È stato pubblicato un nuovo Rapporto del Gruppo di lavoro ISS Bioetica Covid-19 dal titolo “Aspetti di etica nella sperimentazione di vaccini anti-COVID-19”. Il documento affronta il problematico e attualissimo tema dei vaccini e, nello specifico, approfondisce gli aspetti di etica riguardanti la sperimentazione clinica.
A distanza di un anno dall’identificazione di SARS-CoV-2 e in assenza di terapie specifiche per il trattamento della malattia provocata dal virus, è divenuta sempre più urgente la necessità di disporre di vaccini efficaci: come si legge nel documento, la ricerca del vaccino si è rilevata “un passaggio necessario e indispensabile per il contenimento del virus nel minor tempo possibile, con tutti i benefici sanitari, economici e sociali ad esso associati”. Il mondo della ricerca e dell’industria, come anche le autorità nazionali e internazionali, si sono “mobilitati per rispondere al grido di dolore proveniente dalla società e attivare misure atte a ridurre i tempi della ricerca senza comprometterne la qualità”: sono stati stipulati, a tal fine, contratti di prelazioni di acquisto di vaccini non ancora esistenti; sono stati attivati ingenti finanziamenti per la ricerca vaccinale; sono state approvate procedure delle autorità regolatorie di emergenza per ridurre i tempi di approvazione dei vaccini. È stata, pertanto, fortissima la pressione, a livello globale, volta all’accelerazione della ricerca e delle sperimentazioni per il vaccino, sollevando implicazioni scientifiche ed etiche rilevanti.
Una parte dell’opinione pubblica ha sollevato il dubbio che si sia messo a rischio il rigore scientifico della sperimentazione per ottenere il vaccino anti-Covid-19 nel tempo più rapido possibile.
Il Rapporto mette in evidenza che nella ricerca del vaccino “occorre evitare ritardi nelle procedure autorizzative, ma è doveroso anche non cedere sul rigore nella metodologia scientifica”: è, infatti, “importante arrivare presto, ma è ancor più importante arrivare bene”.
La conoscenza di piattaforme vaccinali già utilizzate – come le strategie per virus appartenenti alla stessa famiglia virale (SARSCoV e MERS-CoV) e contro Ebola e Zika Virus – e l’applicazione di biotecnologie altamente specializzate hanno influito direttamente in termini di rapidità sullo sviluppo del vaccino contro Covid-19. In alcuni casi la sequenza genetica del virus è stata, infatti, veicolata utilizzando liposomi (mRNA in piccolissime vescicole lipidiche) oppure sostituendo con strumenti di ingegneria genetica quella di un altro virus inattivato (es. DNA in caso di adenovirus). Il vaccino a mRNA (o RNA messaggero) è privo del rischio di integrazione nel genoma del ricevente ipotizzato per i vaccini a DNA: l’mRNA entra direttamente nel citoplasma delle cellule tramite le microparticelle usate come veicoli, viene utilizzato nel reticolo endoplasmatico rugoso per la sintesi della proteina che codifica la proteina Spike di SARS-CoV-2 e poi è degradato. Come si legge nel documento, il vaccino a mRNA può essere descritto come “un vaccino ‘digitale’ che non inietta antigeni, ma soltanto l’informazione per costruirli”. Tale tecnica, già in uso nella biologia umana, è una novità nella vaccinologia: il suo “brillante successo apre una pagina inedita nella costruzione di vaccini e altre terapie”.
Un’altra importante novità, nel paradigma di sviluppo dei vaccini, è stata l’anticipazione dei tempi della produzione su larga scala del vaccino ad una fase antecedente all’autorizzazione all’immissione in commercio del vaccino stesso, operazione con un notevole rischio di perdite economiche in caso di fallimento degli studi in corso.
