LIBERI PER VIVERE 1 / Parole e immagini dell’operazione
IL VOLTO, LO SGUARDO,
LA MANO, LA CURA
di Maria Luisa Di Pietro
Il volto, lo sguardo, la mano. Parole che interpellano ancor prima di ogni altra forma di comunicazione.
“Dal volto – si legge nel De anima – si riconosce la saggezza dell’uomo. Raffigurati nel nostro volto appaiono gli occulti pensieri e attraverso questa parte del corpo si intravede l’interiore situazione dell’anima e della volontà. Il nostro volto […] è proprio come lo specchio dell’anima, si possono però osservare le sue manifestazioni in maniera chiarissima dall’aspetto del volto”.
Ed è da questo riconoscimento che nasce la “pre-occupazione” per l’altro. Perché il prendersi cura è sempre condizionato dal riconoscimento del valore dell’altro e dalla capacità di vedere l’altro nei suoi concreti bisogni di persona umana: “Se davvero si vuole aiutare qualcuno – scrive Kierkegaard -, bisogna prima scoprire dove si trova. Questo è il segreto dell’assistenza. Se non si può scoprirlo, è solo un’illusione credere di poter aiutare un altro essere umano”.
Chi è l’altro? Chiunque si trova nel bisogno perché soffre nel corpo e nell’anima. Chiunque sperimenti quel “dolore totale” (fisico, psicologico, esistenziale) che la malattia porta con sé. Nel coinvolgere la globalità della persona modificando l’immagine di sé e il mondo di relazioni, la malattia mette inevitabilmente in discussione il senso e il significato della propria esistenza. Dal corpo malato si alza un lamento, manifestazione di paura per il degrado del corpo e per l’incapacità di gestire l’ignoto. Il malato non si limita a chiedere spiegazioni, ma invoca aiuto.
La cura è la risposta a questa richiesta di aiuto: una risposta che non è solo tecnica, ma – innanzitutto – profondamente umana; una risposta che deve provenire non solo dagli operatori sanitari, ma anche da tutto il contesto familiare e amicale in cui il malato vive; una risposta che deve radicarsi in una cultura ove la parola “com-passione” possa essere ancora pronunciata. Quella com-passione che non è pietà, bensì capacità di uscire da se stessi per essere con l’altro; quella com-passione che non lascia indifferenti né insensibili al dolore altrui e chiama alla solidarietà con chi sta soffrendo. Quella com-passione che, alimentata dall’Amore e dal ri-conoscimento dell’altro, consente di andare al di là del limite imposto dalla malattia affinché non sia solo esperienza di ciò che manca, ma anche quanto si possiede.
Lo sguardo come ethos del ri-conoscimento dell’altro; lo sguardo come logos per comunicare Amore all’altro. Laddove nessuna parola appare più adeguata o sufficiente, uno sguardo d’Amore è in grado di consolare, di far sentire meno soli, di far dimenticare il degrado del proprio corpo. Ed accanto allo sguardo, la mano.
La mano che non è solo una struttura anatomica, ma è anche manifestazione evidente del fatto che – come scrive Hengstenberg – “l’uomo non è solo un organismo animale con l’aggiunta della coscienza che lo sopraeleva. E’ l’unico essere che ha un corpo, mentre nell’animale si può parlare solo di organismo […] L’essere rivolti all’oggettività (o senso) ha cooperato nella morfologia delle membra e degli organi umani, e lo stesso vale per il corpo”. La mano che stringe la mano di chi è nel bisogno è segno di quella sensibilità che “l’uomo senza mano”, nell’accezione data da Gadamer, sembra oggi aver perduto.
LIBERI PER VIVERE 2 / L’autodeterminazione nuova ideologia
SE DAVVERO AMIAMO LA LIBERTA’
NON E’ BENE CHE L’UOMO SIA SOLO
di Lorenzo Schoepflin *
“La mia libertà finisce dove inizia quella degli altri”. Quante volte abbiamo sentito risuonare questo pensiero, tramutatosi ormai in luogo comune, quando la discussione sul grande tema della libertà diventa più accesa? Un modo per esprimere un’idea che oggi pare andare per la maggiore: ogni azione del singolo individuo è lecita fin quando non lede i diritti altrui e non priva il prossimo di ciò che gli appartiene, a prescindere dagli esiti dell’azione stessa.
