25 luglio 2017

SCIENZA & VITA: CHARLIE GARD. CURARLO FINO ALLA FINE E' UN DOVERE MORALE

La vicenda di Charlie Gard sta per concludersi, purtroppo col peggior esito per il piccolo bimbo di 11 mesi. La consultazione medica internazionale circa la possibilità di applicare su Charlie, nella sua condizione clinica attuale, delle terapie sperimentali ha dato infatti responso negativo. Di conseguenza, i suoi genitori, finora strenui difensori della possibilità di ricorrere a questa flebile speranza terapeutica, hanno deciso, pur col cuore straziato, di rinunciarvi e di accettare la sentenza dell’Alta Corte inglese che prevede il distacco (nei prossimi giorni) della ventilazione automatica che sostiene la respirazione di Charlie, manovra che con tutta evidenza sarà causa diretta della morte del piccolo.

Scienza & Vita, in questo frangente, desidera rinnovare anzitutto la propria vicinanza sincera e affettuosa a Charlie, ai suoi genitori e alla loro intensa sofferenza, col massimo rispetto per il dramma umano e familiare che stanno vivendo.

Contestualmente vogliamo riaffermare la nostra profonda convinzione circa il valore e la dignità del piccolo Charlie: una vita gravemente malata e inguaribile non perde mai il suo valore intrinseco, né il diritto ad essere sostenuta e protetta. A tal proposito, ci preme rimarcare, ancora una volta, la sostanziale differenza che c’è tra due concetti distinti e connessi: “inguaribile” ed “incurabile”. