SEMINARIO SCIENZA & VITA | 16 ottobre 2025

CARE ROBOT. La sfida etica e culturale degli umanoidi per la cura

Concluso a Subiaco il seminario di Scienza & Vita “Care robot: umanoidi per la cura”.

Esperti di robotica, bioetica, medicina e filosofia a confronto sul ruolo dei robot nella relazione di cura. Tra promesse tecnologiche e interrogativi etici, emerge una visione: la tecnologia può sostenere, ma non sostituire l’umano.

Dal 10 al 12 ottobre il monastero benedettino di Santa Scolastica a Subiaco ha ospitato il seminario “Care robot: umanoidi per la cura”, promosso dal Centro Studi Scienza & Vita in collaborazione con l’Università Europea e l’Università Campus Biomedico di Roma. Un evento che ha riunito studiosi di robotica, bioetica, filosofia e medicina per riflettere su una delle frontiere più complesse dell’innovazione: l’integrazione dei robot nella relazione di cura. Non semplici strumenti, ma presenze capaci di interagire, accompagnare, sostenere. Ma fino a che punto?

Nella prima sessione del Seminario, moderata da Maurizio Calipari, Segretario Generale S&V, ci si è subito chiesti: Che cosa sono i Care Robot ? Una nuova grammatica della cura li definisce Loredana Zollo, ordinario di bioingegneria al Campus Biomedico, che ha sottolineato come i care robot rappresentino “una risposta potenziale all’invecchiamento della popolazione e all’aumento della domanda di assistenza”. Il loro impiego si estende oltre il supporto fisico, includendo anche aspetti emotivi, cognitivi e relazionali. Tuttavia, ha avvertito, “esiste un divario tra le aspettative alimentate dai media e lo stato reale della ricerca: la promessa è grande, ma la realtà è ancora in costruzione”.

Quanto i robot devono somigliare a noi? E’ la domanda cruciale posta da Federica Cordella, docente di bioingegneria (Campus Biomedico).

“La somiglianza può generare fiducia, ma anche inquietudine”, ha spiegato. “Non è solo questione di sembianze, ma di presenza: il tocco, la voce, la condivisione dello spazio”. Anche se l’empatia può essere simulata da chatbot, la presenza fisica resta per molti insostituibile. “Forse ciò che rende umano un robot – ha concluso – è la sua capacità di esserci davvero”.

Robot e cure palliative: una sfida delicata. Questo l’ambito esplorato da Francesco Scotto Di Luzio, anch’egli docente di bioingegneria (Campus Biomedico), in dialogo con Marcello Ricciuti, Dir. Hospice presso l’Azienda Ospedaliera San Carlo di Potenza. Di Luzio parla di “una sfida e un’opportunità per ripensare la tecnologia come sostegno alla dimensione umana”. I robot possono offrire nuove forme di accompagnamento, ma solo se progettati con un approccio centrato sull’uomo. “Dignità, autonomia e vulnerabilità – ha ricordato – non devono essere compromesse”. Da qui l’importanza della co-progettazione tra medicina e bioingegneria, per soluzioni etiche e funzionali. Su questa scia, Ricciuti sottolinea infatti che le
Cure palliative sono fatte di “competenza” e “compassione” messe al servizio delle persone sofferenti e che percorrono un ultimo tratto di vita, più o meno lungo, e delle loro famiglie. La relazione di aiuto, propria di ogni operatore sanitario che si mette al servizio dei pazienti, soprattutto in Cure palliative, ha il suo cuore proprio nella compassione, una virtù alla quale ci si può anche educare. Potranno anche i care robot imparare anche questa virtù?

Valore, non solo volume. Eugenio Di Brino  docente di economia sanitaria (Università Cattolica), ha richiamato l’attenzione sulla necessità di spostare il focus del Servizio sanitario nazionale dal volume al valore. “Il vero obiettivo – ha detto – deve essere migliorare gli esiti per i pazienti, ottimizzando ogni euro speso”. La salute va custodita come “bene comune”, e la tecnologia deve contribuire a questo scopo senza sostituirsi alla relazione umana. 

Il progetto TRI-TECH e la relazione uomo-macchina nel quadro dell’ageing society. Alberto Pirni, filosofo (Scuola Superiore S.Anna di Pisa), presenta nell’ambito del progetto  TRI-TECH, l’ethical framework (una cornice ingegneristico-robotica) e propone alcune linee teoriche sulla possibilità di una relazione umano-macchina potenzialmente innovativa ed efficace, forse, per molti profili, necessaria. Presenta altresì alcune delle principali implicazioni etiche orientate a tratteggiare ulteriori linee di ricerca in corso.

