“Lieve, tenace è la vita”: avventura valoriale e professionale
LA NOSTRA SCOMMESSA
SUI NUOVI LINGUAGGI
di Domenico Delle Foglie
La trasmissione dei valori pretende nuovi linguaggi. Questa affermazione, al di là della sua dimensione assertiva, richiede soprattutto una sperimentazione. Cioè la decisione di sporcarsi le mani e di mettersi alla prova. E’ quanto è accaduto grazie alla spinta decisiva della presidenza e in particolare della professoressa Maria Luisa Di Pietro, della tenace volontà del consiglio esecutivo di Scienza & Vita, e dall’incontro felice di alcune professionalità interne (l’intero staff dell’Associazione) ed esterne.
Naturalmente parliamo della scelta fatta dall’Associazione di realizzare una “pagina di teatro civile” che avesse al centro la sofferta vicenda umana di Eluana Englaro.
Come è noto, Scienza & Vita si batte sulla scena pubblica perché non venga interrotta l’idratazione e l’alimentazione che noi crediamo siano semplici sostegni vitali e non terapie mediche. Di diverso parere quanti, sulla base della sentenza di un Tribunale dello Stato, ritengono che si possano stoppare, così causando la morte di quella giovane donna per fame e per sete. Scienza & Vita ha operato soprattutto in direzione di una progressiva coscientizzazione dell’opinione pubblica attorno al valore della vita, anche nel suo massimo momento di fragilità, qual è quello in cui versa Eluana.
Abbiamo così costruito, grazie all’apporto decisivo di Sat2000, uno spettacolo teatrale con al centro un monologo del poeta Davide Rondoni, affidato alla maestria interpretativa di Luca Ward. Entrambi, sin da subito, si sono mostrati entusiasti e disponibili ad una così difficile avventura. Decisiva, non è un mistero, la determinazione di Dino Boffo, direttore di Sat2000: ha voluto che tutto venisse realizzato in pochissimi giorni, si andasse in onda prima di Natale e si facesse ricorso a consolidate professionalità esterne. Per far questo era però necessario un grande lavoro di squadra, garantito dall’entrata in campo di Francesco Porcelli, produttore esecutivo di Sat2000 e di Stefano De Martis (responsabile del palinsesto). La scelta è così caduta su un autore sensibilissimo e apprezzato come Ivano Balduini, sul regista Pino Leoni e su un gruppo vocale femminile, le Divas, con suggestioni lirico-moderne. Grande poi l’impegno profuso dalla struttura di produzione di Sat2000 che non ha risparmiato impegno e professionalità per confezionare un prodotto innovativo. Il 22 dicembre siamo andati in scena all’Auditorium di Roma e l’intera serata è stata registrata da Sat2000 e mandata in onda, in prime time, il giorno successivo e in replica nella mattinata del 24 dicembre.
Ma veniamo a questa nostra riflessione a più voci, che ospitiamo in questo numero monografico della Newsletter. Qui cerchiamo di ripercorrere l’evento dando spazio, in diversa forma, alle riflessioni dei protagonisti e di alcuni osservatori privilegiati. E’ una sorta di rivisitazione critica della nostra produzione, nella quale, però, prevale la dimensione dell’osservazione partecipante. Con grande spazio, com’è giusto, anche alla sfera emotiva. Ma credo non possa essere diversamente, a dimostrazione del fatto che difficilmente è possibile realizzare una piccola impresa com’è stata quella di “Lieve, tenace è la vita”, senza la costruzione di una squadra fortemente motivata e legata da una dimensione valoriale che riesce a superare ostacoli, primo fra tutti il tempo ristrettissimo, apparentemente insormontabili.
Lasciamo a voi il giudizio finale su quanto siamo riusciti a realizzare e soprattutto sulla nostra ambizione di costruire una “pagina di teatro civile” che si affiancasse a quelle di Marco Paolini, di Dario Fo e di Ascanio Celestini. Certo, abbiamo come punto di riferimento, forse irraggiungibile, il teatro civile del grande Giovanni Testori. Almeno, però, potremo dire di averci provato.
