
In Canada, dopo neanche dieci anni dalla legalizzazione dell’assistenza medica alla morte (Medical assistance in Dying,“MAID)”, le iniezioni letali hanno posto fine a circa 70.000 vite umane. I dati sono contenuti in un recente articolo pubblicato su Hastings Center Report, dal titolo “Euthanasia as Medical Therapy in Canada”, scritto da un membro del MAiD Death Review Committee dell’Ontario.
Nello scritto si afferma che il sistema canadese ha “normalizzato” l’assistenza al suicidio e l’eutanasia, considerate quasi “terapie”, spesso richieste per la sofferenza solo indirettamente correlata alla salute. Così, oggi, circa il 5 per cento di tutti i decessi in Canada sono dovuti a MAID. In Quebec la cifra è del 7,2 per cento dei decessi, il più alto tasso di morte procurata al mondo.
- Le tappe dell’assistenza medica alla morte in Canada
Il 6 febbraio 2015, la Cour suprême del Canada ha reso la sentenza Carter c. Canada, che ha dichiarato parzialmente incostituzionale la normativa penale che incriminava l’assistenza al suicidio. L’efficacia di tale decisione è rimasta sospesa per dodici mesi, con l’invito a modificare le norme penali; periodo di attesa poi prolungato di ulteriori quattro mesi. Il 17 giugno 2016 è entrato in vigore il Medical Assistance in Dying Act. Nel dibattito che ha preceduto l’adozione della legge, eutanasia e suicidio assistito erano considerati distinti, successivamente le differenze sono venute meno, anche dal punto di vista normativo; tutto è rientrato sotto la definizione di “aide médicale à mourir”.
La legge rende lecita l’assistenza alla morte nel caso in cui il richiedente sia maggiorenne, affetto da una malattia grave ed inguaribile, possa usufruire dei servizi sanitari e abbia espresso in forma scritta un consenso informato e libero da eventuali costrizioni. Per “malattia grave ed inguaribile” la normativa intende qualunque patologia capace di ridurre in maniera irreversibile le capacità dell’individuo, che provochi una profonda e intollerabile sofferenza fisica e/o psicologica e faccia ritenere la morte ragionevolmente prevedibile. La domanda deve essere sottoscritta da due testimoni che non appartengano al personale sanitario; almeno due medici indipendenti verificano che la richiesta soddisfi tutti i requisiti. Per l’ipotesi in cui il richiedente non possa adempiere autonomamente, un terzo si occuperà delle diverse fasi procedurali, ma lo stesso non deve avere dei vantaggi di natura economica dal decesso del richiedente.
A ottobre 2020, il ministro della Giustizia e il procuratore generale del Canada hanno presentato in Parlamento una proposta di modifica ulteriore alla legge, riguardo ai criteri di ammissibilità: modifiche approvate il 17 marzo 2021, consentendo la morte assistita anche alle persone con una malattia, infermità o disabilità grave e incurabile, anche se la loro morte non è ragionevolmente prevedibile, purché soddisfino gli altri criteri di ammissibilità. La legge (Bill C-7) non richiede, pertanto, che la morte naturale sia ragionevolmente prevedibile per accedere alla MAID. Dal 2021 vi è, pertanto, un doppio binario: uno per i pazienti in fine vitae uno per coloro la cui morte non è ragionevolmente prevedibile, inclusi soggetti con dolore cronico o disabilità neurologiche. Due successivi interventi normativi, Bill C-39 (marzo 2023) e Bill C-62 (febbraio 2024), hanno poi posticipato l’entrata in vigore dell’ammissibilità per persone che soffrono esclusivamente di una malattia mentale e che soddisfano tutti gli altri criteri di ammissibilità. Oggi si propone, inoltre, di estendere l’assistenza medica alla morte per includere i minori.
- Le violazioni dei diritti delle persone con disabilità e dei più fragili
Nell’aprile 2025 il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità ha pubblicato le sue osservazioni dopo aver esaminato il rapporto presentato dal Canada ai sensi della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, denunciando il fatto che la MAID sta diventando una forma di “aiuto pubblico” per chi è escluso dall’assistenza sanitaria, per chi è senza lavoro o senza dimora e versa in condizioni di esclusione e debolezza. Da eccezione ammessa in casi limitati la morte procurata diviene la “soluzione” per chi vive una malattia degenerativa, una disabilità, una condizione di vulnerabilità, anche sociale.
Il Comitato ha dichiarato di essere preoccupato per la percezione negativa della qualità e del valore della vita delle persone con disabilità. L’organismo ha, inoltre, raccomandato di vietare le pratiche eutanasiche per chi è nella malattia mentale e ha invitato il Canada a cancellare la modifica del 2021 che ammette alle procedure anche le persone non ancora nella prossimità della morte, chiedendo di fermare ulteriori espansioni, in particolare di non sostenere le proposte di estensione della MAID ai minori.