Eppure, se ci soffermiamo a riflettere, non si può fare a meno di notare lo stridente contrasto con la nostra esperienza di uomini. La comunità umana, così come viene raffigurata dai sostenitori della libertà individuale, ci appare come una miriade (circa sei miliardi, in continua ascesa!) di insiemi disgiunti. Nulla in comune tra me e l’altro da me, nulla che riguardi la mia sfera personale che sia patrimonio da porre in relazione con gli altri. Nessuno può negare che tutto questo non abbia la minima corrispondenza coi fatti della storia del genere umano e con quella di ciascuno di noi: la famiglia, la scuola, il luogo di lavoro, solo per citare alcuni esempi di vita quotidiana, presentano situazioni in cui il “mio” tempo, le “mie” scelte, le “mie” idee necessitano di un confronto costante con gli altri, anche quando non invadono gli spazi di chi mi sta di fronte.
Altrettanto innegabilmente si rende necessario fare i conti con molti paradossi delle nostra epoca, quella di facebook, dei social network, della e-mail, delle chat, dei rapporti personali a portata di mouse. Il primo dei quali è proprio questo: la diretta proporzionalità tra la frenesia e la rapidità dei contatti con il resto del mondo e la totale autodeterminazione eretta a totem delle proprie decisioni, della gestione di sé, quasi come se gli altri neppure esistessero.
In secondo luogo, non può sfuggire a quali conclusioni giungono i teorici dell’autodeterminazione tout-court: una libertà che si spinge a negare la sorgente del suo stesso essere, che è la vita ad ogni suo stadio, subordinata appunto ai desideri dell’individuo.
Infine, nel tempo in cui l’aiuto al debole, all’indigente, all’emarginato, che è prima di tutto attenzione e relazione con lui, viene visto come segno di civiltà e di progresso e magari usato come metro di giudizio delle politiche di un governo, ecco che all’essere umano in estremo bisogno, in stato di totale fragilità, vengono sottratti i nutrimenti vitali in nome della libertà individuale. Portando tutto alle estreme conseguenze, fino a consentire a qualcuno di affermare che l’aiuto e l’amore di chi, con spirito caritatevole e gratuito, assiste il prossimo, umiliano in quanto elemosina non richieste. Se questo è il pedaggio da pagare sulla strada della libertà individuale e della autodeterminazione, che alla luce di quanto detto si mostrano come vere e proprie ideologie in aperto contrasto con l’autentica natura umana, molto laicamente vien da dire: “Non è bene che l’uomo sia solo”.
*Presidente Scienza & Vita Arezzo
LIBERI PER VIVERE 3 / L’incontro straordinario a Roma dei presidenti
FORMARE E INFORMARE
SULLE CONDIZIONI DI FRAGILITA’
di Emanuela Vinai
Erano quasi tutti presenti i presidenti delle 93 associazioni locali di Scienza & Vita all’incontro straordinario di sabato 18 aprile per la presentazione dell’iniziativa “Liberi per Vivere”.
I lavori, condotti dalla presidente Maria Luisa Di Pietro e dai consiglieri Edoardo Patriarca e Daniela Notarfonso, sono stati caratterizzati da un ampio e articolato dibattito che ha visto prevalere il consenso ma anche emergere alcune pensosità che hanno innescato un costruttivo confronto.
L’opera di coscientizzazione popolare che l’associazione Scienza & Vita, di concerto con il Forum delle Associazioni familiari, Retinopera e altre 38 realtà, (Associazioni, Movimenti e organismi di ispirazione cristiana), sta portando in tutta Italia, è in linea con quanto auspicato dal cardinale Angelo Bagnasco nella sua prolusione al Consiglio permanente della Cei.
Come ricordato in apertura dell’incontro dalla presidente di Scienza & Vita, Maria Luisa Di Pietro, l’obiettivo dichiarato è quello di mettere in atto una diffusa azione di formazione e informazione relativamente alle condizioni di fragilità, ivi compreso il fine vita. Partendo proprio dal disinnescare quelle ambiguità di linguaggio che considerano “fine vita” anche quelle condizioni che tali non sono, quali ad esempio tutti quei casi in cui, per disabilità gravissima o malattie neurodegenerative, ci si ritrova nell’incapacità di intendere e di volere.
E’ importante riuscire ad intervenire nel dibattito pubblico a tutti i livelli: gli strumenti a disposizione per farlo sono molteplici, così da offrire momenti di riflessione comunitaria alla luce sia della ragione sia della fede.
L’approccio da mettere in atto vuole promuovere un’iniziativa di sensibilizzazione sull’importanza del prendersi cura delle persone in condizione di particolare fragilità.
Poiché l’obiettivo è la formazione educativa permanente e tale azione coglie i suoi frutti sul lungo periodo, vi è la necessità di un’attività capillare sul territorio che registri l’impegno generoso e convinto di gruppi e comunità nell’organizzazione di centinaia di incontri.
La “mission” fatta propria da Scienza & Vita è quella di far percepire la dignità della persona attraverso lo “sguardo”. Questo infatti è il leit motiv dell’iniziativa, che si sviluppa sullo slogan “Uno sguardo può vincere la solitudine”, corroborato da un’immagine particolarmente evocativa. Il tutto sulla scia dell’intuizione di Benedetto XVI nell’enciclica “Deus caritas est”, laddove ha allargato gli orizzonti di senso con l’affermazione: è necessario un cuore che vede il bisogno degli altri.
L’iniziativa vedrà l’utilizzo di una vasta serie di materiali che sono già in stampa e che presto raggiungeranno ogni angolo d’Italia per coadiuvare i volontari nel condurre le riflessioni.
LIBERI PER VIVERE 4 / Ecco tutti gli strumenti dell’operazione
SEDICI MILIONI DI DEPLIANT
PER PARLARE A TUTTI GLI ITALIANI
di Beatrice Rosati
Più di 16 milioni di dépliant, 33.250 lettere, 74.080 poster e manifesti, 29.345 espositori. Tante, tantissime dunque le copie in produzione, eppure già lo sappiamo: probabilmente non basteranno! Proprio in queste ore, mentre tutto è in stampa, mentre gli inchiostri non sono ancora asciutti sulla carta appena impressa, stanno arrivando copiose le richieste dei materiali da parte di tutte le 40 associazioni, movimenti e aggregazioni laicali che, oltre a Scienza & Vita, hanno sottoscritto per prime, il 20 marzo scorso, il Manifesto "Liberi per Vivere".
Apripista ad una grande nuova opera di coscientizzazione popolare sul tema del "fine vita" nel nostro Paese.
L’appello è rivolto a tutti coloro, laici e cattolici, che vogliono mettersi in gioco in prima persona facendosi parte attiva di questo grande progetto culturale che ha come fil rouge "Diventa con noi Portavoce della Vita" posto a firma di tutti i materiali dell’iniziativa.
I 41.700 kit realizzati contengono dunque diversi materiali. Il Manifesto valoriale sottoscritto da tutte le organizzazioni che hanno condiviso i principi ispiratori su cui l’iniziativa è stata avviata, rappresenta plasticamente i valori in gioco nel “fine vita”. Il poster promozionale intende a sua volta porre l’accento, in modo emotivo e coinvolgente, sulla solidarietà e la vicinanza a chi è più fragile e che, proprio in tale situazione è colto dalla paura della solitudine e dell’abbandono. E’ uno strumento realizzato per far soffermare l’osservatore non solo sull’importanza valoriale dell’iniziativa, ma anche e soprattutto per promuovere l’azione attiva, il prendere coscienza del tema. In una parola: il fare.
L’espositore “da banco” può essere posto comodamente ovunque e utilizzato in tutte le occasioni di incontro/eventi associativi, e contiene 400 dépliant esplicativi particolarmente indicati per incontri, catechesi, oltre che per promuovere e divulgare l’iniziativa in tutte le occasioni possibili.
Il dépliant svolge una funzione di guida, chiara e sintetica, attraverso tre diversi approcci metodologici all’approfondimento del tema. In particolare: L’anta di destra titolata "Il dono della vita", offre una vera e propria traccia catechetica e magisteriale. L’anta di sinistra che ha per titolo "La forza del limite" è dedicata invece alle questioni antropologiche. Nelle facciate interne del dépliant vengono infine riproposti i pilastri dei SI’ e dei NO su cui si basa tutta l’operazione.
Per quanto riguarda le attività sul web sono già disponibili diversi formati di banner, (a sviluppo orizzontale, verticale, a bottone, quadrotto, etc.). Sempre su web inoltre, attraverso il sito di Scienza & Vita è possibile ottenere tutte le informazioni utili in merito alle diverse attività e iniziative in corso, scaricare tutti i materiali della campagna e leggere la rassegna stampa aggiornata sul tema.
