di buon governo. Io penso che i buoni amministratori non debbano dormire la notte per fare vivere questo connubio.
Fa parte dell’Editorial Board della rivista "Neurological Sciences".
Già membro del Consiglio Superiore di Sanità. Presidente. Past-President della World Federation of Catholic Medical Associations. Membro del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute e della Pontificia Accademia per la Vita. Presidente della Fondazione "Morpurgo-Hoffman" di Udine, con finalità di studio ed assistenza nel campo dei problemi degli anziani.
Assolutizzare, come si intenderebbe fare, il principio di autodeterminazione, mette a rischio uno dei cardini dell’ordinamento giuridico (l’indisponibilità del bene-vita) e riduce ad una concezione contrattualistica la relazione medico-paziente. Illuminanti, sotto quest’aspetto, sono alcune linee guida pubblicate su autorevoli riviste scientifiche della Gran Bretagna, dove il living will (dichiarazioni anticipate di volontà) è già in atto. In base ad esse, laddove manchino direttive anticipate, scritte o espresse in forma orale inequivocabile e documentata, colui che fa le veci del paziente incosciente, può assumere decisioni riguardanti la vita del malato ‘interpretando’ quale avrebbe potuto essere la scelta o effettuando egli stesso le scelte, sulla base di quel che ritiene essere ‘il miglior’ interesse del paziente. Malgrado il fatto che numerosi studi abbiano dimostrato che di fronte alle ipotesi di decisioni di fine vita, le scelte del fiduciario sono discordanti da quelle espresse dal paziente.
E negli altri Paesi, cosa avviene?
I dati belgi e olandesi riguardanti le decisioni di fine vita nei bambini di età inferiore ad un anno, sono molto interessanti. L’assenza di reali speranze di sopravvivenza o l’aspettativa di una scarsa qualità, portano a decidere per la fine della vita in circa il 60% dei bambini. Si rileva, d’altra parte, che il 79% dei medici ritiene proprio dovere professionale ridurre le sofferenze affrettando la morte (ovviamente sempre nel ‘migliore interesse’ del piccolo paziente). E questo in base al principio di autodeterminazione esercitato per conto di un paziente non in grado di esprimere autonomamente le proprie scelte. In Colorado, un bambino di 5 anni gravemente disabile (ma in grado di frequentare una scuola appropriata) è stato fatto morire a seguito della sospensione di idratazione e nutrizione decisa dai suoi genitori, con l’autorizzazione del magistrato. In Svizzera e nell’Oregon, sulla base del principio di autodeterminazione, è stato legalizzato il suicidio medicalmente assistito e nel novembre 2006 l’Alta Corte di Losanna ha emanato linee guida per le persone affette da ‘disturbi psicologici gravi, permanenti e curabili’: in nome dell’autodeterminazione del paziente depresso, viene quindi raccomandato di assecondarne le scelte di morte.
Quale esperienza si dovrebbe trarre da questi casi?
Quel che accomuna questi casi così disparati è l’assolutizzazione di un concetto di libertà che finisce per non riconoscere più il valore della vita, fondamento dell’autonomia stessa e ha bisogno di negare e contraddire la vita per affermarsi. In Italia, molti dei sostenitori dell’autodeterminazione assoluta si dichiarano, in totale buona fede, contro l’eutanasia, riconoscendo come eutanasia solo quella attiva. Per tale mentalità, l’eutanasia per omissione non esisterebbe e la sospensione dell’assistenza di base (incluse idratazione e nutrizione) – benché capace di portare a morte certa il paziente – sarebbe solo un’affermazione di autonomia che il medico sarebbe chiamato a rispettare. La consapevolezza di quanto è accaduto e sta accadendo all’estero in nome di un principio di autodeterminazione assunto a idolo, dovrebbe allora portare i suoi sostenitori italiani, se davvero in buona fede, a far sì che ogni eventuale intervento legislativo in materia di dichiarazioni anticipate di volontà (che non ritengo auspicabile) venga comunque blindato in modo tale da contemperare l’autonomia delle scelte con il valore sociale del bene vita.
Che cosa intende per accanimento terapeutico?