L’articolo pubblicato su Hastings Center Report citato riporta diversi casi di eutanasia praticata su persone fragili, anche contro la volontà del soggetto e dei familiari. Si dimostra, poi, una delle conseguenze più dannose dell’assistenza alla morte canadese: la normalizzazione delle pratiche che pongono intenzionalmente fine alla vita umana, considerate come “terapie”. In Canada, nella pratica, quasi tutte le malattie croniche possono essere considerate idonee a soddisfare i criteri di accesso, anche quando la loro eziologia non è compresa e gli esperti stanno ancora esplorando i trattamenti. Gli standard clinici rigorosi e basati sull’evidenza che ci si aspetta dalle nuove specialità mediche sono, ovviamente, assenti.
Si afferma, inoltre, che i medici devono garantire l’accesso alla MAID anche se esistono alternative per alleviare la sofferenza: con le pratiche eutanasiche la scelta del paziente prevale sulla terapia standard. Quando si tratta della prescrizione eccessiva di oppioidi, le autorità di regolamentazione fanno riferimento a standard medici concordati per determinare la condotta scorretta. Ma i criteri della MAID sono vaghi e senza controllo. L’iniezione letale è, in fondo, una pratica conveniente.
- Osservazioni conclusive
Proprio la pronuncia della Corte canadese del 2015 viene citata nella nota ordinanza n. 207 del 2018 della Corte costituzionale italiana, che ha preceduto la sentenza n. 242 del 2019, rilevando una circoscritta area di non conformità costituzionale per il reato previsto dall’art. 580 del codice penale. Si legge, infatti, nel par. 11 dell’ordinanza che “la soluzione ora adottata si fa carico, in definitiva, di preoccupazioni analoghe a quelle che hanno ispirato la Corte Suprema canadese” nel 2015. Tale simile punto di partenza rende urgente una riflessione completa, per scongiurare il rischio che i tragici scenari descritti nell’esperienza canadese possano verificarsi anche nel nostro Paese.
In Italia dopo la sentenza n. 242 del 2019 e la successiva giurisprudenza costituzionale proseguono nelle Commissioni del Senato i lavori parlamentari; a novembre si terrà invece l’udienza in Corte costituzionale per il ricorso presentato dal Governo contro la legge regionale Toscana sul suicidio assistito. Tante sono però le questioni che rimangono irrisolte, a cominciare dalla principale, che riguarda il rapporto tra la Corte costituzionale e il Legislatore, con specifico riferimento alla materia penale. Rimane, poi, lo snodo problematico che riguarda il considerare l’assistenza al suicidio una pratica medica, legata alla “tutela della salute” (dalla quale discenderebbe la presunta competenza regionale). Come può l’aiuto al suicidio essere definito “medico” quando non risponde ad alcun requisito di sostenibilità scientifica? Come può rientrare nella nozione di salute, oggetto di protezione costituzionale, l’atto che provoca la morte? Come può, ancora, a certe condizioni divenire una procedura “medica” l’aiuto offerto alla persona sofferente e vulnerabile nella malattia per procurarsi la morte? Di fronte a tali questioni è ben noto il pericolo del cosiddetto “pendio scivoloso”, e cioè il rischio che si cominci a permettere l’assistenza al suicidio a determinate condizioni per chi la richiede, per poi allargare i criteri di accesso, fino a praticarla anche a chi non l’ha richiesta.
Il nostro sguardo, però, non dovrebbe fermarsi a contemplare, in astratto, il pericolo di un futuro avanzamento di pratiche sempre più lesive dell’inviolabilità della vita e della dignità umana, ma allargare l’orizzonte per prendere atto della realtà, e cioè che già oggi assistiamo alla lesione dei diritti umani negli Stati, come il Canada, nei quali l’assistenza medica alla morte è legalizzata. Dal pendio in questo caso si è già scesi.
Il Comitato per i diritti delle persone con disabilità si è espresso sulla lesione del diritto alla vita delle persone con disabilità, affermando che “il concetto di ‘scelta’ crea una falsa dicotomia”, ponendo la premessa che se le persone con disabilità soffrono, è legittimo che lo Stato parte consenta la loro morte senza fornire garanzie che assicurino il sostegno necessario, e sulla base di presupposti discriminatori che minimizzano la miriade di opzioni di sostegno che potrebbero consentire alle persone con disabilità di vivere una vita dignitosa”. La possibilità di morire con la MAID per le persone con disabilità si basa su “una premessa negativa”, relativa al valore della vita delle persone con disabilità e sull’ idea “che la ‘sofferenza’ sia intrinseca alla disabilità, senza riconoscere che la disuguaglianza e la discriminazione causano e aggravano la “sofferenza” per le persone con disabilità”.
Sono i presupposti sbagliati e le premesse discriminatorie, come le false dicotomie, che permettono la lesione del primo dei diritti, quello alla vita, unico presupposto per il godimento di tutti gli altri.
Per approfondire:
- Lemmens, T. (2025), Euthanasia as Medical Therapy in Canada. Hastings Center Report, 55: 1-1
- Committee on the Rights of Persons with Disabilities, Concluding observations on the combined second and third periodic reports of Canada, 2025
ultimo aggiornamento il 27 Settembre 2025