Le strategie per valutare la sicurezza dei vaccini, in particolare il grande numero di soggetti testati, hanno consentito e consentono “di superare in gran parte i limiti intrinseci della velocizzazione e supportare la solidità delle evidenze scientifiche”. Nelle sperimentazioni sono stati, infatti, inclusi grandissimi numeri di partecipanti, dell’ordine di decine di migliaia. L’elevato numero di partecipanti e l’elevatissima incidenza dell’evento “hanno consentito di avere al numeratore dei risultati finali un congruo numero di eventi per ciascun braccio degli studi e al denominatore una quantità di tempo/persona molto elevata”.
Un limite delle sperimentazioni per il vaccino anti-Covid-19, segnalato nel Rapporto, è l’impossibilità di rilevare dati di sicurezza ed efficacia a lungo termine e nella difficoltà di acquisire informazioni su altri esiti importanti - quali forme gravi di malattia, ospedalizzazione, mortalità, efficacia in alcuni sottogruppi (es. anziani) - se non in un momento successivo all’approvazione.
È, allora, essenziale continuare “la raccolta di dati sul vaccino anche dopo la commercializzazione”. Solamente il monitoraggio dei vaccinati permetterà di confermare le stime di efficacia, valutare il permanere dell’immunità, della sicurezza e del rapporto beneficio/rischio. Nel caso dei vaccini anti-Covid-19 è, pertanto, raccomandato “un tempo mediano di follow-up di almeno 2 mesi dopo il completamento del regime vaccinale, che consentono l’identificazione di potenziali eventi avversi non evidenti nel periodo immediatamente successivo alla vaccinazione”.
Anche l’International Coalition of Medicines Regulatory Authorities (ICMRA) raccomanda che gli studi in corso proseguano i follow-up come pianificato nei protocolli (per almeno uno o più anni) e che sia mantenuta la valutazione dei soggetti randomizzati nel gruppo che riceve la vaccinazione e nel rispettivo gruppo di controllo.
Per quanto riguarda gli aspetti regolatori, nel Rapporto si ricorda come la Commissione Europea ha promosso, sin dall’inizio, un approccio coordinato delle strategie di vaccinazione per garantire l’accesso a vaccini sicuri ed efficaci in tutta Europa, così come descritto nella Comunicazione “EU Strategy for COVID-19 vaccines” del 17 giugno 2020. Una delle due linee di intervento indicate dalla Commissione Ue riguarda l’adattamento del quadro normativo europeo alla situazione emergenziale, al fine di accelerare dal punto di vista delle sole procedure lo sviluppo, l’autorizzazione e la disponibilità di vaccini che rispettino standard di qualità, sicurezza ed efficacia, prevedendo meccanismi di flessibilità normativa. Fra i criteri adottati dalla Commissione per decidere quali produttori di vaccini sostenere figura non solo la rapidità e la capacità di fornire dosi in quantità sufficienti, ma anche la solidità dell’approccio scientifico e della tecnologia utilizzata.
Per quanto riguarda la situazione negli USA, gli strumenti regolatori prevedono una partnership tra il settore pubblico e privato, pianificata per l’accelerazione degli interventi terapeutici e dello sviluppo dei vaccini e descritta da una strategia chiamata ACTIV, (“Accelerating COVID-19 Therapeutic Interventions and Vaccines”). Nel contesto epidemico la FDA ha, inoltre, previsto la possibilità di una autorizzazione per uso in Emergenza (Emergency Use Authorisation, EUA) che consente di facilitare la disponibilità di contromisure mediche, inclusi i vaccini: durante la pandemia la FDA può concedere l’uso di prodotti ancora non ufficialmente approvati o con usi differenti da quelli approvati per la diagnosi, il trattamento e la prevenzione di Covd-19. L’emissione di una EUA non rappresenta comunque una approvazione ed è richiesto un continuo aggiornamento dei dati clinici al fine di ottenere l’approvazione ufficiale.
In Italia i nuovi studi riguardanti Covid-19 vengono valutati preliminarmente dalla Commissione Tecnico Scientifica (CTS) dell’AIFA, poi dall’Autorità competente AIFA (Ufficio Sperimentazione Clinica) e, infine, dal Comitato etico dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani.
A quest’ultimo è affidato il ruolo di Comitato etico unico nazionale per la valutazione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali per uso umano e dei dispositivi medici per pazienti con Covid-19
Ma quali sono i criteri di etica per la sperimentazione in emergenza dei vaccini anti-Covid-19 indicati nel Rapporto? Nel contesto di una pandemia mentre “i requisiti etici sostanziali di etica della ricerca sono gli stessi validi in contesti ordinari”, le circostanze in cui si svolgono le sperimentazioni possono creare difficoltà nell’applicazione dei principi agli studi in corso. Tra le importanti sfide che si aprono in tale contesto si segnalano la necessità di generare conoscenza velocemente, di mantenere la fiducia del pubblico e di risolvere gli ostacoli pratici nell’implementazione della ricerca.
Il Rapporto raccomanda di fare particolare attenzione nel bilanciare “la necessità di rigore sia nella metodologia scientifica, sia di rispetto dei criteri di etica”, non essendo ammesse “deroghe né nella scientificità, né nell’eticità”.
Queste alcune delle indicazioni “etiche” per le sperimentazioni nell’emergenza: gli studi devono essere “disegnati in modo da produrre risultati validi scientificamente”; i partecipanti devono essere selezionati in modo equo; i potenziali oneri e benefici della partecipazione alla ricerca e i possibili benefici della ricerca siano equamente distribuiti; siano individuati realisticamente i rischi e i potenziali benefici individuali di interventi sperimentali, soprattutto quando sono nelle prime fasi di sviluppo; le comunità siano attivamente impegnate nella pianificazione degli studi al fine di garantire la sensibilità culturale; il consenso informato individuale dei partecipanti deve essere ottenuto anche in una situazione di costrizione, a meno che non siano soddisfatte le condizioni per una legittima rinuncia al consenso informato; i risultati della ricerca siano diffusi, i dati siano condivisi e qualsiasi intervento effettivo sviluppato o le conoscenze generate siano rese disponibili alle comunità coinvolte.
Per quanto riguarda l’uso del placebo, si sottolinea “la regola generale che non dovrebbe essere ammesso l’uso del placebo quando è disponibile un prodotto efficace”, ma deroghe a tale regola sono “ammissibili solo entro i limiti stabiliti nei documenti di riferimento, tra cui la Dichiarazione di Helsinki”.
L’eccezionalità dell’emergenza pandemica ha anche indotto “a prevedere pratiche che, in condizioni ordinarie, sarebbero considerate inammissibili, quali i ‘challenge studies’”. A differenza delle sperimentazioni usuali, negli “Human Challenge Studies” (HCS) un gruppo di volontari viene infettato intenzionalmente dopo la somministrazione del vaccino sperimentale. In alcuni disegni di HCS i volontari ricevono, in fase preliminare, dosi differenti di agente patogeno, al fine di individuare quella più adeguata alla sperimentazione successiva del vaccino. Nel Rapporto si evidenzia che “in generale, è l’impianto stesso degli HCS a suscitare perplessità dal punto di vista etico”: il fatto che il medico faccia deliberatamente ammalare si pone in contrasto con la deontologia professionale e problematica è la questione economica dell’elevato compenso dato ai volontari per la sperimentazione. Tale pratica, che desta gravi perplessità sotto il profilo etico, “potrebbe essere eventualmente ammissibile in alcune circostanze eccezionali, ma risulta inaccettabile nel caso specifico di sperimentazioni di vaccini anti-Covid-19”. Per gli HCS il rischio di vita dei partecipanti non è valutabile a priori, specie in presenza di patologie senza cure specifiche, come è Covid-19.
La ricerca del vaccino è eticamente accettabile solo se si basa su metodi scientifici validi: i comitati etici hanno il dovere di essere rigorosi sulla validità metodologica e sui requisiti dei ricercatori e dei siti di sperimentazione. I rischi devono essere poi minimizzati e le categorie con particolari vulnerabilità devono essere particolarmente tutelate ma anche rappresentate.