Si tratta di interventi che non hanno più speranza alcuna di portare un giovamento per le condizioni di vita e salute del paziente. Sono destinati a soddisfare aspettative irrealistiche da parte del paziente o dei familiari in un delirio di onnipotenza del medico.
Che cosa intende per eutanasia?
Intendo qualunque azione od omissione che per sua natura, e nelle intenzioni, è destinata ad abbreviare la vita del paziente con lo scopo di ridurne le sofferenze.
Nel codice deontologico ci sono le risposte necessarie a questa problematica?
A mio avviso, sì. Viene delineato un metodo di comportamento, che tende a rifiutare in ogni caso un approccio eutanasico, anche se non è detto chiaramente che ciò riguarda anche l’eutanasia da omissione di intervento e viene delineato un metodo decisionale fondato sulla responsabilità del medico, il rispetto del paziente e dei suoi orientamenti e il rifiuto dell’accanimento terapeutico all’interno di una relazione che non è né di paternalismo né di autodeterminazione assoluta, ma di alleanza terapeutica.
C’è e in che cosa consiste il conflitto tra volontà espresse in precedenza dal paziente e posizione di garanzia del medico?
Il conflitto si determina solo laddove l’autodeterminazione del paziente viene a costituire un valore assoluto, anche a scapito del bene primario della vita, che è indisponibile. Inoltre il conflitto è più facile a determinarsi laddove le decisioni dovessero essere sostenute nell’interesse del paziente da un cosiddetto fiduciario, autorizzato ad interpretarne la volontà.
Nel corso della sua professione ha mai avuto problemi, nel senso di denunce legali, nel caso di interventi contrari alle indicazioni del paziente che pur hanno consentito di salvare la vita o di ristabilire un equilibrio di salute o di sospensione di terapie sproporzionate da cui è derivata la morte del paziente?
No, è avvenuto semmai il contrario.
Può indicare la differenza tra testamento biologico e pianificazione dei trattamenti, contestualizzata nella relazione medico-paziente?
Pianificazione dei trattamenti è qualcosa che si colloca all’interno della relazione di alleanza terapeutica; prevede la discussione con il medico dei trattamenti più opportuni relativamente a criteri di efficacia, efficienza, tollerabilità da parte del paziente.
L’implementazione delle cure palliative e dell’assistenza domiciliare, delle strutture di lungodegenza e degli Hospice possono essere una risposta all’eutanasia e all’abbandono terapeutico? Come si presenta la sua realtà geografica da questo punto di vista?
Certamente sì, anche se si tratta di una risposta parziale che prevede comunque una scelta precisa di rispetto per la vita. Laddove questo non ci fosse, anche un reparto di cure palliative può trasformarsi in un luogo di abbandono terapeutico o di eutanasia. Si tratta quindi di riaffermare a monte il valore primario e l’indisponibilità del bene vita e la collocazione della libertà di decidere del paziente all’interno dell’oggetto in discussione nella scelta e del valore sociale della stessa.
Se fosse possibile valuterei questa problematica all’interno del codice deontologico, tenendo presente lo strettissimo rapporto che deve intercorrere tra medico e paziente. I principi che provengono da centinaia e centinaia di anni sono stati rispettati. Su questo non ho dubbi. Direi che è necessario prestare attenzione alla cura del paziente; intendo, a questo proposito, la capacità del medico di prendersi cura della persona. Forse negli ultimi tempi si è dedicata troppa attenzione alla terapia. Riuniamo terapia e cura per esseri veri medici nel rispetto della persona.
Che cosa intende per accanimento terapeutico?
Accanimento terapeutico è tutto ciò che, in maniera estrema, è indirizzato verso la cura della malattia anziché verso la cura della persona. In questo senso, non ritengo ci possa essere una legge che ci dice che cosa è o che cosa non è accanimento terapeutico.
Che cosa intende per eutanasia?
Intendo quando il medico fa atti che sono direttamente di nocumento per la sopravvivenza dell’individuo. Facciamo riferimento al giuramento ippocratico: il medico non può togliere la vita all’individuo, la deve salvaguardare.
Nel codice deontologico ci sono le risposte necessarie a questa problematica?
All’interno del codice deontologico esistono tutte le risposte relativamente a questa problematica. Se ci fosse bisogno di approfondire, questo potrebbe essere fatto nell’ambito del commentario del codice deontologico.
C’è e in che cosa consiste il conflitto tra volontà espressa in precedenza dal paziente e posizione di garanzia del medico?
Il paziente X non può dire al medico Y di fare quel che egli vuole, in assoluto. Il prendersi cura è un lungo percorso, che può caratterizzare le intese tra medico e paziente, rispettose di entrambe le volontà. La determinazione del paziente deve confrontarsi con la morale, il sentire, la professionalità del medico.
Nel corso della sua professione ha mai avuto problemi, nel senso di denunce legali, nel caso di interventi contrari alle indicazioni del paziente che pur hanno consentito di salvare la vita o di ristabilire un equilibrio di salute o di sospensione di terapie sproporzionate da cui è derivata la morte del paziente?
Non ho mai avuto problemi, almeno fino ad ora.
Può indicare la differenza tra testamento biologico e pianificazione dei trattamenti, contestualizzata nella relazione medico-paziente?
Il termine pianificazione dei trattamenti è un po’ rischioso. Ogni paziente ha una sua storia. La medicina rappresenta l’ars suprema fatta di scienza, conoscenza, umanità. Si sente e si vive questo quando si opera; non lo si può determinare.
L’implementazione delle cure palliative e dell’assistenza domiciliare, delle strutture di lungodegenza e degli Hospice possono essere una risposta all’eutanasia e all’abbandono terapeutico? Come si presenta la sua realtà geografica da questo punto di vista?
Sono risposte molto efficaci e costituiscono l’antidoto a richieste eutanasiche. Io stesso sono fondatore di un Hospice e devo dire che la realtà geografica in cui vivo è molto positiva da questo punto di vista.
Sono assolutamente contrario ad una norma, perché ritengo che di leggi che in qualche maniera interferiscono nel rapporto medico-paziente ce ne sono già troppe. Le volontà, le decisioni, si costruiscono nella relazione tra medico e paziente. Tutto quel che interferisce in questa relazione è pericoloso.
Che cosa intende per accanimento terapeutico?
Quando, da una valutazione che emerge da quel singolo caso – e non da casi astratti – fa scaturire un’operazione che miri a terapie sproporzionate per eccesso, c’è accanimento terapeutico.
Che cosa intende per eutanasia?
Determinata, consapevole scelta di porre termine alla vita. Attiva o passiva, non fa differenza. L’eutanasia interrompe comunque un percorso di vita.
Nel codice deontologico ci sono le risposte necessarie a questa problematica?
No. Il codice deontologico ha l’unico vantaggio di non essere ultimativo, ha una dose di ambiguità, che può essere un’opportunità da utilizzare nel rapporto medico-paziente. Il codice deontologico è un precetto, poi ci dev’essere dell’altro, soprattutto le norme morali.
C’è e in che cosa consiste il conflitto tra volontà espresse in precedenza dal paziente e posizione di garanzia del medico?
Si inseriscono tanti temi in questa domanda. Sottolinerei innanzitutto come l’autonomia, la libertà del medico non sono strumenti che possono essere affidati al paziente. Occorre una contestualizzazione delle due volontà. Oggi c’è una grande confusione nell’uso dei termini; è incredibile, ad esempio, la confusione che si fa tra sanità e salute. Bisogna ritrovare il tempo per una riflessione complessiva su questi temi.
Nel corso della sua professione ha mai avuto problemi, nel senso di denunce legali, nel caso di interventi contrari alle indicazioni del paziente che pur hanno consentito di salvare la vita o di ristabilire un equilibrio di salute o di sospensione di terapie sproporzionate da cui è derivata la morte del paziente?
Mai.
Può indicare la differenza tra testamento biologico e pianificazione dei trattamenti, contestualizzata nella relazione medico-paziente?
Il testamento biologico è un concetto estensivo, lo definirei una scaffalatura dove bisogna mettere dei libri; per quanto riguarda la definizione di pianificazione dei trattamenti, direi che tutto quello che è catalogato non tiene conto di un fattore imponderabile, l’imperfezione dell’essere umano. Come comprende, sono contrario a qualsiasi cosa statuita che condizioni in qualche modo il rapporto medico-paziente. Oggi fare il medico è molto difficile; lo si può fare bene con il dialogo, potenziando il rapporto medico- paziente ed anche tenendo presente quanto sostiene Emanuele Severino: nel mondo d’oggi si fa una gran confusione tra mezzi e fini e la tecnoscienza è la confusione tra mezzi e fini. A questo, occorre stare molto attenti.