Sono previste anche ulteriori iniziative su internet, che non mancheranno di soddisfare i più accaniti frequentatori della rete e dei social forum, di cui daremo notizia prossimamente.
Le diverse associazioni, movimenti e realtà ecclesiali, hanno già ricevuto suggerimenti pratici e puntuali su come promuovere l’operazione all’interno delle loro rispettive associazioni.
Tutto ciò si tradurrà presto in una utile guida. Nei prossimi giorni infatti sarà a disposizione di tutti e scaricabile attraverso il sito web dell’associazione la guida del Portavoce, uno strumento utile sul piano contenutistico e promozionale a tutti coloro che con entusiasmo, spirito organizzativo e condivisione valoriale decideranno di farsi Portavoce della vita, per sostenere attivamente questo importante movimento culturale di amore per la vita fino alla fine.
La guida del Portavoce conterrà infatti utili suggerimenti per la promozione, alcune indicazioni di metodo, i servizi e i sussidi messi a disposizione dall’associazione Scienza & Vita anche sul fronte organizzativo, come ad esempio il centro di supporto alle richieste di relatori per la realizzazione di incontri e convegni.
La Corte ha determinato una situazione di confusione giuridica
LEGGE 40, NELLA SENTENZA DELLA CONSULTA
L’AVVISAGLIA DI RADICALI TEMPESTE
di Fabio Macioce *
La Corte Costituzionale, con una sentenza non ancora depositata, e dunque non criticabile seriamente o, quantomeno, non criticabile in una prospettiva strettamente giuridica, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, commi 2 e 3, della legge 40/2004. La Corte, in sostanza, ha dichiarato illegittima la norma che imponeva di procedere ad un unico e contemporaneo impianto di tutti gli embrioni, comunque non superiori a tre, prodotti mediante le tecniche di procreazione assistita;
ha detto cioè, per ragioni che aspettiamo di conoscere, che non è costituzionalmente ammissibile il limite di tre embrioni che la legge imponeva nelle procedure di Pma, e che è illegittimo imporre un unico impianto degli embrioni così prodotti.
Ora, da un punto di vista teorico generale è doveroso richiamare alla mente di tutti le ragioni che spinsero il legislatore del 2004 a elaborare tale limite; prima fra tutte, la più che ragionevole preoccupazione di evitare la formazione di embrioni cd. soprannumerari, ovvero di embrioni non impiantati, e il cui destino appare ancora oggi del tutto controverso. Cosa fare, infatti, degli embrioni prodotti in vitro, e non impiantati nel corpo della donna, perché magari (buon per lei) già al primo impianto era riuscita a portare a termine la gravidanza? Cosa fare, insomma, di tutti gli altri embrioni che quella coppia aveva prodotto? Congelarli? Distruggerli? Usarli a fini sperimentali? Nessuna di queste possibilità, evidentemente, è soddisfacente per chi abbia a cuore la tutela della dignità del nascituro, per chi ritenga che la vita umana meriti tutela fin dal concepimento, e che perciò non debba essere né manipolata, né utilizzata a fini sperimentali, né soppressa.
A questa preoccupazione la legge 40 risponde (o rispondeva?) perciò che non si producano più embrioni di quanti possano essere impiantati contemporaneamente in utero, e comunque non più di tre; anche meno, se ragioni cliniche lo consigliano, ma non di più.
Ora, per ragioni che non è ancora dato conoscere, la Corte ha eliminato questo principio; con un incredibile paradosso: che ha lasciato in piedi i divieti di congelamento, distruzione e manipolazione degli embrioni! E’ un paradosso, questo, perché se la Corte voleva consentire la produzione di più di tre embrioni, al fine di aumentare le possibilità di successo di una fecondazione, doveva anche consentirne il congelamento, onde rendere possibili impianti successivi. Ma non lo ha fatto, chissà perché; con il risultato che, essendo rimasto vigente il divieto generale di distruggere e congelare gli embrioni, il medico che voglia produrne un numero elevato non potrebbe, di quelli non impiantati, né procedere al congelamento né distruggerli: e allora? Allora – posto che le sentenze vanno lette per intero, per essere criticate davvero – da quel che si intuisce la sentenza della Corte ha determinato non tanto un indebolimento della legge 40, le cui principali disposizioni e i cui principi fondamentali (divieto di pratiche eterologhe, tutela generale degli interessi del concepito, divieto di sperimentazione, distruzione, clonazione, selezione eugenetica…) restano inalterati, quanto una situazione di confusione giuridica; della quale, ad essere sinceri, non v’era alcun bisogno.