Nella sessione moderata da Maria Teresa Iannone, Biogiurista e Resp. Bioetica presso Osp. Isola Tiberina (Gemelli Isola Roma), ci si è confrontati soprattutto sul concetto di cura e l’avvento dei Robot in ambito sanitario. Don Massimo Angelelli, Direttore della Pastorale della Salute Cei, denuncia una “crisi della relazione e presa di distanza verso le professioni di cura”. Oggi sono meno attraenti le professioni che implicano una relazione e ancora di più se di cura perché, in questo tipo di professioni, la soddisfazione e il bene dell’altro viene prima del nostro.
Si avverte una fatica relazionale che incide sulle scelte di vita e professionali soprattutto quelle legate al concetto della cura. Laddove il confronto relazionale è un problema: il care robot assolve a questo problema. In una società che tende al disimpegno, l’uomo rinuncia al suo ruolo di cura e arrivano i care robot. Il tema di fondo è legato alla sostituzione dell’essere umano, perché laddove invece i robot sono un sussidio ben vengano. 

Tecnologia e natura umana: imitazione o irriducibilità? Una riflessione sulla natura “tecno-logica” dell’essere umano, sottolineando però che non ogni tecnologia è umanizzante, è quella offerta da Gianfranco Ghilardi, filosofo e bioeticista (Campus Biomedico). “La differenza tra imitazione meccanica e mimesi umana è sottile ma decisiva – ha spiegato -. L’essere umano è irriducibile non perché inimitabile, ma perché capace di astrazione e contestualizzazione”. Per questo, “la replica tecnica, per quanto sofisticata, non può sostituire la relazione autentica”.

Il corpo che curaBeate Scheidegger ed Emanuela Garavelli, esperte di Kinaesthetics, hanno posto l’accento sul ruolo del corpo e del movimento nella cura. La neurobiologia, hanno sottolineato, dimostra che “il benessere nasce dal tocco e dalla sincronizzazione: l’ossitocina, l’ormone della felicità, si attiva nel contatto fisico”. La cinestetica, che unisce cibernetica e cura, insegna che il movimento consapevole restituisce dignità e autonomia. Anche i robot, quindi, devono imparare a “muoversi” con rispetto.

Tra fiducia e timore. Si possono sintetizzare così i risultati del sondaggio condotto tra giugno e luglio da Beatrice Rosati, responsabile coordinamento e comunicazione S&V, dal quale emerge una tensione profonda: i care robot sono percepiti come strumenti utili, ma non come sostituti della relazione umana.

“L’accettazione – ha spiegato Rosati presentando i risultati – è condizionata dal mantenimento del contatto umano, e il timore dell’abbandono è reale”. L’82,8% dei partecipanti ritiene fondamentale porsi domande etiche sull’uso di queste tecnologie, mentre il 49,4% chiede più informazione e formazione. Di qui la conclusione: “Serve dialogo, bioetica, consapevolezza”.

Etica come bussola. A chiudere il seminario è stato Victor Tambone, bioeticista e docente di medicina legale al Campus Biomedico con un monito chiaro: “L’unico soggetto morale è l’essere umano. Non possiamo delegare la responsabilità etica ai robot o agli algoritmi”. Serve pensiero critico, progettazione consapevole e una logica proattiva che metta la tecnologia al servizio del bene comune: “L’etica non è un ornamento, ma una bussola”.

Un seminario davvero interattivo, con i lavori di gruppo a cura di Claudia Navarini, bioeticista Univ. Europea di Roma, e Lorenzo Cantoni, docente comunicazione Digitale Univ. Svizzera Italiana, dove tutti i hanno potuto interrogarsi concretamente e dire la loro su questo tema tanto affascinante quanto, per alcuni aspetti, preoccupante.

Tra etica e antropologia.
Il seminario di Subiaco ha dunque mostrato che i care robot non sono solo una questione tecnica, ma una sfida culturale, antropologica ed etica. Non si tratta di scegliere tra uomo e macchina, ma di costruire una convivenza che valorizzi la fragilità, la presenza, la relazione. Perché prendersi cura è sempre un atto umano.

leggi anche l’articolo su AgenSir di Giovanna Pasqualin Traversa

ultimo aggiornamento il 16 Ottobre 2025

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