L’implementazione delle cure palliative e dell’assistenza domiciliare, delle strutture di lungodegenza e degli Hospice possono essere una risposta all’eutanasia e all’abbandono terapeutico? Come si presenta la sua realtà geografica da questo punto di vista?
Ha detto bene: possono essere una risposta. Sulle forme del morire occorrono risposte differenziate e a mio avviso, queste strutture devono essere affidate ai medici di famiglia o di fiducia del paziente. Ho molto timore delle cosiddette case della salute. Insomma, non voglio fare l’idraulico della morte, il medico che chiude il rubinetto. Spero ci sia sempre per il medico la possibilità dell’obiezione di coscienza.
Attualmente, alcuni cercano in tutte le maniere di far entrare una norma di questo tipo nella legislazione, ma è bene tenere presente che dal punto di vista pratico è inutile, perché ci sono già delle norme, sia della legislazione generale sia del codice deontologico, che prevedono la possibilità di continuare o arrestare le cure.
Che cosa intende per accanimento terapeutico?
La situazione attuale è di sovrabbondanza di cure, semmai, ma mai di accanimento terapeutico, che è contrario all’etica del medico.
Che cosa intende per eutanasia?
La definirei in questo modo: intromissione indebita dell’umano nel cammino di una vita di una persona, che può avvenire in qualunque stadio della vita, per un feto o per una persona in coma. Si ha eutanasia, quando una persona giudica che un suo simile non sia più capace di avere una vita normale. Io lavoro in rianimazione. Posso contraddire l’affermazione che fu fatta da alcuni, soprattutto esponenti del Partito Radicale, che è comune pratica l’eutanasia negli ospedali italiani. Circostanza non confermata neppure da una recente indagine fatta dall’Ordine dei Medici italiano.
Nel codice deontologico ci sono le risposte necessarie a questa problematica?
Direi proprio di sì. L’art. 22 del codice deontologico dice, ad esempio, che il medico non può perpetuare l’accanimento terapeutico.
C’è e in che cosa consiste il conflitto tra volontà espresse in precedenza dal paziente e posizione di garanzia del medico?
Il testamento biologico in fondo è questo: io, oggi, sano, cosciente e libero di mente, impressionato da quel che mi potrebbe accadere, mi rivolgo ad un tutore che mi deve preservare da un’eventuale probabile sofferenza. E se maturasse, in futuro, una soluzione diversa? L’evoluzione della medicina, del resto, dà un’idea di come le offerte tecnologiche cambino di anno in anno. Diceva Cicerone: non c’è una sola persona anziana che non voglia aggiungere un solo giorno alla sua vita.
Nel corso della sua professione ha mai avuto problemi, nel senso di denunce legali, nel caso di interventi contrari alle indicazioni del paziente che pur hanno consentito di salvare la vita o di ristabilire un equilibrio di salute o di sospensione di terapie sproporzionate da cui è derivata la morte del paziente?
No. Nella vita di ogni anestesista-rianimatore tutti hanno un dossier, un libro-nero di denunce che sono state fatte. Io sono stato fortunato in questo senso. Casomai, mi è capitato di riscontrare, da parte dei parenti, che questi elaborino la convinzione di aver ricevuto qualcosa in meno dalla struttura sanitaria.
Può indicare la differenza tra testamento biologico e pianificazione dei trattamenti, contestualizzata nella relazione medico-paziente?
Con il testamento biologico, a mio avviso, si verrebbe a perdere il rapporto fiduciario tra medico, paziente e parenti del paziente.
L’implementazione delle cure palliative e dell’assistenza domiciliare, delle strutture di lungodegenza e degli Hospice possono essere una risposta all’eutanasia e all’abbandono terapeutico? Come si presenta la sua realtà geografica da questo punto di vista?