Ma soprattutto crediamo di aver aperto una strada nuova per l’incontro dei valori con i nuovi linguaggi. Proprio in questa direzione ora tocca a tutta la struttura associativa fare il resto. La nostra proposta è quella che ogni Associazione locale di Scienza & Vita, servendosi di questa produzione, organizzi incontri nei rispettivi territori per far sentire la nostra voce in difesa di Eluana e di tutte quelle persone che si trovano nella stessa condizione. Come peraltro è già accaduto a Udine, grazie agli amici di Scienza & Vita guidati da Gianluigi Gigli e da Francesco Comelli, nella stessa serata del 23 dicembre. Sarà possibile trasmettere l’intera rappresentazione, magari facendo seguire un dibattito coordinato dai responsabili e dagli esperti di Scienza & Vita.
Contiamo di mettere a disposizione di tutte le Associazioni locali (entro la metà di febbraio) il dvd con la trasmissione di “Lieve, tenace è la vita” con una serie di accorgimenti tecnici che ne favoriranno la fruizione a vari livelli. Per organizzare i momenti pubblici la struttura centrale dell’associazione, con la tempestività di Beatrice Rosati e l’apporto sempre puntuale di Emanuela Vinai e Luca Ciociola, è a vostra disposizione per facilitare la realizzazione degli incontri pubblici. Noi crediamo che si possa così promuovere una riflessione in tutto il territorio nazionale che, a partire dal delicatissimo caso di Eluana Englaro, possa poi estendersi alla legislazione sul fine vita che è all’ordine del giorno nel dibattito pubblico.
Sulla necessità di una legislazione in materia il consiglio esecutivo si è già espresso favorevolmente, indicando però una serie di confini invalicabili, primo fra tutti l’esclusione dell’idratazione e dell’alimentazione. Per non parlare dell’assoluta indisponibilità a norme che possano introdurre una legislazione favorevole a forme di eutanasia, anche passiva. Di tutto questo si è già ampiamente discusso anche durante l’incontro nazionale delle Associazioni locali dello scorso novembre, giungendo alla conclusione che una legge oggi appare inevitabile, soprattutto in considerazione delle sentenze e del potere soverchiante dei giudici su questa delicatissima materia.
L’augurio è che questo grande sforzo produttivo fatto da Scienza & Vita nazionale sia ora seguito da un analogo impegno sul territorio. Può essere una grande occasione per verificare la validità della nostra scelta di trasmettere i valori in cui crediamo attraverso linguaggi nuovi (mix televisivo-teatrale, poesia e musica) e come questa proposta viene accolta sul territorio nazionale. Mettiamoci coraggiosamente alla prova.
Peter ha 16 anni, da 8 in stato vegetativo. Come Eluana, è vivo
LASCIAMOCI INTERPELLARE
DA TANTA FRAGILITA’
di Maria Luisa Di Pietro *
“Vuoi fare un giro nel mio reparto – mi dice il collega – così ti faccio conoscere una persona speciale”. Accetto volentieri. Cominciamo a camminare lungo il corridoio ed entriamo in una stanza, dove un ragazzo dorme tranquillo. Dimostra circa 16 anni.
“Vieni, ti presento Peter. E’ con noi in questi giorni perché si è temuto – a seguito di una influenza – la comparsa di complicanze broncopolmonitiche. Sai Peter è in stato vegetativo da otto anni e in questo caso è meglio essere prudenti. Ma presto lo dimetteremo, perché adesso sta bene”.
Mentre il collega continua a parlare, osservo con attenzione Peter.
L’adolescenza avanza, anche per lui, in modo prepotente e i primi segni di cambiamento puberale (tra cui, una lieve peluria sul volto) sono già presenti. Ciò che sorprende di più è – però – la sua lunghezza, che rende quasi insufficiente il lettino del reparto pediatrico. “Sai – aggiunge il collega – tra un po’ non potrà più essere nostro ospite e dobbiamo, se necessario, ricoverarlo in un reparto per adulti. Ci dispiace non averlo più con noi. La sua presenza è un momento importante per tutto il personale”.
Improvvisamente mi è tornato alla mente un ricordo lontano, oramai sbiadito, quasi che Peter – nonostante il suo silenzio – lo avesse evocato. Con la voce roca chiedo al collega: “Puoi dirmi solo la zona dove abitano i genitori di Peter?”. La risposta arriva: e basta il nome di una via per rendere il ricordo vicino e vivido. E’ lo stesso ragazzo che otto anni prima era stato vittima di un incidente stradale nel mio quartiere e di cui non avevo saputo più nulla.
