SCIENZA & VITA SEMINARIO | AVVENIRE | 23 ottobre 2025

Medicina e robotica | I robot per curarci? «Ma la tecnologia non avrà mai il tocco umano»

di Maurizio Calipari e Beatrice Rosati

La robotica per la cura rappresenta una delle sfide più rilevanti del nostro tempo: come integrare l’innovazione tecnologica nei processi di assistenza senza snaturare l’essenza della cura, che resta profondamente umana?

Su questa domanda si è sviluppato il seminario residenziale promosso dal Centro Studi Scienza & Vita, in collaborazione con l’Università Europea di Roma, il Campus BioMedico Roma e il Comune di Subiaco, svoltosi nella stessa Subiaco dal 10 al 12 ottobre, sul tema “Care robot. Umanoidi per la cura”.

Il convegno ha riunito filosofi, bioingegneri, medici e operatori sanitari, in un dialogo che ha intrecciato scienza, antropologia ed etica. Loredana Zollo (Campus BioMedico Roma) ha chiarito che i “care robot”, nati per l’assistenza fisica, stanno evolvendo verso funzioni cognitive ed emotive, distinguendosi dai dispositivi medici perché progettati per condividere con l’uomo uno spazio di vita, orientando l’interazione alla sensibilità e alla continuità relazionale. Francesca Cordella (Campus BioMedico Roma) ha osservato che non è la “somiglianza” esteriore a rendere empatico un robot: ciò che conta è la capacità di esserci, di comunicare prossimità e attenzione. La questione non è quanto il robot sembri umano ma quanto riesca a relazionarsi con l’altro.

Un tema delicato è emerso nella sessione dedicata alle cure palliative. Nel dialogo tra Marcello Ricciuti (Hospice Ospedale Sant’Anna, Potenza) e Francesco Scotto Di Luzio (Campus BioMedico Roma), la domanda si è fatta radicale: fino a che punto la tecnologia può entrare negli spazi della vulnerabilità e del dolore? I care robot possono sostenere il paziente e la famiglia, ma mai sostituire la presenza umana. La cura, come ricordava Cicely Saunders, nasce dall’incontro tra “competenza” e “compassione”: due dimensioni che nessuna macchina può replicare fino in fondo. Sul versante etico, Alberto Pirni (Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa) ha presentato i risultati del progetto nazionale Tri-Tech (TRust in Technology: How to Assess and Improve RoboT-User Interaction in Elderly Care Integrating EtHical, Technical and Social Variables). Ha spiegato che la sfida è comprendere come la fiducia tecnologica possa convivere con la responsabilità morale, evitando di ridurre l’etica a un accessorio ingegneristico o a semplice “ethics washing”.

Don Massimo Angelelli (Ufficio Pastorale Salute Cei) ha richiamato la dimensione pastorale e antropologica della cura, avvertendo che la delega alle macchine rischia di tradursi in una rinuncia dell’umano al proprio compito di cura. Ha sottolineato che «entrano in scena i “care robot”» laddove emerge «una sorta di fatica relazionale che incide sulle scelte di vita e professionali, soprattutto quelle legate al concetto di cura». E ha concluso: «Tutto ciò che è di supporto ben venga, ma a patto che non diventi sostitutivo dell’umano».

Importante anche il contributo dell’economista Eugenio Di Brino (Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma), che ha richiamato l’attenzione sulla necessità di spostare il focus del Servizio sanitario nazionale dal volume al valore. «Il vero obiettivo – ha detto – deve essere migliorare gli esiti per i pazienti, ottimizzando ogni euro speso». Sul piano più teorico, Giampaolo Ghilardi (Campus BioMedico Roma) ha ricordato che la natura umana è “tecno-logica” fin dalle origini: l’uomo crea strumenti per esprimersi e trasformare il mondo. Ma proprio per questo, ogni tecnologia deve restare orientata al senso, non all’imitazione. Se il robot può imitare, l’umano resta irriducibile nella sua capacità di comprendere, soffrire e amare. Beate Scheidegger ed Emanuela Garavelli (Kinaesthetics Italia) hanno mostrato come, nella cura, il “tocco” e il sincronismo corporeo producano benessere e fiducia, grazie all’ossitocina e alla sensibilità cinestetica. Anche qui la tecnologia può assistere, ma non rimpiazzare la reciprocità fisica e affettiva che fa della cura un incontro tra persone.

Sono poi stati illustrati i risultati del sondaggio promosso dal Centro Studi Scienza & Vita in vista del seminario: oltre l’80% dei partecipanti ritiene necessario interrogarsi eticamente sull’uso dei care robot. L’apertura alla tecnologia è ampia, ma accompagnata da prudenza: la maggioranza la accetta come supporto, non come sostituto della relazione umana. In chiusura, don Victor Tambone (Campus BioMedico Roma) ha richiamato l’urgenza di un nuovo umanesimo tecnologico: evitare tanto il rifiuto del progresso quanto la sua idolatria.

L’etica non può essere delegata alle macchine né ridotta a un linguaggio metaforico: resta compito dell’uomo – e solo dell’uomo – usarla in modo riflessivo, per promuovere il bene comune. Non è mancato uno spazio di confronto interattivo, con gruppi di lavoro formati dai partecipanti, dedicati ai diversi aspetti del tema.

Il messaggio finale del seminario è chiaro: la tecnologia è da promuovere e valorizzare quando è usata come “alleata dell’umano”, svolgendo una funzione di supporto e amplificando la capacità di prendersi cura. Ma essa non può mai – non ne sarebbe capace – sostituire la relazione umana interpersonale.

La cura autentica resta, in ogni caso, una “relazione tra persone”, e nessuna macchina né algoritmo potrà mai sostituire uno sguardo, una parola o una mano tesa.

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ultimo aggiornamento il 30 Ottobre 2025

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