La rivista Nature, in un articolo pubblicato il 22 dicembre 2020, ha inserito tra le novità attese dal 2021, insieme alle scoperte legate al covid-19 e alla reale efficacia dei vaccini, anche la pubblicazione di un aggiornamento delle Linee guida per la ricerca dell’International Society for Stem Cell Research, che dovrebbero prevedere lo spostamento in avanti della "regola dei 14 giorni", che esclude la ricerca sull’embrione umano prodotto in vitro oltre le due settimane dopo la fecondazione.
La regola dei 14 giorni è stata scelta convenzionalmente e coincide con lo stadio oltre il quale l’embrione non si può più dividere e con lo sviluppo del sistema nervoso centrale. In realtà la scelta della data era legata anche al tempo massimo entro il quale l’embrione riusciva a sopravvivere fuori dal grembo materno. Nel 2016 il dibattito sull’individuazione del limite si era riacceso dopo la notizia, pubblicata su Nature e Nature cell biology, che due gruppi di ricercatori erano riusciti a far sviluppare in vitro embrioni umani fino al tredicesimo giorno dalla fecondazione.
Oggi la discussione è ripresa con un articolo, pubblicato il 2 febbraio sul Journal of Medical Ethics, dal titolo “The time has come to extend the 14-day limit” che propone l’estensione della regola fino ai 28 giorni: sarebbe ora possibile e necessario lo studio dell’embrione nello sviluppo successivo alle prime due settimane. Nell’articolo si sostiene che l’embrione umano inizierebbe il suo reale sviluppo solo dopo i 14 giorni: l’estensione del limite sarebbe ragionevole dal punto di vista scientifico e tecnologico, consentendo, ad esempio, l’individuazione precoce di alcune malattie (come cardiopatie congenite e formazioni improprie del tubo neurale). Lo spostamento a 28 giorni consentirebbe risultati migliori per la fecondazione in vitro, aumentando il successo delle tecniche e riducendo i tassi di aborti spontanei. Anche la libertà riproduttiva della coppia ( e il diritto ad avere un figlio sano) dovrebbe consentire la sperimentazione sugli embrioni in vitro oltre i 14 giorni.
L’autrice si pone il quesito: se è possibile abortire ben oltre i 14 giorni e fare ricerche sui tessuti del feto abortito, perché non consentire la ricerca sull’embrione prodotto in vitro oltre i 14 giorni, non essendo comunque destinato all’impianto in utero? Non vi sarebbero ragioni etiche per non estendere a 28 giorni la regola: il limite sarebbe arbitrario e da estendere.Nell’articolo, a sostegno di tale conclusione, si legge: “Development of the embryo is a continuum—surely research needs to understand all aspects of this continuum”.
Tuttavia, proprio quest’ultima riflessione prova il contrario di quanto affermato e, pertanto, le contraddizioni intrinseche alla sperimentazione scientifica sugli embrioni umani e ad ogni tecnica di manipolazione dell’inizio della vita umana: il processo di sviluppo dell’embrione è veramente un continuum, nel suo sviluppo non si può identificare uno stadio al di là del quale l’embrione acquista o perde la propria natura e dignità.
Dallo sviluppo continuo dell’embrione - dalla fecondazione alla nascita - non discende la necessità di fare ricerca in tutti gli aspetti di tale continuum, quanto piuttosto la necessità di protezione continua: l’essere umano dovrebbe essere tutelato sin dalla fecondazione rispetto ad ogni aggressione esterna, in ragione della sua dignità.