Non parla Peter, non è in grado di relazionarsi, ma è stato capace di far riaffiorare un ricordo. “Non è capace di relazione”: è quello che alcuni dicono delle persone in stato vegetativo, ma quel giorno ho avuto la conferma di quanto altri sostengono.
Siamo noi che non riusciamo a comunicare con loro.
“Chi si occupa di Peter, quando è ricoverato?”, domando. “La nostra suora e guai a chi le dice che Peter è isolato dal resto del mondo”, risponde il collega. “E’ vero – mi dice la suora – quando lo spostiamo, lo aiutiamo a fare movimenti passivi, lo laviamo, avvertiamo che lui si distende. Questo è un segnale che avverte qualcosa. Se io parlo in modo affettuoso, il suo respiro rallenta, quasi si chetasse”.
E siamo rimasti lì in silenzio – il collega, la suora e io – a fargli compagnia senza sapere cosa dire, senza parlare, quasi il rumore della silenziosa presenza di Peter fosse più forte di qualsiasi parola urlata.
Immagino già il commento di chi leggerà queste poche righe. E, già, è il solito giocare con le emozioni, con i sentimenti.
Non credo che si tratti solo di una forte emozione o di un sentimento. Davanti a noi c’era una persona, che ci interrogava con il suo silenzio, che ci chiedeva di preoccuparci di lui e di non distogliere gli occhi dalla sua fragilità. Il mio collega, la suora, tutto il personale del reparto o che si occupa di Peter fuori dall’ospedale, ha riconosciuto questo bisogno e se ne prende cura. Perché – ricordiamolo – la preoccupazione per l’altro nasce dal riconoscimento dell’altro, dallo sguardo che poniamo su di lui.
Per quale motivo raccontare quest’incontro in una riflessione su “fragilità e nuovi linguaggi”? Perché il monologo di Davide Rondoni, “Lieve, tenace è la vita”, è riuscito a dare voce – in modo diretto e solo in appartenenza semplice – a questa esperienza di riconoscimento dell’altro.
“Io la vedo quella ferocissima immobilità. E il corpo che cambia senza cambiare, questo strano senza tempo invecchiare… Io vedo questo corpo e tutto il suo silenzio che fa venire da gridare”. Fermiamoci e facciamoci interrogare da questo silenzio. Potrebbe essere anche imbarazzante.
* Presidente di Scienza & Vita
Perché ho accettato di scrivere la poesia civile per Eluana
SPINGERE ALL’EUTANASIA
NON E’ UNA VITTORIA, MA UNA PESTE
di Davide Rondoni *
Ero mi pare in Messico. O forse la settimana prima a New York, tra una lettura di poesia e un giro perso. Insomma nell’ultimo posto dove pensi che ti stia arrivando una telefonata di Mimmo Delle Foglie. Il quale, tra l’altro, mi aveva telefonato forse una o due volte in tutto. E ora mi telefonava là. Non m’aspettavo la telefonata, tantomeno la richiesta: scrivici un testo da leggere a teatro. Una cosa a proposito del caso Eluana, l’eutanasia e sì, insomma, tutto questo bailamme delle cronache e delle anime che si è scatenato intorno alla vita e alla morte di quella povera donna.
Ma che diavolo gli salta in mente, penso. Tu ne hai scritto in modo persuasivo sul giornale e sei un poeta, si mette a lusingare il Mimmo, e abbiamo pensato a te, ti va ?
Mio nonno diceva che è meglio fallire tentando cose grandi che far cose piccole e facili. E dunque a Mimmo dico sì, anche perché il pensiero va – suo e mio – a quel che fece Testori al tempo del suo teatro civile del Factum est. E da Testori, come da Luzi e dai grandi poeti che ho letto e conosciuto, in un rapporto feroce e bellissimo per me, ho imparato che la poesia e l’arte divengono veramente se stesse quando toccano il limite del proprio fallimento, della impotenza e quasi del diventare altro: urlo, supplica o forse invettiva. Ma restando se stesse – nel supplizio felice della forma – trovano la unica possibile e vera gloria. Che non è quella della fama o del riconoscimento del pubblico, bensì del riconoscere esse, arte di pittura o di parole, quale sia il magone e la tenerezza, insomma la croce e resurrezione che in ogni vita umana si compiono come domanda, e a volte grido.
