La SICP (Società Italiana di Cure Palliative) e la FCP (Federazione di Cure Palliative) hanno pubblicato un documento condiviso, dal titolo Ruolo delle cure palliative durante una pandemia. Contributo per il piano pandemico emergenza Covid-19, inviato al Ministero della Salute e alle principali istituzioni sanitarie, sul ruolo delle cure palliative nelle emergenze sanitarie al fine di far inserire ufficialmente tali cure nei piani pandemici. Anche l’OMS aveva, già da tempo, invitato i governi a inserire le cure palliative nella risposta dei sistemi sanitari alle emergenze umanitarie.
Nell’emergenza è, infatti, ampliato “lo spettro dei pazienti che necessitano di cure palliative”: oltre ai malati, adulti e bambini, già in carico alle cure palliative, il sistema sanitario deve fornire assistenza “anche a persone che prima della pandemia erano altamente dipendenti da trattamenti intensivi (e.g.: ventilazione, dialisi), a persone affette da patologie croniche la cui salute si deteriora a causa delle restrizioni e delle misure di isolamento (riduzione degli accessi ospedalieri o ambulatoriali per visite ed esami di controllo) ma soprattutto anche a persone precedentemente sane le quali a causa dell’infezione vengono sottoposte a trattamenti di supporto vitale ma necessitano di un adeguato controllo sintomatologico o, ancora, a pazienti non suscettibili di tali trattamenti o che non possono accedervi per scarsità di risorse o loro stesso rifiuto”.
Il documento raccomanda la redazione di un Piano Nazionale che preveda azioni riconducibili a 4 aree: “stuff-cose, staff-personale, space-spazi e systems-sistemi". Dovrebbe essere assicurata, in altre parole, la preparazione di un numero sufficiente di "kit di cure palliative" con farmaci per il controllo dei sintomi e dispositivi medici; dovrebbero essere coinvolte tutte le équipe interprofessionali con formazione specifica ed esperienza in cure palliative, ma occorre sviluppare anche una formazione mirata sull'assistenza nelle condizioni di fine vita per i pazienti con COVID-19 e una formazione di base in cure palliative anche per professionisti sanitari come medici di medicina generale, infermieri, personale del pronto soccorso; dovrebbero essere identificati “nuovi spazi”, di dimensioni sufficienti per assistere le persone in fin di vita a causa del COVID-19, in “aree dedicate”, facilmente raggiungibili nelle quali le équipe di cure palliative dovrebbero concorrere alla gestione clinica e organizzativa; andrebbe potenziato il ruolo delle Reti Regionali e Locali di cure palliative nel coordinamento dei Servizi di cure palliative operanti nei diversi setting (domiciliare, hospice, ospedaliero, ecc.), e nella collaborazione con le Unità di Crisi regionali e Locali.
La pandemia ha, infatti, permesso “di comprendere ancora più a fondo le vere necessità del sistema sanitario e le priorità per la salute dei cittadini che devono essere tutelati per il proprio benessere psico-fisico a prescindere dal tempo di sopravvivenza residua che gli rimane o dalla patologia di cui sono affetti” (cfr. I. Peno, Scuola di Specializzazione in Medicina e Cure Palliative: è legge, in Riv. It. Cure palliative).
Nel documento pubblicato la settimana scorsa, sempre dalle due società scientifiche, in merito alla lettera Samaritanus Bonus della Congregazione per la dottrina della fede, anche la SICP e la FCP ricordano “che la sedazione palliativa non accelera il processo del morire” e che “anche sotto questo profilo la sedazione palliativa nulla ha a che vedere con l’eutanasia”. Tali affermazioni non sono scontate e sono da ribadire soprattutto nel dibattitto, anche parlamentare, in materia di fine vita: anche nel corso dei lavori parlamentari, infatti, il tema delle cure palliative, e della sedazione in particolare, viene spesso mal interpretato facendolo coincidere con pratiche in realtà eutanasiche in grado si abbreviare volontariamente la vita dei pazienti più anziani e più fragili.