Il tema del suicidio medicalmente assistito è da anni centrale nel dibattito sul fine vita e molto trattato anche nella letteratura scientifica. È, invece, un tema poco trattato quello del commercial-assisted suicide (CAS) e cioè, della pratica di fornire assistenza al suicidio a scopo di lucro.
Nel suicidio assistito commerciale il soggetto che desidera porre fine alla sua vita richiede aiuto, dietro compenso, ad un altro soggetto, che potrebbe anche non essere un medico, per l’assistenza al suicidio: il suicidio assistito si sgancia, così, dalla procedura medica, per entrare nello spazio del libero commercio.
La diretta conseguenza dello sviluppo di tale forma di aiuto al suicidio a pagamento sarebbe la creazione di un vero e proprio mercato dell’assistenza al suicidio: il suicidio assistito si trasformerebbe in un “bene” commerciale.
Un recente articolo pubblicato sulla rivista Bioethics, dal titolo Against commercial-assisted suicide, analizza la problematica, mettendo a confronto le diverse forme di aiuto al suicidio.
Per l’autore un mercato del suicidio assistito offrirebbe a prima vista una serie di vantaggi: amplierebbe, in un certo senso, la libertà di scelta del singolo, aumentando le opzioni disponibili per porre fine alla propria esistenza, e sgancerebbe il suicidio assistito dal “monopolio” della medicina.
I medici, infatti, avendo il controllo esclusivo della tecnologia in ambito sanitario, svolgono un ruolo centrale nelle scelte di fine vita: escludendo il controllo della medicina sul suicidio assistito, per l’autore, si risolverebbe anche il problema della compatibilità del suicidio con la stessa etica medica e la problematica dell’obiezione di coscienza.
Nello studio pubblicato su Bioethics si ricorda però che il mercato non è semplicemente una struttura passiva e neutrale: il mercato stesso, infatti, è in grado di “modellare” le preferenze degli agenti. L’emergere del mercato di un determinato bene crea, influisce e modifica le preferenze e le scelte dei soggetti. Un mercato sull’aiuto al suicidio comporterebbe inevitabilmente la creazione di pubblicità e messaggi rivolti al pubblico dalle aziende, con l’obiettivo di convincere i potenziali clienti a ricorrere al suicidio assistito e di pagare per tale servizio le loro strutture.
In particolare, un mercato dell’assistenza al suicidio potrebbe da una parte spingere al suicidio soggetti prima non interessati (con la promozione, ad esempio, di una procedura rapida, semplificata e a basso costo) dall’altra creare problematiche e disuguaglianze per l’accesso legate alla condizione economica del singolo.
Un ultimo problema riportato nello studio è legato all’irreversibilità della morte e all’impossibilità di ottenere risarcimenti ex post, come invece è possibile in altri mercati (si fa riferimento al caso dell’assistenza alla morte a pagamento praticata arrecando eccessivo dolore). Un mercato così “irresponsabile”, inadatto per sua natura all’ottimizzazione e alla correzione, può presentare carenze anche sotto il profilo della concorrenza.
Rispetto a tale “servizio” a pagamento sono però altre e ulteriori le considerazioni da evidenziare.
Il suicidio assistito nella forma commerciale presuppone, infatti, un potere di disposizione del proprio corpo e della propria vita pieno ed esclusivo, ammettendo la possibilità di transazioni economiche rivolte all’assistenza nel porre fine alla vita umana.
Il diritto alla vita è, però, inviolabile e, pertanto, irrinunciabile, indisponibile, inalienabile, come ricordato anche nella più recente giurisprudenza costituzionale sul tema. La tutela della dignità umana, inoltre, conferma l’estraneità del corpo umano e della vita dalle logiche speculative del mercato. Gli interessi economici non dovrebbero mai prevalere sul rispetto della dignità umana. Anche nella Costituzione italiana troviamo, all’art. 41, esplicitato tale principio, là dove è posta la dignità umana come limite all’iniziativa economica privata.
Il commercial-assisted suicide rende ancora più evidenti le conseguenze del concepire un potere assoluto di disposizione del corpo e della vita: il tema non è più solo l’assistenza al suicidio ma anche l’istigazione allo stesso, la perdita di ogni riferimento a una dimensione oggettiva della dignità umana e di qualsiasi valore alla vita stessa.
Si afferma nell’articolo che il mercato non è un “luogo” passivo e neutrale ma una struttura in grado di “modellare” le preferenze degli agenti. Se questo è vero per il mercato, non è forse altrettanto vero anche per l’autorità statale e per le sue leggi? Quando lo Stato consente di porre fine a un’esistenza, sia secondo una specifica procedura medica sia secondo un modello di assistenza esclusivamente commerciale, è “neutrale” rispetto alla vita e alla morte della persona?
È rispetto a tali interrogativi necessario riaffermare, a livello soprattutto culturale, il valore della vita, della cura, della dignità di ogni essere umano, contro “colonizzazioni ideologiche” che antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà.
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