Il tempo per scrivere è poco, è niente. Devo pure attendere una conferma. Insomma, in qualche giorno tra un aereo e l’altro di un viaggio di letture, rifletto prendo appunti su fogli strappati, ma così a vanvera. Poi al ritorno in Italia c’è il via definitivo. Due giorni. La composizione di un testo in versi è, a volte, una strana potente miscela.
Non sai quando inizi a scrivere dove stai andando. L’unico fragilissimo appiglio che si trasforma pure in artiglio di costrizione e obbedienza è l’aver visto dal buio emergere un’unica figura possibile che possa esser corpo e figura di questa voce monologante o meglio dialogante con tutti e con lei. Intendo la figura di chi ho accolto come il parlante, di chi essendo parte e non parte – come tutti noi – del dramma che oscenamente ci hanno messo di fronte, esibendo questa strana voluttà di morte, ha potuto esser esposto sul palco senza offendere nessuno. L’uomo delle pulizie – che solo oggi ho ricordato apparire anche in un già andato mio testo su Beatrice di Dante – che può essere lì a parlare di lei, vita ferita, e di noi che non sappiamo come fare, e però capiamo – se non buttiamo nella fogna il cuore e la ragione – che spingere all’eutanasia non è una vittoria ma una peste. Dunque, la strana miscela di ritmi, le mille micce che nel sangue e nelle parole vengono accese dalle cose accadute, dalle immagini vedute, dalle chiacchiere sentite, dai consulti scientifici, doveva trovare il modo di diventare voce sua, dell’emerso dal buio e pur realissimo uomo delle pulizie, e voce condivisa tra questo nostro popolo smarrito e pestato. Cosa ne sia venuto non so. So che ci sono dei fiori, e un sostenere i corpi in mare, bagliori di fondale nei video medicali, e insurrezione e amore per la vita e dunque per le parole. E’ c’è un ritmo che incalza. Misteriosamente, come sempre ascolto nel mondo.
* Poeta e autore del monologo per Eluana
Per Sat2000 un’altra scommessa vinta. Con professionalità
SE LA TV SI FA CONTAMINARE
DALLE EMOZIONI VERE
di Stefano De Martis *
L’esperienza della serata per Eluana – pur nella ristrettezza dei tempi in cui è stata progettata e prodotta – è emblematica dello sforzo che Sat2000 sta compiendo da anni per mettere a punto un linguaggio televisivo adatto alla comunicazione circa notizie e temi di rilevante portata etica.
L’emittente dei cattolici italiani si confronta sin dalla sua nascita – quasi undici anni fa – con tale questione. Sia negli spazi dedicati alle news, sia in quelli destinati all’approfondimento, le tematiche eticamente sensibili sono state sempre in primo piano, com’è naturale data la mission del canale.
L’approccio preferenziale è stato di tipo argomentativo. Dovendo rivolgersi ad un pubblico potenzialmente ampio e nella consapevolezza della bontà intrinseca delle posizioni che fanno riferimento all’ispirazione dell’emittente, l’impegno è stato quello di “dare ragione” di queste posizioni in termini umanamente sostenibili e logicamente argomentati.
Non solo, quindi, la pur doverosa esposizione corretta e completa della dottrina cattolica (tanto più preziosa quanto più nell’arena mediatica tale dottrina viene sistematicamente elusa o distorta), ma anche la persuasiva rappresentazione dei fondamenti razionali dell’applicazione di tale dottrina alla concretezza dei casi umani. Con la relativa possibilità di incontrare su questo terreno anche uomini e donne di buona volontà che muovono da altre premesse culturali.
Non è un caso che nella programmazione di Sat2000 il genere del “talk show” trovi la declinazione più ampia e originale, proprio per l’importanza attribuita alla parola come veicolo capace di comunicare realtà e non soltanto opinioni, pur all’interno di un contesto pluralistico che implica un’inevitabile dialettica di posizioni.
E la parola, anche la parola fisicamente detta, è stata al centro della serata per Eluana, con un testo – quello scritto da Davide Rondoni – che ha saputo unire l’afflato poetico alla fatica del concetto. Ci avviciniamo qui al cuore del problema.
