
Negli ultimi mesi in Italia, ma anche in Europa, è forte la spinta di derive sociali e culturali che vorrebbero rendere la vita umana un bene disponibile in nome di una astratta e assoluta autodeterminazione personale. Si vorrebbe così imporre, sotto la pressione di singoli casi, un diritto alla morte per l’essere umano che soffre nella malattia e nella vulnerabilità. La dignità umana si vorrebbe far dipendere dalla sola percezione del sofferente e dal possedere certe caratteristiche, funzioni e abilità.
Si punta, inoltre, ad ottenere l’intervento del Servizio Sanitario Nazionale per ricevere prestazioni eutanasiche.
Il contenuto delle sentenze viene da alcuni strumentalmente stravolto.
La Corte ha riconosciuto, nelle sentenze sul fine-vita, che dall’art. 2 della Costituzione discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo e non un diritto alla morte: è stata individuata, pertanto, una circoscritta area di non punibilità per il reato dell’aiuto al suicidio in casi eccezionali e non un diritto a ricevere prestazioni. Ma ciò non sembra essere sufficiente. La regione Toscana ha, allora, approvato una legge che prevede il diritto di ricevere prestazioni di assistenza al suicidio. Una legge che sarà oggetto di giudizio di legittimità costituzionale con udienza fissata a novembre 2025. Altre regioni (tra cui Abruzzo, Lombardia, Friuli Venezia Giulia) hanno invece riconosciuto la loro incompetenza in materia di ordinamento penale e ordinamento civile.
Le leggi, invero, già ci sono, a cominciare dalla legge n. 38 del 2010 sulle cure palliative e la terapia del dolore: a cosa servono, allora, nuove leggi se non si riconosce l’urgenza di rendere effettivi i diritti già riconosciuti?
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ultimo aggiornamento il 27 Giugno 2025