Tutto bene, insomma? In vero, proprio no; perché il vero pericolo, sempre più concreto, è che la sentenza della Corte non sia altro che la prima avvisaglia di ben più radicali tempeste, di venti destinati a sconvolgere in modo molto più radicale l’impianto della legge 40. E’ solo un timore, certo, ma non è irragionevole ritenere che la decisione della Corte sia espressione dell’ostilità che, verso questa legge, è manifestata da una diffusa cultura libertaria; una cultura che fa dell’autodeterminazione del soggetto il principio assoluto e irrinunciabile, e che ritiene ogni limitazione alla volontà e ai desideri soggettivi una sorta di assurdo sopruso. Una cultura che è emersa nel caso Englaro e che ha trovato, anche lì, autorevoli sostegni giurisprudenziali, una cultura che ebbe voce durante il dibattito sui Pacs e che si sta già facendo sentire sul tema del testamento biologico.
Questo, davvero, è il brutto presagio al quale siamo legittimati a credere se riflettiamo sulla decisione della Corte Costituzionale. E se tira aria di battaglia, è bene prepararsi.
* Giurista, segretario dell’Ugci
Finalmente al Parlamento una relazione più attendibile sulla Legge 40
PMA, UN CICLO SU QUATTRO
RIGUARDA LE ULTRAQUARANTENNI
di Ilaria Nava
Pochi giorni prima della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del limite della creazione dei 3 embrioni per ciclo, è stata resa pubblica la quarta Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 40 del 2004.
E’ difficile paragonare i risultati attuali con la situazione precedente all’approvazione della legge 40 perché prima i dati venivano forniti solamente su base volontaria ed erano rappresentativi di un numero piuttosto limitato di casi certi. Oggi, quindi, è possibile comparare i dati degli ultimi 3 anni, ossia da quando, con l’approvazione della legge 40, per i centri è diventata obbligatoria la comunicazione dei risultati delle tecniche di Pma. Rispetto al primo anno di applicazione, ossia dalla Relazione 2004, si è registrato un crescente numero sia di coppie che hanno avuto accesso alla Pma (oggi 55.437 rispetto alle 43.024 coppie del 2005), dei cicli di trattamento e delle gravidanze, che hanno registrato un incremento, rispetto al 2005, dello 0,7% rispetto ai cicli effettuati e di un punto percentuale rispetto ai trasferimenti. Piuttosto elevata ma del tutto in linea con la media europea la percentuale dei parti gemellari, che costituiscono il 18,7% del totale, un dato in sintonia con il resto dell’Europa, mentre le gravidanze trigemine superano la media europea, anche se in Italia si registra una forte oscillazione tra i centri, variando da zero al 13,3%.
Pur di fronte a risultati positivi, pesa su di essi l’aumentata età media delle pazienti, che passa da 35,4 anni del 2005 (quando l’Italia era già al di sopra della media europea, che si attestava a 33,8 anni) a 36 anni del 2007. Oggi ben un ciclo su quattro riguarda pazienti con più di 40 anni.
Molto significativo il dato sui danni alla salute delle donne. A fronte di chi vorrebbe accusare la normativa di tutelare la vita dell’embrione a discapito della salute della madre, è utile sottolineare che le complicanze da iperstimolazione ovacarica coinvolgono lo 0,53% dei cicli iniziati, a fronte di una media europea che si attesta all’ 1,02%.
La sofferta decisione di partecipare per smascherare l’impianto laicista
BIENNALE DEMOCRAZIA:
UN’OCCASIONE O UNA TRAPPOLA?
di Fabrizio Clari*
“La Città di Torino, il Comitato Italia 150 e la Regione Piemonte hanno deciso di dar vita, nel quadro dei festeggiamenti per il 150° dell’Unità d’Italia a Biennale Democrazia, manifestazione culturale di respiro internazionale che avrà luogo a Torino ad anni alterni, con la prima edizione da mercoledì 22 a domenica 26 aprile.
Ed ancora: uno degli elementi qualificanti della prima edizione di Biennale Democrazia è costituito da un esperimento di dibattito pubblico, dedicato al tema altamente controverso del testamento biologico. Nell’autunno 2008 è stato costituito un Comitato di Garanti che ha valutato e licenziato un documento informativo che presenta lo stato della controversia pubblica su questo problema al fine di favorire l’avvio della riflessione e della discussione sul tema. Il dibattito pubblico sul testamento biologico, realizzato in collaborazione con il Comune di Firenze e la Regione Toscana, si svolge attraverso un insieme di attività di coinvolgimento dei cittadini e si concluderà con un evento di dibattito e confronto sabato 25 aprile a Torino e a Firenze, a cui parteciperanno alcune centinaia di cittadini.
I cittadini potranno partecipare al dibattito in diverse forme:
– una fase di discussione sul territorio in piccoli gruppi (circa 20 partecipanti). I partecipanti potranno prepararsi agli incontri leggendo il documento informativo e saranno facilitati nella discussione da un moderatore professionista;
– attraverso il blog del sito www.biennaledemocrazia.it/testamentobiologico ;
– partecipando all’evento conclusivo di un intera giornata che si terrà il 25 aprile a Torino e a Firenze. L’evento finale sarà svolto con una modalità innovativa che permetterà a tutti i partecipanti di dare il proprio contributo anche attraverso le nuove tecnologie: internet, televoto elettronico, videoconferenza. “Lo scopo dell’evento è rilevare in modo più approfondito e articolato orientamenti, atteggiamenti e opinioni dei partecipanti”. Sin qui testi “ufficiali”.
Scorrendo il documento informativo si trova la presentazione di quattro casi emblematici: tra cui troviamo “la battaglia di Piergiorgio Welby” (il termine battaglia suggerisce l’impegno per la conquista di un diritto), la “vicenda di Salvatore Crisafulli” (viene sottolineata la sofferenza per il silenzio e la solitudine di una persona imprigionata nel suo stesso corpo invece di sottolineare la piena coscienza di una persona che, pur in stato di grande disabilità, desidera vivere, essere curata ed è ben lontana dall’essere un vegetale), il caso Eluana dove non vengono citate le contrastanti sentenze dei tre successivi processi e si presenta la giustizia italiana unanimemente concorde nell’accogliere l’istanza della famiglia Englaro.
I termini utilizzati fanno venire i primi sospetti di laicismo endemico.
Al paragrafo intitolato “Che cosa dice la legge in Italia” si cita la Costituzione Italiana, la Convenzione europea di Oviedo ma non si trova traccia degli articoli del Codice Penale che vietano l’omicidio del consenziente e l’istigazione al suicidio.
Nel seguito del documento sono proposti alcuni temi:
– in quale misura il medico deve tenere conto della volontà del paziente?
– nel testamento biologico si possono rifiutare i trattamenti di sostegno vitale?
– è utile introdurre una nuova legge che dia valore legale al testamento biologico?
Vengono poi proposte alcune ipotesi di risposta e riportate le interviste ad alcuni membri del Comitato dei garanti.
Al termine della lettura del documento informativo risulta evidente lo sbilanciamento a favore delle posizioni laiciste sul fine vita.
Ci si chiede come abbia lavorato il Comitato dei Garanti. La presenza di alcuni (forse solo due) esponenti del variegato mondo cattolico, non è evidentemente bastata ad arginare una marcata egemonia laicista.
L’impostazione del documento di base, inoltre, ha contribuito ad allontanare dal dibattito le persone convinte dell’indisponibilità della vita umana, lasciando tutto il campo alle posizioni laiciste. I risultati dei primi dibattiti pubblici ha portato il Comitato organizzatore a contattare l’associazione locale di Scienza & Vita ed alcune associazioni cattoliche sollecitandone la partecipazione ai focus-group per renderli meno omogenei e dare così vita ad un dibattito più equilibrato. Di qui il dilemma: partecipare per argomentare e diffondere le nostre tesi o rifiutare il coinvolgimento e lasciare il Comitato con un gruppo omogeneo di laicisti le cui conclusioni, palesemente non rappresentative sotto il profilo statistico, saranno inutilizzabili? Il rischio è facilmente immaginabile: il mondo cattolico è diviso, le idee sono confuse, il fronte dei diritti civili è compatto e maggioritario…
Dopo essermi consultato, ho deciso di rischiare e di partecipare ai lavori, adempiendo così alla funzione di presenza dialogante che Scienza & Vita si è data per Statuto. Gli amici di Firenze, con cui ho avuto un breve scambio di idee durante l’ultimo incontro straordinario, svoltosi a Roma il 18 aprile, mi paiono sulle stesse posizioni. Tuttavia sollecito un confronto più ampio ed un intervento dei massimi livelli associativi che sottolinei quantomeno che il Comitato dei Garanti non ha svolto correttamente la sua funzione e che pertanto le conclusioni del dibattito pubblico non potranno avere alcuna rilevanza pubblica. Se non, attraverso una forzatura politica, culturale e mediatica.