E’ una delle prospettive più impegnative per la nostra società, che si impegna molto sul come trovare l’immortalità del nostro corpo, che però non appartiene alla nostra dimensione umana. Come si dice in inglese, “I care”, mi prendo cura di te. Se oltre quel limite non posso andare, mi prendo cura di te in un altro modo. E’ verso questo che va indirizzata la ricerca della medicina. Finora si sono deliberatamente dimenticati di approfondire questo aspetto della medicina. Nella mia zona, la situazione, da questo punto di vista, è molto carente. Si parla, si dice, si progetta, ma queste strutture di lunga degenza sono povere e poco assistite e spesso, quel che più è grave, si deve ricorrere a strutture di carattere privato per curare e assistere i pazienti che escono dalla rianimazione.
Non sono favorevole al testamento biologico, perché snatura la relazione medico-paziente, è una negazione della specificità e della peculiarità di questo rapporto.
Che cosa intende per accanimento terapeutico?
E’ una pratica in cui si mettono in gioco dei mezzi di cura sproporzionati, nei confronti di una situazione che non ha possibilità di recupero.
Che cosa intende per eutanasia?
La definirei un’azione che ha come scopo la messa a morte di una persona. La messa a morte è nelle intenzioni dell’azione.
Nel codice deontologico ci sono le risposte necessarie a questa problematica?
Direi di sì, perché si parla del prendersi cura delle persone, e certamente non di ricorrere all’eutanasia.
C’è e in che cosa consiste il conflitto tra volontà espresse in precedenza dal paziente e posizione di garanzia del medico?
Esiste un conflitto quando la volontà del paziente esprime una volontà suicidiaria. Una circostanza che teoricamente si può determinare. Faccio il medico da ventisei anni, mi sono sempre occupato di questi problemi e non ho mai vissuto situazioni di questo tipo.
Nel corso della sua professione ha mai avuto problemi, nel senso di denunce legali, nel caso di interventi contrari alle indicazioni del paziente che pur hanno consentito di salvare la vita o di ristabilire un equilibrio di salute o di sospensione di terapie sproporzionate da cui è derivata la morte del paziente?
No. Quando prendo in carico la vita di una persona, cerco sempre di instaurare una relazione… percorso condiviso, con quella persona, con i suoi familiari. E’ un cammino comune, se vuole. Tante volte ho dovuto discutere e lo faccio nello spirito di questo cammino comune.
Può indicare la differenza tra testamento biologico e pianificazione dei trattamenti, contestualizzata nella relazione medico-paziente?
Oggi c’è il consenso informato, che è un atto di sottoscrizione di un percorso di cura. La differenza tra consenso informato e testamento biologico è che non c’è la contestualità degli eventi. Con il consenso informato si decide oggi per domani, con il testamento biologico si decide di qui a vent’anni o più.
L’implementazione delle cure palliative e dell’assistenza domiciliare, delle strutture di lungodegenza e degli Hospice possono essere una risposta all’eutanasia e all’abbandono terapeutico? Come si presenta la sua realtà geografica da questo punto di vista?
Sicuramente. Se non possono azzerare il problema, lo attenuano e per la realtà in cui opero, quella lombarda, devo dire che queste strutture esistono ed hanno standard di buona qualità.
E’ coordinatore regionale delle donazioni e dei prelievi di organi e tessuti della Regione Piemonte. E’ docente di “procurement di organi e tessuti” presso la scuola di specializzazione in Anestesia e Rianimazione dell’Università di Torino. E’ stato nominato esperto del Consiglio Superiore di Sanità per il triennio 2003-2005. E’ membro della Consulta Tecnica Permanente per i Trapianti presso l’Istituto Superiore di Sanità, ed è vicepresidente del Comitato regionale Trapianti della regione Piemonte. Coltiva personale interesse per le questioni bioetiche, ha partecipato per anni ai lavori del Gruppo Cattolico di Bioetica di Torino, (oggi Associazione Bioetica e Persona) e tiene lezioni di bioetica in corsi organizzati dalla sezione di Torino della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale o da altre istituzioni cattoliche.
