
In Italia, secondo i dati ufficiali più recenti dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2022 sono stati formati quasi 100.000 embrioni attraverso le tecniche di procreazione medicalmente assistita. Di questi, più di 62.000 sono stati congelati, oltre 37.000 scongelati per il trasferimento in utero, mentre più di 25.000 sono rimasti crioconservati.
Numeri che da soli danno l’idea della dimensione del fenomeno: decine, e forse centinaia, di migliaia di vite umane allo stadio iniziale della loro esistenza restano intrappolate nei congelatori dei centri di PMA, sospese in un tempo artificiale che non permette loro né sviluppo né compimento. Eppure, nonostante la portata del problema, non esiste ancora in Italia un registro nazionale ufficiale degli embrioni crioconservati. I dati disponibili provengono solo dalle relazioni annuali dell’Istituto Superiore di Sanità, che raccolgono le informazioni comunicate dai singoli centri. Non sappiamo con esattezza quanti embrioni siano oggi conservati, in quali condizioni, da quanto tempo. Questo vuoto di conoscenza istituzionale accresce l’opacità di una situazione che, invece, richiederebbe più trasparenza e responsabilità.
Dietro le cifre, occorre ribadirlo con chiarezza, non ci sono semplici “unità biologiche”.
Un embrione, anche solo dal punto di vista scientifico, è a tutti gli effetti un essere umano allo stadio iniziale della sua esistenza. Non è un grumo di cellule, ma un individuo della specie umana, unico e irripetibile, che contiene già in sé tutte le potenzialità del proprio sviluppo. Congelarlo significa sottrarre questa vita al suo naturale ambiente di crescita – l’utero materno – per rinchiuderla in un limbo artificiale. È come mettere tra parentesi il tempo biologico, sospendendo una vita che, invece, chiede di poter proseguire.
Questa condizione non è un incidente, ma un effetto strutturale delle procedure di fecondazione extracorporea. La logica della PMA prevede, infatti, la produzione di più embrioni di quanti possano essere trasferiti immediatamente, per aumentare le probabilità di successo. Ma ciò genera inevitabilmente un surplus, destinato al congelamento. Così, accanto alle storie di coppie che coronano il sogno di avere un figlio, si accumulano migliaia di vite abbandonate nei congelatori. È il lato oscuro, spesso taciuto, della stessa tecnica che viene celebrata come vittoria della scienza (sebbene le percentuali globali di successo tecnico permangano ancora piuttosto basse).
Cosa fare, allora, di questi embrioni crioconservati? Le strade sono poche e tutte problematiche. Proseguirne la conservazione significa accumulare numeri sempre più alti, rimandando un problema che diventa ogni anno più grande. Distruggerli o usarli per la ricerca, oltre a contraddire l’impegno etico alla tutela della vita umana, è anche vietato dalla legge italiana, che riconosce all’embrione una dignità da rispettare.
Resta la proposta di permettere a donne o coppie disponibili di accoglierli in grembo, dando loro la possibilità di nascere: un’ipotesi nota come “adozione prenatale” o “adozione per la nascita”.
Questa prospettiva appare, per alcuni, come l’unico modo coerente di rispondere a un problema che riguarda vite già esistenti. Se un embrione è stato concepito, negargli la possibilità di sviluppo significherebbe abbandonarlo a una morte silenziosa. Accoglierlo in un grembo potrebbe essere un gesto di solidarietà radicale, capace di trasformare un destino sospeso in una nascita.
Ma non mancano i dubbi. Alcuni temono che aprire all’adozione prenatale significhi legittimare ulteriormente la fecondazione extracorporea e la sua logica di produzione in eccesso. Altri ritengono che l’adozione di un embrione non possa essere assimilata all’adozione di un bambino già nato, perché in questo caso la donna vive la gravidanza e stabilisce un legame unico con il bambino. Inoltre, ci si chiede quali conseguenze sociali e giuridiche potrebbe avere una simile apertura: si creerebbe un precedente che potrebbe innescare rivendicazioni più ampie in materia di genitorialità e di accesso alle tecniche.
Oltre al piano etico e giuridico, c’è un aspetto pratico che rischia di rendere la questione ancora più urgente: la sostenibilità materiale ed economica di tale procedura.
La crioconservazione, infatti, ha costi elevati, che gravano interamente sui centri di PMA (al netto del contributo alle spese richiesto alle coppie che hanno fatto ricorso alla PMA, che dopo aver ottenuto una gravidanza, con ogni probabilità non sono più interessate al mantenimento dei loro embrioni “sovrannumerari”), i quali non ricevono fondi statali per questa funzione. È realistico pensare che, prima o poi (e di questo passo…, in tempi brevi!), si arrivi a una saturazione dei congelatori e a un punto di non ritorno sul piano finanziario. E allora? Che cosa accadrà se i costi diventeranno insostenibili e lo spazio insufficiente? Ci si limiterà a eliminare gli embrioni accumulati e a ricominciare da zero? O si cercherà finalmente una soluzione che riconosca in quei minuscoli esseri umani la dignità che spetta a ogni vita?
La verità è che non ci troviamo di fronte a un problema puramente tecnico, ma a una questione antropologica. Non si tratta banalmente di decidere come gestire al meglio i congelatori, ma di stabilire quale sguardo vogliamo rivolgere alla vita umana, fin dai suoi inizi più fragili. L’embrione non è un materiale biologico che si può archiviare o smaltire: è un essere umano, che esige rispetto e accoglienza.
Il destino degli embrioni crioconservati è dunque una sfida che interpella la coscienza di tutti, ma che, al tempo stesso, non lascia intravedere concrete soluzioni univoche o di facile implementazione. Tuttavia, quegli embrioni restano là, nelle taniche di azoto liquido, e tutti noi dobbiamo scegliere se chiudere gli occhi di fronte a questa realtà, lasciando che il silenzio dei laboratori diventi la tomba invisibile di migliaia di vite, o se invece assumerci la responsabilità di aprire una via di speranza, qualunque essa sia.
In gioco non c’è solo il futuro di quegli embrioni, ma probabilmente l’idea stessa di umanità che vogliamo affermare e condividere.
ultimo aggiornamento il 23 Ottobre 2025