La prossima settimana la Corte costituzionale si troverà ad affrontare, come ricorda il comunicato stampa del 19 gennaio 2021 (1), due questioni di legittimità costituzionale in materia di procreazione assistita, in riferimento al riconoscimento del figlio procreato all’estero attraverso il ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale (nel primo caso attraverso tecniche di fecondazione eterologa, nel secondo attraverso maternità surrogata).
La prima delle due questioni è stata sollevata dal Tribunale di Padova e riguarda lo status del figlio nato in Italia da una coppia formata da due donne che hanno fatto ricorso all’estero alla pma di tipo eterologo. Nello specifico il giudice a quo chiede alla Consulta di affermare un vulnus di tutela nella legge n. 40 del 2004, in riferimento al mancato riconoscimento del legame del nato con il genitore di intenzione in caso di crisi della coppia. Per il giudice di Padova sono, infatti, da dichiarare incostituzionali gli artt. 8 e 9 della legge n. 40 e l’art. 250 del codice civile per violazione degli artt. 2, 3, 30 e 117 della Costituzione, “laddove non consentono al nato, nell’ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita eterologa praticata da una coppia di donne l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche della donna che insieme alla madre biologica abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa, ove non vi siano le condizioni per procedere all’adozione nei casi particolari, ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983, e sia accertato l’interesse del minore”. Ad essere leso sarebbe, inoltre, il c.d. diritto alla bigenitorialità, inteso come “il diritto di ogni bambino ad avere due persone che si assumono la responsabilità di provvedere al suo mantenimento, alla sua educazione e istruzione, nei confronti delle quali poter vantare diritti successori, ma soprattutto di poter agire in caso di inadempimento e di crisi della coppia”.
La seconda questione di legittimità costituzionale, sollevata invece dalla Cassazione, riguarda la maternità surrogata e, in particolare, il riconoscimento dell’efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero con il quale sia accertato il rapporto di filiazione tra un minore, nato all’estero tramite ricorso a tale tecnica procreativa, e il genitore di intenzione italiano. È richiesto, cioè, alla Corte di stabilire se il bambino nato all’estero mediante maternità surrogata possa essere riconosciuto in Italia come figlio di due uomini uniti civilmente. È, pertanto, prospettata l’incostituzionalità dell’art. 12, comma 6, della legge n. 40, dell’art. 64, comma 1, lettera g), della legge n. 218 del 1995 e dell’art. 18 del d.P.R. n. 396 del 2000, «nella parte in cui non consentono, secondo l’interpretazione attuale del diritto vivente, che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento nell’atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della gestazione per altri (cosiddetta “maternità surrogata”) del c.d. genitore d’intenzione non biologico». Per la Cassazione, a seguito della pubblicazione di un parere consultivo della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo - espresso in esecuzione del Protocollo n. 16, allegato alla CEDU, entrato in vigore il 1° ottobre 2018 ma non ancora reso esecutivo dall’Italia - vi sarebbe un conflitto non superabile con l’attuale situazione del diritto vivente in Italia che attribuisce al divieto di maternità surrogata lo statuto di principio di ordine pubblico prevalente.
In attesa delle udienze e delle decisioni della Corte si ricorda che la Consulta si era interrogata, lo scorso anno, sul presunto diritto ad avere il figlio tramite l’uso della tecnologia nella sentenza n. 221 del 2019, in tema di fecondazione eterologa per infertilità sociale della coppia omosessuale. Con tale decisione era stata ribadita la legittimità della legge 40 e dei requisiti soggettivi per l’accesso alle tecniche di pma, così come era stato confermato il divieto assoluto di maternità surrogata in Italia. La ratio del divieto è da rintracciare, come si evince dalla giurisprudenza della Consulta, nell’offesa alla dignità della donna e nella potenzialità di minare nel profondo le relazioni umane.
Nel frattempo sono stati pubblicati diversi articoli a sostegno delle tecniche di maternità surrogata, soprattutto di quelle a carattere commerciale: ad essere considerata in tali studi è la tutela della volontà della donna che offre il proprio grembo e della coppia che desidera avere un figlio (cfr.2,3,4,5). Ad essere del tutto assente è la considerazione dei diritti e degli interessi del nato attraverso tali tecniche, ridotto a mero oggetto del contratto tra genitori intenzionali e madre surrogata.
L’interesse del bambino sembra, invece, essere considerato nelle questioni sul riconoscimento in Italia dei rapporti di filiazione con il genitore intenzionale del figlio procreato attraverso tali tecniche all’estero: tale interesse è tuttavia considerato solo in parte ed esclusivamente ex post, dopo, cioè, che le pratiche di procreazione sono state già attuate. È però la maternità surrogata stessa a “moltiplicare” i soggetti coinvolti nella procreazione umana, a provocare, inevitabilmente, una “frammentazione” e uno stravolgimento delle nozioni tradizionali di «maternità», di «genitorialità» e di «filiazione». É la maternità surrogata a ledere la dignità della nascita umana: essa comportare sempre, sia nella forma “altruistica” che in quella “commerciale”, il traffico di gameti e di embrioni umani, la distorsione dei legami di filiazione, lo sfruttamento del corpo della donna, la reificazione del bambino. Non sembra, allora, possibile considerare e tutelare l’interesse del bambino
senza continuare ad affermare il divieto assoluto di maternità surrogata e la legittimità costituzionale delle disposizioni contenute nella legge n. 40.