Se limitata solo su alcuni casi, di paziente cosciente, come rinforzo per il paziente informato, potrebbe avere un suo significato. Ho visto SLA o distrofie di pazienti che non volevano andare in respirazione artificiale e che si sono trovati ventilati contro la propria volontà, Mi piacerebbe che chi ha un malattia chiara, conosciuta, con un percorso terapeutico concordato possa stabilire come affrontarla, in modo che anche altri medici possano uniformarsi. In questo senso, una norma che tuteli questa possibilità può delineare un percorso già programmato.
Se il paziente esprime un vero testamento biologico deve essere limitato ad una malattia conosciuta nel momento in cui sottoscrive il testamento biologico, che può essere inteso in qualche modo come la formalizzazione di un percorso programmato di cure. Se perdo conoscenza perché ho la sclerosi, deve esistere qualcosa che mi impedisca che qualcuno mi tagli la gola. So bene, che quest’impostazione è molto diversa dal contenuto delle proposte di legge sul testamento biologico in discussione. Ma è questo quel che penso su questa materia.
Che cosa intende per accanimento terapeutico?
L’utilizzo di mezzi terapeutici eccessivi per il trattamento di patologie evolutive o mezzi che provocano troppa sofferenza, che il paziente non desidera o trattamenti tesi a procrastinare inutilmente, di poco tempo, una morte inevitabile. Le tre fattispecie non sono necessariamente unite. Se io medico ho in cura una persona matura consapevole che non regge la terapia, le faccio violenza e quindi faccio accanimento.
Che cosa intende per eutanasia?
E’ un atto teso a dare la morte ad un soggetto ammalato che la richiede o anche ad un soggetto ammalato che non la richiede, ma ritenuto congruo abusivamente dal suo medico per farlo morire.
Nel codice deontologico ci sono le risposte necessarie a questa problematica?
Sì, in modo volutamente e utilmente generico. Secondo me questa è materia da deontologia professionale, non da casistica. Basta il codice deontologico per trattare questa materia; è sufficiente nella sua voluta genericità, perché questa considera tutte le fattispecie che si possono venire a determinare.
C’è e in che cosa consiste il conflitto tra volontà espresse in precedenza dal paziente e posizione di garanzia del medico?
Può esistere un conflitto se la volontà espressa precedentemente non può conoscere le articolazioni di quel che può avvenire a distanza di tempo, anche di molti anni. Questo relativamente ad ogni situazione soggettiva, perché tutte le situazioni sono diverse una dall’altra. Non esiste un conflitto teorico, perché la volontà del paziente deve essere sempre rispettata.
Laddove il paziente ha dato delle disposizioni generiche di volontà, il conflitto può nascere dal fatto che quando le ha date non sapeva quando, come, di che cosa si sarebbe ammalato.
Nel corso della sua professione ha mai avuto problemi, nel senso di denunce legali, nel caso di interventi contrari alle indicazioni del paziente che pur hanno consentito di salvare la vita o di ristabilire un equilibrio di salute o di sospensione di terapie sproporzionate da cui è derivata la morte del paziente?
No, mai.
Può indicare la differenza tra testamento biologico e pianificazione dei trattamenti,
contestualizzata nella relazione medico-paziente?
La differenza sta proprio nella contestualizzazione. Se c’è una malattia, contestualmente c’è una decisione e quindi pianificazione dei trattamenti. Nel caso del testamento biologico questa decisione può essere presa anche vent’anni prima.
L’implementazione delle cure palliative e dell’assistenza domiciliare, delle strutture di lungodegenza e degli Hospice possono essere una risposta all’eutanasia e all’abbandono terapeutico? Come si presenta la sua realtà geografica da questo punto di vista?
Possono essere una risposta parziale e dovuta, se toccano la maggioranza dei casi. Per la maggior parte dei casi quindi la risposta è sì; è un po’ falso e illusorio dire che con questo si risolve tutto. E’ l’illusione contraria a quella del testamento biologico. Sono cose necessarie e un diritto, ma esistono situazioni, sia pur poche – e di quelle poche situazioni si deve pur tener conto per avere una visione d’insieme – rispetto alle quali le cure palliative e le strutture di assistenza non risolvono il problema. Una persona intellettualmente onesta non può dire che con le cure palliative – che vanno molto bene per i neoplastici, per i neurotici progressivi un po’ meno – si risolve tutto; si limita il sorgere di una richiesta eutanasica, certamente.