La televisione è una grande fabbrica di emozioni. Sottolineare per l’ennesima volta la potenza suggestionante dei suoni e, soprattutto, delle immagini appare di una banalità persino fastidiosa. Eppure è con tale potenza che bisogna fare i conti.
Anche la tv dei cattolici italiani, soprattutto in questi ultimi anni, ha investito pensiero e risorse per affinare la capacità non soltanto di argomentare in modo convincente, ma anche di costruire emozioni. E di costruire attraverso le emozioni.
La voce magistrale di Luca Ward; le armonie suadenti del gruppo canoro; le scelte scenografiche, essenziali ma eloquenti; il gioco delle luci; il movimento delle camere… ma anche le testimonianze lucide e penetranti di esperti e protagonisti. Per chi ha avuto la possibilità di assistere dal vivo alla rappresentazione presso l’Auditorium di Roma e ha lasciato la sala soddisfatto e commosso, ancor più grande è stata la sorpresa nel rivedere in tv l’evento il giorno successivo: la “magia” dell’impasto televisivo, infatti, aveva ulteriormente esaltato gli ingredienti di un prodotto pensato e realizzato valorizzando tutte le competenze, tutte le professionalità, tutti i talenti.
Probabilmente è proprio attraverso questa feconda alleanza di parole e di immagini, di ragioni e di emozioni che passa la ricerca di un linguaggio televisivo coerente con situazioni umanamente ed eticamente impegnative. E non bisogna aver paura di utilizzare tutte le risorse del mezzo, discernendo anche tra quelle che in prima battuta vengono solitamente associate ad altri ambiti tematici, ad altri generi di comunicazione, ad altri livelli di approfondimento.
* Condirettore di Sat2000 e responsabile del palinsesto
Quella serata in tuo onore e il pensiero va a mio fratello…
ELUANA CARISSIMA
IO NON VOGLIO PERDERTI
di Francesco Porcelli *
Mi hanno chiesto di scrivere una sorta di editoriale sul tuo caso, ma io preferisco scrivere direttamente a te, carissima Eluana, perché per me tu sei viva e mi sembra quasi di conoscerti: non il tuo viso, ma la tua anima, il tuo respiro.
Nelle ultime settimane ho sentito molto parlare di te, del tuo caso: medici, avvocati, filosofi, giudici ed associazioni pro e contro la tua stessa vita. Io non so come stiano effettivamente le cose so solo che neanche loro, i sapienti, lo sanno. non sanno cosa provi, cosa senti, quello che percepisci nella tua vitale immobilità. E sebbene siano consapevoli di questo hanno comunque decretato la tua fine; una fine orribile: disidratazione.
Hanno deciso di sopprimere il tuo respiro che da solo è vita!
Permettimi carissima di raccontarti una storia personale e dolorosa ma che ci fa capire quante e quali contraddizioni siano insite in quel provvedimento della Cassazione che vuol porre fine alla tua esistenza.
Qualche mese fa ho perso mio fratello a soli quarantasette anni. Un’emorragia interna con conseguente arresto cardiaco. solo che il cuore è rimasto fermo per troppo tempo compromettendo le funzioni cerebrali. Nonostante ciò i medici hanno tentato l’impossibile per salvarlo, per recuperarlo alla vita e anche se fossero riusciti nel loro intento, il suo cervello sarebbe rimasto seriamente compromesso. non sappiamo come, con quale entità. Ma in quel momento, il preciso dovere dei medici era quello di rianimarlo, di riportarlo in vita. Salvo poi, più tardi, togliergliela in ottemperanza al provvedimento della Cassazione che ha decretato la tua condanna a morte? Oh carissima se fossero riusciti a recuperarlo! Sebbene in coma quante cose gli avrei detto….
Perdonami per questa parentesi personale ma non comprendo l’arroganza che ha partorito la decisione di sopprimerti!
Ho sentito dire che prima che ti capitasse quella pur tremenda disgrazia, tu avresti espresso ai tuoi cari la volontà di “rinunciare a vivere” in caso di coma vegetativo.