La manifestazione si è aperta il 22 aprile con il discorso del Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano: questa sola presenza determina un alto profilo mediatico. E inevitabilmente ci chiama in causa con tutto il peso della nostra responsabilità.
* Presidente Associazione Scienza&Vita Torino
Un esempio di narrativa popolare, con domande radicali di senso
QUANDO POSSIAMO DIRCI “UOMINI”?
LE PRE-PERSONE DI PHILIP K. DICK
di Umberto Folena
«Walter stava giocando a nascondino quando vide il furgone bianco al di là della macchia di cipressi, e capì subito cos’era. Pensò: “È il furgone bianco dell’aborto. È venuto a prendere qualche bambino per un aborto post-partum. E forse”, pensò, “l’hanno chiamato i miei genitori. Per me”». È l’inizio agghiacciante del racconto The Pre-Persons (Le pre-persone), scritto nel dicembre del 1973 da… da chi? Da un fanatico pro-life? Da un reazionario neonazista?
Non essendo un cattolico militante o un cardinale, Dick però può permettersi di scrivere quello che gli pare mettendo in imbarazzo gran parte dei suoi estimatori, schierati su posizioni tutt’altro che anti-abortiste, compreso quel Vittorio Curtoni che per Mondatori traduce e raccoglie negli anni Novanta tutti i racconti, pubblicati nei quattro volumi delle Presenze invisibili: nell’introduzione al quarto volume evita di far cenno alle Pre-persone, rendendo invisibili pure loro.
Dick narra di un futuro prossimo, negli Usa, in cui un individuo diventa pienamente “persona” solo quando è in grado di risolvere problemi di matematica superiore; fino a quel momento può essere abortito post-partum. Ecco il passaggio chiave: «L’errore principale dei sostenitori dell’aborto, fin dall’inizio, era nella linea arbitraria che tracciavano. Un embrione non ha diritti costituzionali, e può essere legalmente ucciso da un medico. Però il feto era stato considerato “persona giuridica”, con i suoi diritti, almeno per un certo periodo. Poi la follia pre-aborto aveva deciso che anche un feto di sette mesi non era umano e poteva essere ucciso legalmente da un medico iscritto all’albo. E un giorno, anche il bambino appena nato… È come un vegetale, non sa mettere a fuoco, non capisce niente, non parla: questi erano gli argomenti del partito abortista in tribunale; e avevano vinto, sostenendo che un bambino appena nato era solo un feto espulso accidentalmente o naturalmente dall’utero. Ma anche allora, dove bisognava tracciare la linea di demarcazione? Quando il bambino faceva il suo primo sorriso? Quando diceva la prima parola, o cercava per la prima volta di prendere un giocattolo che gli piaceva? La linea di demarcazione legale era stata spinta sempre più avanti, inesorabilmente. Fino a che si era arrivati alla definizione più selvaggia e arbitraria di tutte: la capacità di risolvere problemi matematici superiori. (…) Era un arbitrio. E neppure un arbitrio teologico, ma solo legale. La Chiesa aveva affermato da molto tempo, fin dall’inizio, che anche lo zigote, e l’embrione che ne seguiva, era una vita sacra come quella che cammina sulla terra. Si era accorta di definizioni arbitrarie come: “A questo punto l’anima entra nel corpo”, oppure, in termini moderni: “Ora è una persona, avente diritto alla piena protezione della legge come chiunque altro”».
Dick commenterà, in tono mite: «Mi spiace molto di avere offeso chi non è d’accordo con me sull’aborto volontario. Ho ricevuto anche lettere anonime colme d’odio, alcune non da singoli individui ma da organizzazioni favorevoli all’aborto volontario». Conclusione: «Non ho niente da rimproverarmi. Le mie posizioni sono quello che sono: “Hier stek’Ich; Ich kann nicht anders”, come dovrebbe aver detto Martin Lutero» (qui sto, e altro non posso fare).