AVVENIRE | 16 marzo 2025

Disforia di genere | Identità, come accogliere e sostenere storie di fatica

di Luciano Moia

Capire la disforia di genere. Un tentativo di vederci chiaro che sta mettendo a dura prova la scienza. Cos’è in realtà questo disagio profondo della nostra epoca? Secondo il Dsm 5 – il manuale statistico-diagnostico dei disturbi mentali – «è caratterizzata da una forte e persistente identificazione col sesso opposto; le persone si ritengono vittime di una sorta di “incidente biologico” che le ha imprigionate in un corpo incompatibile con l’identità di genere che vivono soggettivamente».

Definizione corretta ma che non fa giustizia della varietà di situazioni e dell’intreccio di sofferenze che si nascondono nei ragazzi, nelle ragazze e nelle loro famiglie alle prese con queste situazioni. Ecco perché Stefano Vicari e Maria Pontillo, nel libro Non chiamarmi col mio nome. Leggere tra le righe la disforia di genere (Erickson), tra pochi giorni in libreria, accostano storie di vita vissuta a spiegazioni chiare, essenziali, capaci di accompagnare anche i non addetti ai lavori in un arcipelago complesso, dove le insidie dell’ideologia e della banalizzazione sono sempre in agguato.

Vicari e Pontillo – lui docente di neuropsichiatria infantile alla Cattolica di Roma e primario all’Ospedale Bambino Gesù, lei psicoterapeuta cognitivo-comportamentale presso la stessa Unità complessa di neuropsichiatria – in collaborazione con la Scuola Holden, inquadrano la questione nell’ambito del percorso di sviluppo fisico, emotivo e psicologico di bambini e ragazzi. Non nascondono che, in questo percorso di crescita, avvertire una dissonanza tra il genere percepito e il sesso biologico, «può generare emozioni negative, come ansia, tristezza e rabbia associate a confusione, che a volte si trasformano in una sofferenza più profonda».

Come aiutare questi ragazze e ragazzi? Genitori, insegnanti, operatori sanitari «possono offrire ascolto, comprensione, sostegno». Importate anche, consigliano ancora gli esperti, offrire «un ambiente accogliente, dove chi vive la disforia di genere si senta libero di essere se stesso senza paura di essere giudicato».

Un compito che riguarda anche tutti noi come comunità: «Accogliere e rispettare le specifiche sensibilità e orientamenti non solo aiuta i ragazzi a sentirsi più sicuri e compresi, ma contribuisce anche a costruire una società più inclusiva e arricchente per tutti» Accogliere significa offrire un accompagnamento competente da parte di psicologi esperti in identità di genere, consapevoli che il periodo cruciale, per comprendere l’evoluzione della disforia, è quello tra i 10 e i 13 anni, e che nella maggior parte dei casi questo atteggiamento scompare con il passaggio dall’infanzia all’adolescenza (solo il 1227% dei bambini con diagnosi di disforia continua a manifestarla oltre la pubertà).

Allo stesso modo va inquadrato per intero il quadro clinico di questi ragazzi e ragazze, che rispetto ai coetanei «sono più a rischio di sviluppare disturbi psichiatrici» come ansia, depressione, ideazione suicidaria, autismo, disturbi comportamentali . Ecco perché il neuropsichiatra infantile non si limita solo al trattamento medico «ma si fa garante di un approccio globale che coinvolga anche la famiglia e l’ambiente sociale», alla luce di quella visione integrata che appare la strada privilegiata per comprendere e supportare il vissuto di questi/e ragazzi/e.

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ultimo aggiornamento il 21 Marzo 2025

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