Non discuto la decisione che per me rimane inaccettabile da un punto di vista morale, quel che discuto è che oggi io, come del resto tutti gli esperti che si sono pronunciati sul tuo caso, non sappiamo se pensi e cosa pensi. Quante cose decidiamo da giovani, pronti poi a sconfessarle qualche anno dopo?
Sì, perché magari il tuo cervello è comunque attraversato da mille pensieri e magari oggi, a distanza di tanti anni, hai compreso più di noi il mistero e la sacralità della vita.
Del resto, se dovessimo seguire la logica che ha portato i giudici della Cassazione ad esprimersi in quell’orribile senso, dovremmo concludere che tutti i portatori di handicap gravissimi, che come te in questo momento sono fonte di sofferenza per i propri cari nel solo guardarli, debbano essere soppressi.
Un macabro inno alla “qualità della vita” e non alla vita in quanto tale!
Mi ricorda tanto un doloroso capitolo di storia che non oso citare.
E’ vero, Dio ci ha creati liberi. Liberi di scegliere, ma questa libertà non si può estendere alla vita che da Dio proviene e a lui torna nel momento in cui egli stesso decide di decretarne la fine.
Carissima, io ti devo ringraziare. Quando l’Associazione Scienza & Vita e Sat2000 mi hanno affidato l’incarico di organizzare una serata in tuo onore, “l’inno alla vita del 23 dicembre”, ho colto in esso, non il sapore della morte o della malattia, ma quello denso e sacro della vita. Quella stessa vita che è in te e che spero vi alberghi fino a quando il “giudice supremo” decide di lasciartela.
Ti saluto caramente.
Francesco Porcelli
* Produttore esecutivo di Sat2000
Il testimone: fiducia nella presa in carico e nella tecnologia
LO SCAFANDRO DELLA MALATTIA
NON IMPRIGIONA L’ANIMA
di Mario Melazzini *
A volte può succedere che una malattia che mortifica e limita il corpo, anche in maniera molto evidente, possa rappresentare una vera e propria medicina per chi deve forzatamente convivere con essa senza la possibilità di alternative.
La malattia, l’evento traumatico, non porta via le emozioni, i sentimenti, la possibilità di comprendere che l’“essere” conta di più del “fare”.
Perché la malattia può davvero disegnare, nel bene e nel male, una linea incancellabile nel percorso di vita di una persona. O, ancora meglio, edificare una serie di Colonne d’Ercole superate le quali ci è impossibile tornare indietro, ma se lo si vuole, ci è ancora consentito di guardare avanti.
Attraverso un’adeguata assistenza si può evitare che lo scafandro in cui si trasforma il corpo di chi ha perso le proprie funzioni motorie imprigioni un’anima che nonostante tutto può e vuole continuare a volare.
E’ questo il messaggio che una società che ambisca realmente ad essere a misura d’uomo deve raccogliere e recepire.
Un corpo malato, disabile, non può diventare in nessun caso un fattore di isolamento, esclusione ed emarginazione dal mondo. È inaccettabile avallare l’idea che alcune condizioni di salute, di disabilità, rendano indegna la vita e trasformino il malato o la persona con disabilità in un peso sociale. Si tratta di un’offesa per tutti, ma in particolar modo per chi vive una condizione di malattia; questa idea, infatti, aumenta la solitudine dei malati, dei disabili e delle loro famiglie, introduce nelle persone più fragili il dubbio di poter essere vittima di un programmato disinteresse da parte della società.
Purtroppo, oggi, una certa corrente di pensiero ritiene che la vita in certe condizioni si trasformi in un accanimento ed in un calvario inutile,dimenticando che un’efficace presa in carico e il continuo sviluppo della tecnologia consentono anche a chi è stato colpito da patologie altamente invalidanti di continuare a guardare alla vita come ad un dono ricco di opportunità e di percorsi inesplorati prima della malattia.
A volte siamo così concentrati su noi stessi che non ci accorgiamo della bellezza delle persone e delle cose che abbiamo intorno da anni, magari da sempre. Così, quando è la malattia a fermarti bruscamente, può accadere che la propria scala di valori cambi. E che ci si renda conto che quelli che noi, fino a quel momento, consideravamo i più importanti invece non erano proprio così meritevoli dei primi posti.
