Roma 25 giugno 2025

Fine vita | Discrezionalità del legislatore, sindacato della Corte e l’urgenza

di Francesca Piergentili

Negli ultimi mesi in Italia, ma anche in Europa, è forte la spinta di derive sociali e culturali che vorrebbero rendere la vita umana un bene disponibile in nome di una astratta e assoluta autodeterminazione personale. Si vorrebbe così imporre, sotto la pressione di singoli casi, un diritto alla morte per l’essere umano che soffre nella malattia e nella vulnerabilità. La dignità umana si vorrebbe far dipendere dalla sola percezione del sofferente e dal possedere certe caratteristiche, funzioni e abilità.
Si punta, inoltre, ad ottenere l’intervento del Servizio Sanitario Nazionale per ricevere prestazioni eutanasiche.

Si fa, così, pressione affinché il diritto alla morte – del tutto estraneo al nostro ordinamento giuridico, che riconosce il diritto alla vita come il primo dei diritti inviolabili – venga riconosciuto dal Parlamento italiano. A quest’ultimo si chiede di approvare una legge in materia di suicidio assistito, “in applicazione” delle sentenze della Corte costituzionale: ma il richiamo alla giurisprudenza e, in particolare, alla sentenza n. 242 del 2019, appare spesso solo strumentale per poter compiere il passo ulteriore e finale, e cioè il riconoscimento del diritto alla morte e all’eutanasia.

Il contenuto delle sentenze viene da alcuni strumentalmente stravolto.

La Corte ha riconosciuto, nelle sentenze sul fine-vita, che dall’art. 2 della Costituzione discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo e non un diritto alla morte: è stata individuata, pertanto, una circoscritta area di non punibilità per il reato dell’aiuto al suicidio in casi eccezionali e non un diritto a ricevere prestazioni. Ma ciò non sembra essere sufficiente. La regione Toscana ha, allora, approvato una legge che prevede il diritto di ricevere prestazioni di assistenza al suicidio. Una legge che sarà oggetto di giudizio di legittimità costituzionale con udienza fissata a novembre 2025. Altre regioni (tra cui Abruzzo, Lombardia, Friuli Venezia Giulia) hanno invece riconosciuto la loro incompetenza in materia di ordinamento penale e ordinamento civile.

È importante ricordare che la Corte è stata anche investita di una nuova questione: dovrà, infatti, decidere se estendere la non punibilità, alle condizioni indicate nella sent. n. 242 del 2019, anche all’omicidio del consenziente. Si richiede esplicitamente il riconoscimento dell’eutanasia.

In questa complessa materia, nella quale si intrecciano il dramma delle vicende umane, i profili più tecnicamente giuridici, anch’essi di non semplice lettura, e le spinte eutanasiche, che ruolo conserva il Parlamento?

Il contributo tenta di ricostruire il rapporto tra giurisprudenza costituzionale e ruolo del Legislatore in ambito penale, evidenziando come quest’ultimo conserva una propria discrezionalità. In particolare, “i criteri di riempimento” indicati nella nota sentenza n. 242 del 2019 non sono a contenuto costituzionalmente vincolato, potendo il Parlamento discostarsi da essi, nel rispetto dei principi costituzionali. La Corte, infatti, “non è mai legislatore positivo e non può̀ quindi creare essa stessa la disposizione mancante”, ma “individua nella legislazione
vigente una risposta costituzionalmente adeguata, anche se non obbligata, applicabile in via transitoria fintanto che il legislatore non reputi opportuno mettere mano alla riforma legislativa che resta pur sempre nella sua discrezionalità attivare, nel quando e nel quomodo”.

Il Legislatore potrebbe, pertanto, intervenire nella sua discrezionalità, non essendo vincolato alla soluzione di riempimento individuata dalla Corte. Tanto ciò è vero che ci si potrebbe anche modificare “il quadro legislativo” che è stato oggetto di scrutinio o intervenire con legge addirittura costituzionale (v. infra).

Una cosa è certa: il tema è estremamente complesso e divisivo. Non si parla di un singolo, seppur drammatico, caso. Nelle scelte legislative collegate alla materia penale e alla tutela dei diritti fondamentali non si può non tenere nel debito conto dei beni giuridici tutelati, delle finalità che il legislatore persegue, degli effetti indiretti nell’ambiente sociale, delle necessità di prevenzione generale. Suggerisce, allora, un atteggiamento di massima cautela proprio la prossima questione all’attenzione della Consulta sull’eutanasia (art. 579 c.p.): come può chiedersi una legge in tempi rapidi, come richiesto da molti, quando non è chiaro neanche l’oggetto di cui si sta discutendo?

La vera urgenza sembra oggi essere una sola: quella di sganciare il tema del fine-vita dalle pressioni di derive culturali e sociali di segno contrario al “principio personalista che anima la Costituzione italiana”, che presuppone la vita come il primo dei diritti inviolabili e presupposto per il godimento di ogni altro diritto.

Mancano ancora oggi esiti condivisi e questo non giustifica continue fughe in avanti, né pressioni indebite. Servirebbe, invece, aprire un serio confronto, scevro da condizionamenti, partendo dall’individuazione delle reali necessità dei pazienti nella malattia inguaribile e delle loro famiglie.

Le leggi, invero, già ci sono, a cominciare dalla legge n. 38 del 2010 sulle cure palliative e la terapia del dolore: a cosa servono, allora, nuove leggi se non si riconosce l’urgenza di rendere effettivi i diritti già riconosciuti?

Vai all’articolo completo sul sito del Centro Studi Livatino

ultimo aggiornamento il 27 Giugno 2025

Share