La pandemia causata dalla diffusione del Sars‐CoV2 ha creato importanti interrogativi anche in tema di trapianto di organi. Le società scientifiche hanno dovuto affrontare nuove questioni sorte a causa del virus. In particolare, si sono poste tali domande: è possibile utilizzare organi prelevati da donatore vivente positivo al virus? È da rinviare il trapianto per il candidato che risulta positivo al Covid‐19? Se è da rimandare il trapianto, quanto tempo dovrà attendere il paziente bisognoso dell’organo?
Alla luce di tali quesiti sono state realizzate alcune Linee guida e Raccomandazioni per la gestione dei pazienti in attesa di trapianto, per lo più ispirate al principio di precauzione. Proprio in virtù di tale principio, sia l’American Society of Transplantation sia la Società italiana di trapianti di organi (SITO) hanno sconsigliato l'utilizzo ai fini di trapianto di organi prelevati da donatore vivente positivo al Sars‐CoV2.
Un comitato congiunto della SITO e della Società italiana di nefrologia ha elaborato importanti raccomandazioni per quanto riguarda il trapianto di rene. Tra le indicazioni troviamo: durante la pandemia il trapianto da donatore deceduto dovrebbe essere eseguito solo se è possibile trapiantare un organo prelevato da donatore negativo su un paziente negativo al virus; il trapianto da donatore vivente dovrebbe essere rinviato a meno che non ci siano particolari situazioni di urgenza; dovrebbe essere assicurato il trapianto di rene per i pazienti immunizzati o per coloro che si trovano in condizioni cliniche urgenti, per i quali il trapianto è intervento salva-vita.
Un recente studio preliminare presentato dal Centro Nazionale Trapianti (CNT) agli Stati generali della rete trapiantologica, frutto di un’elaborazione incrociata tra il Sistema informativo trapianti (SIT) e i registri del Dipartimento di malattie infettive dell’ISS, ha evidenziato come “al 22 giugno 2020 l’incidenza dell’infezione da nuovo coronavirus fra gli 8.400 pazienti in attesa di un organo fosse dell’1,85%” – e, pertanto, quasi cinque volte maggiore rispetto a quella della popolazione generale – ma che “tra i 44mila cittadini che attualmente vivono con un trapianto d’organo funzionante la percentuale dei contagiati quasi si dimezza, scendendo all’1,02%”. Il Rapporto ha, dunque, messo in luce una netta differenza dell’incidenza del Covid-19 tra persone in lista d’attesa e popolazione trapiantata, a favore di quest’ultima, mostrando, come ha affermato anche il Direttore del CNT, che “il trapianto resta l’opzione terapeutica migliore per le gravi insufficienze d’organo anche in tempo di pandemia…”. Tale studio conferma l’esigenza di non sospendere, anche nell’emergenza sanitaria, l’attività trapiantistica, nel rispetto delle regole prudenziali.
Nell’articolo pubblicato sull’ American Journal of Transplantation si pone anche un ulteriore interrogativo in tema di trapianti e Covid-19, che investe la ricerca in materia di xenotrapianti e, dunque, il trasferimento di materiale biologico da individui di una specie animale ad individui di un’altra specie. Tale possibilità di reperire organi e tessuti è spesso considerata una soluzione per porre rimedio alla carenza cronica di organi umani da destinare al trapianto (e diminuire così il numero dei pazienti in lista d’attesa). Tra i rischi insiti in tali ricerche non vi è solo quello del rigetto ma anche il pericolo della trasmissione di malattie causate dal trapianto tra animale e uomo: l'organo trapiantato potrebbe rivelarsi, infatti, veicolo di virus per l'uomo.
Secondo il Direttore scientifico del Center for Transplantation Sciences del Massachusetts General Hospital di Boston, come riportato nell’articolo citato, la ricerca sugli xenotrapianti non dovrebbe fermarsi di fronte al Covid-19, muovendo dal presupposto che ogni trapianto comporta il rischio di trasmissione di malattie e che sugli animali (i suini) utilizzati per lo xenotrapianto sono effettuate accurate ricerche preventive e test per agenti patogeni, non sempre possibili sul donatore deceduto. Ciò nonostante, qualsiasi eventuale e futura sperimentazione clinica di xenotrapianto non potrà prescindere dall’applicazione del principio di precauzione.
L’emergenza pandemica ha, infatti, nuovamente posto in luce tutti i pericoli della trasmissione di malattie zoonotiche per l’individuo e per l’intera popolazione. È, pertanto, necessario, anche sul piano etico, valutare il rischio sanitario presente in tali procedure e il rapporto rischio/beneficio: il maggior pericolo è, infatti, insito negli agenti infettivi non noti che possono essere trasmessi con lo xenotrapianto all’uomo e, così, a tutta la comunità umana, come ci ha mostrato la pandemia.