In questi tempi in cui si parla sempre più, con scarsa chiarezza, di diritto alla morte, del principio di autodeterminazione, di autonomia del paziente, si deve lavorare concretamente sul riconoscimento della dignità dell’esistenza di ogni essere umano che deve essere il punto di partenza e di riferimento di una società che difende il valore dell’uguaglianza e si impegna affinché la malattia e la disabilità non siano o diventino criteri di discriminazione sociale e di emarginazione.
Il dolore e la sofferenza (fisica, psicologica), in quanto tali, non sono né buoni né desiderabili, ma non per questo sono senza significato: ed è qui che l’impegno della medicina e della scienza deve concretamente intervenire per eliminare o alleviare il dolore delle persone malate o con disabilità, e per migliorare la loro qualità di vita, evitando ogni forma di accanimento terapeutico. La medicina, i servizi sociosanitari e, più in generale, la società, forniscono quotidianamente delle risposte ai differenti problemi posti dal dolore e dalla sofferenza: risposte che vanno e devono essere implementate e potenziate e che sono l’esplicita negazione dell’eutanasia, del suicidio assistito e di ogni forma di abbandono terapeutico.
La domanda di senso di un’esistenza è strettamente correlata alla possibilità di esprimersi e, soprattutto, al fatto che ci sia o meno qualcuno a raccogliere i messaggi inviati. Non bisogna lasciare che siano la trascuratezza, l’abbandono e la solitudine a decretare una vita indegna di essere vissuta.
Può sembrare paradossale, ma un corpo nudo, spogliato della sua esuberanza, mortificato nella sua esteriorità fa brillare maggiormente l’anima, ovvero il luogo in cui sono presenti le chiavi che possono aprire, in qualunque momento, la via per completare nel modo migliore il proprio percorso di vita.
* Presidente nazionale Aisla (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica)
Intervista con Luca Ward, straordinario interprete
“SUL PALCO ERO COMPLETAMENTE PRESO
COME UOMO, FIGLIO E PADRE”
di Ilaria Nava
Un volto noto al grande pubblico ma forse la sua voce – profonda, calda, inconfondibile – lo è ancora di più. L’ha infatti prestata a Russel Crowe, Pierce Brosnan, Antonio Banderas, Hugh Grant. E ora Luca Ward, uno dei doppiatori più celebri del cinema italiano, non si è tirato indietro davanti a una proposta insolita: interpretare il monologo in versi scritto da Davide Rondoni per Scienza & Vita e Sat2000 sulla vicenda di Eluana Englaro.
Una lunghissima poesia in cui la drammatica vicenda è vista da un punto di vista originale, quello dell’uomo delle pulizie. Ed eccolo apparire sul palco Luca Ward, spingendo un carrellino pieno di stracci, contenitori e spruzzini. Così è iniziato lo spettacolo di lunedì 22 dicembre all’Auditorium Parco della musica, poi trasmesso su Sat2000, che ora circolerà per l’Italia attraverso un dvd.
Come è nata questa proposta?
E’ iniziato tutto in maniera molto semplice: mi ha contattato una società di doppiaggio per cui abitualmente lavoro prospettandomi la possibilità di interpretare un monologo scritto da un poeta contemporaneo sul tema della vita.
E lei cosa ha risposto?
E cosa potevo rispondere, se non che ho avuto un padre in coma per tanto tempo e che l’ultima cosa che avrei voluto fare era staccargli la spina?
Aveva quindi già maturato una sua idea prima di confrontarsi con questo testo?
Penso che quando si parla di persone in stato vegetativo, ci addentriamo in argomenti molto difficili e delicati, in territori che ancora non conosciamo. Credo che nessuno possa giudicare, sappiamo quasi con certezza quanti anni ha l’universo ma conosciamo ancora così poco dell’essere umano… Per quanto mi riguarda, sicuramente mi ha segnato profondamente l’esperienza con mio padre.
In che senso?
Per me finché batte il cuore, deve continuare a battere. Ricordo che da bambino andavo a trovare mio padre al S. Camillo di Roma dicendo “Vado da papà”, sebbene fosse in coma. Oggi, dopo più di trent’anni, sono certo che tutto quello che raccontavo a mio padre durante quelle visite, lui riusciva a sentirlo. E il giorno in cui morì non dissi “meno male, povero papà, ha smesso di soffrire” ma “povero me, sono senza padre”. E sono tornato a cercarlo in quel letto vuoto, e mi mancavano quei pomeriggi trascorsi insieme, anche se ero solo io a parlare.
