Solamente pochi giorni fa la Corte costituzionale austriaca (Verfassungsgerichtshof - Vfgh) ha aperto le porte all’aiuto al suicidio anche in Austria: in base al principio di autodeterminazione individuale, è stata, infatti, dichiarata incostituzionale la parte del § 78 del codice penale austriaco (Strafgesetzbuches) che punisce chi presta aiuto a chi sceglie liberamente di porre fine alla propria vita. Resta invece pienamente in vigore il reato di istigazione al suicidio. Con la decisione viene affermata, pertanto, la supremazia del principio di autodeterminazione personale - ricavato dalla Corte dal diritto alla vita privata, dal diritto alla vita e dal principio di uguaglianza - che comprenderebbe anche il diritto di scegliere una morte c.d. “dignitosa”. La previsione del reato di aiuto al suicidio rappresenterebbe, in tale contesto, una indebita ingerenza nel diritto dell'individuo alla libera autodeterminazione in merito alla propria morte e alle scelte terapeutiche. Il Legislatore dovrà ora stabilire le condizioni e adottare le misure ritenute più opportune per prevenire abusi.
A poco più di un anno dalla sentenza che ha reso non punibile l’assistenza al suicidio in Italia alle condizioni indicate dalla Consulta, l’aiuto al suicidio sta così trovando legittimità in un numero crescente di Stati, attraverso l’uso equivoco del concetto di “morte degna” e di “compassione umana”, così come di un’interpretazione arbitraria della libertà umana.
Una statistica pubblicata pochi giorni fa dall’Ufficio Federale di Statistica della Svizzera sulle cause di morte del 2018documenta come il ricorso al suicidio assistito, lì dove consentito, diventa una scelta sempre più frequente della persona sofferente. La statistica mostra, infatti, che nel 2018 in Svizzera, “le frequenze delle cause di morte sono rimaste pressoché invariate rispetto all’anno precedente”, ad eccezione dei suicidi assistiti che, “con una crescita del 17%, nel 2018 si sono avvicinati alla soglia di 1 caso su 50 decessi”. Mentre tra il 2010 e il 2018 la cifra dei suicidi è sostanzialmente rimasta stabile (a poco più di 1000 all’anno), quella, invece, “dei suicidi assistiti (1176: 499 uomini e 677 donne) è più che triplicata”. Nel 2018 il suicidio assistito ha rappresentato l’1,8% di tutti i decessi in Svizzera. Il suicidio assistito è stato, poi, più diffuso tra le persone di più di 65 anni (431 uomini e 598 donne) che tra quelle più giovani (68 uomini e 79 donne) e “le principali malattie che hanno spinto le persone a ricorrere al suicidio assistito sono le seguenti: cancro (40,7%), malattie del sistema nervoso (11,5%), malattie cardiovascolari (12,8%) e altre malattie come dolori cronici, demenza, depressione e multimorbidità (35,0%), che insorgono con l’avanzare dell’età”.
Tale statistica dimostra come sia vera l’affermazione contenuta nella Lettera “Samaritanus bonus” e, cioè, che “gli ordinamenti giuridici che hanno legittimato il suicidio assistito e l’eutanasia mostrano…una evidente degenerazione di questo fenomeno sociale”, che mina profondamente i rapporti umani.
Uno studio pubblicato su JAMA Intern Med sulla richiesta di eutanasia e suicidio assistito di pazienti con sindromi geriatriche multiple (come disabilità visiva, perdita dell'udito, dolore e stanchezza cronica) e non in pericolo di vita, ha evidenziato come “in most cases, experiences in the social and existential dimensions are intertwined with the medical dimension of suffering”. Nella persona anziana non è solo la presenza di più sindromi geriatriche a causare la “sofferenza insopportabile” che porta alla richiesta di morte, ma è più che altro il dolore nella sua dimensione “globale” e, pertanto, fisico, psicologico, sociale e spirituale.
L’obiettivo dell’assistenza e della cura, nell’ottica della vera compassione e dignità umana, deve allora guardare all’integrità della persona, garantendo sempre un adeguato supporto fisico, psicologico, sociale, familiare e spirituale al paziente fragile e alla sua sofferenza insopportabile.