
I progressi nella robotica e lo sviluppo dell’apprendimento automatico hanno consentito la progettazione di sistemi robotici sempre più autonomi e interagenti, in grado di cooperare e di sostituire l’intervento umano in diversi ambiti della vita: da quello domestico, a quello educativo e sanitario. La combinazione tra intelligenza artificiale e robotica ha dato vita ai c.d. “umanoidi”, dalle sembianze umane, capaci di entrare in comunicazione con gli esseri umani in modo intuitivo, utilizzando linguaggio verbale, espressioni facciali, movimenti. Così, i robot da oggetti meccanici, statici ed esecutivi sono diventati enti autonomi, mobili, con capacità di apprendimento e adeguamento all’ambiente.
I robot cd. “sociali” sono, così, progettati per collaborare con le persone in contesti educativi, assistenziali, sanitari e domestici. In ambito educativo, ad esempio, i robot vengono progettati per aiutare ad acquisire nuove competenze attraverso l’apprendimento interattivo o per sviluppare le capacità di risoluzione dei problemi e dei conflitti. In medicina, invece, i sistemi robotici aiutano a migliorare la precisione degli interventi e delle diagnosi, offrono sostegno al paziente nelle attività quotidiane e per collaborare nei servizi ausiliari. I robot umanoidi “sociali” potrebbero, inoltre, monitorare la condizione del paziente (ad es. valutazione dei parametri vitali), dare aiuto nella mobilità (ad es. assistenza al movimento) e nel campo della sicurezza (ad es. nella prevenzione delle cadute).
Si parla, a tal proposito, di Care Robot, dal momento che offrono assistenza a chi ha bisogno di cure. È il crescente bisogno di assistenza da parte dei pazienti e degli anziani, destinato a crescere secondo le proiezioni demografiche, che ha portato alla progettazione di tali robot per la cura. La loro integrazione solleva, però, preoccupazioni circa la disumanizzazione dell’assistenza.
In particolare, un articolo pubblicato su Science and Engineering Ethics – dal titolo “Does Humanness Matter? An Ethical Evaluation of Sharing Care Work with Social Robots”- riporta i risultati di uno studio qualitativo su anziani, caregiver familiari e caregiver professionali condotto in Svizzera, sulle percezioni circa i robot sociali e la loro comprensione del “contatto umano” nell’assistenza. Le interviste qualitative sono state condotte con 67 persone, tra cui anziani di età pari o superiore a 65 anni, che vivono a casa o in case di cura o strutture di residenza assistita (27), caregiver professionali (23) e caregiver familiari (17). Pepper, un robot sociale in grado di riconoscere le emozioni in base alle espressioni facciali e al tono della voce, è stato il modello tecnologico utilizzato nella ricerca.
I partecipanti allo studio hanno valutato il robot sociale come limitato nelle sue capacità di tenere interazioni sociali complesse, collegate alle loro esigenze di cura: il robot non riesce a rispondere adeguatamente a emozioni e sentimenti, né a comprendere i segnali non verbali. Sulla stessa linea, i partecipanti hanno sottolineato che, sebbene Pepper abbia una voce e possa essere in grado di sostenere conversazioni con il suo utente, i limiti evidenziati lo rendono un’imitazione imperfetta di una persona umana. Pepper è una macchina e sa svolgere compiti, ma non è in grado di emettere istruzioni e interpretare informazioni al di là di ciò che è in grado di fare.
Tra gli aspetti positivi del robot sociale, si riporta la capacità di svolgere compiti specifici e tecnici, come impostare allarmi, fornire promemoria e somministrare medicine, portare cibo e bevande. Il lavoro fisico da parte dei robot aiuta, inoltre, ad alleviare il loro carico di assistenza. I partecipanti hanno riportato di sentirsi meno in imbarazzo nell’attività di cura quotidiana. Il robot, inoltre, rafforza l’autonomia della persona, che si avverte meno dipendente dagli altri esseri umani.
Il robot non possiede, però, qualità umane come la capacità di prendere decisioni e di essere empatico: i pazienti hanno avvertito il robot “freddo”, anche al contatto, e non naturale. La cura rimane, infatti, un’attività essenzialmente relazionale. Lo studio dimostra che i robot potranno offrire il loro prezioso contributo all’assistenza, cooperando con l’uomo ed offrendo un supporto personalizzato, ma non potranno mai sostituire l’uomo. Le relazioni umane sono, infatti, una realtà più complessa di istruzioni programmate. L’anziano ha bisogno di una cura che non può ridursi al mero piano tecnico, ma che risponde alla multidimensionalità dei bisogni e delle relazioni.
Rimane una questione irrisolta: noi siamo pronti ad affidare la cura dei nostri cari o di noi stessi anche ad un robot? Quali sono i rischi e le opportunità? Tali questioni saranno approfondite insieme agli esperti della bioingegneria, della bioetica e della cura, il prossimo 10/12 ottobre nel Seminario di Studi di Scienza & Vita “CARE ROBOT: UMANOIDI PER LA CURA”. Clicca QUI per partecipare!
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ultimo aggiornamento il 16 Ottobre 2025