Immagino che mentre era sul palco a recitare il monologo dedicato ad Eluana lei fosse emotivamente molto coinvolto
Non pensavo a come sarebbe venuto dal punto di vista tecnico: ero completamente preso dal punto di vista personale, di uomo, di figlio, di padre. Il momento più commuovente è stato sicuramente quando Mario Melazzini è comparso sul palco in sedia a rotelle, dicendo di essere ammalato solo della voglia di vivere. In quel momento avevo la salivazione a zero!
E’ la prima volta che si impegna in un pezzo di “teatro civile”?
No, l’ho fatto altre volte, magari senza troppa pubblicità. Una della ultime volte, ad esempio, ad Anzio, per un gruppo di ragazzi con disabilità.
La gratificano queste esperienze come artista?
No. Mi gratificano come uomo.
Un incontro riuscito tra poesia, canto e durezza della cronaca
IN QUELL’UOMO DELLE PULIZIE
LE DOMANDE DI TUTTI NOI
di Mirella Poggialini *
Come possono incontrare, la poesia e il canto, la durezza della cronaca? Su Sat2000 la rappresentazione romana di “Lieve, tenace è la vita”, scritto da Davide Rondoni su un’idea di Domenico Delle Foglie e recitato da Luca Ward, ha reso il senso profondo di una rielaborazione in cui la verità, filtrata dall’arte e dall’emozione, acquista forza dirompente e supera il tempo e il luogo.
Perché la storia di Eluana, che resta tenacemente in vita anche se da diciassette anni il silenzio del coma la avvolge, diventa per arte la storia di tutti: e il personaggio dell’uomo delle pulizie, che commenta e spiega, dal corridoio della clinica dove la donna è custodita, “uccelletto stordito“ , esprime con semplicità immediata quanto molti, moltissimi pensano di fronte alla minaccia di una morte annunciata che si pretende richiesta dalla stessa vittima. Vittima viva, se si fa tanto per farla morire: e i versi del monologo ripercorrono la tragedia della sua esistenza muta ma ancora palpitante, del suo cuore che si ostina a battere, mentre alcuni, e il padre, lottano per spegnerlo. E’ tenace la vita, animata di un misterioso spirito mentre si prepara una fine per fame e sete: le parole dell’uomo delle pulizie, incredulo di fronte alla minaccia, si intrecciano con le testimonianze di chi della morte e della vita si prende cura: Gian Luigi Gigli, neurologo, Marco Maltoni, medico delle cure palliative, l’oncologa Vittoria Zagonel, e Fulvio de Nigris, padre di un giovane morto dopo un lungo coma, che invita al rispetto della vita. Ma soprattutto emergono, sul palcoscenico, la figura e la voce di Mario Melazzini, un medico che la sclerosi laterale amiotrofica ha ridotto in condizioni di impotenza e che, dalla sua carrozzina, invita serenamente all’accettazione della malattia e delle sue limitazioni, con un sorriso consapevole e paziente che suscita ammirazione commossa.
L’allestimento scenico, nella sua sobrietà semioscura, richiama la vita che si snoda nel silenzio: l’ospite della stanza “numero…” non si vede, ma è presente e viva nelle parole e si offre ai pensieri di chi, nella sala gremita, segue con tacita passione. La vita da rispettare, la vita da proteggere, come quando neonata la bambina necessitava del cibo che i genitori le offrivano con amore, pur se lei non era in grado di rispondere al loro gesto…
E’ un inno alla vita in cui i frammenti del pensiero, da parte di chi assiste, diventano riflessioni ed esame interiore, in cui il dono del vivere si offre nella sua interezza semplice e terribile, che non esige perfezione o risposta, ma chiede rispetto e amore e cura. Il teatro, nella sua elaborazione semplice e penetrante che fa della poesia un messaggio, appare, in questa storia attuale e atroce, con la condanna che pende sul capo della donna-uccellino, un richiamo e una preghiera. Il canto sorregge le parole, i versi pacatamente svolgono la loro storia toccante, la vita si celebra nell’emozione e nel silenzio, rotto alla fine da un applauso grato.
* Giornalista e critico televisivo di Avvenire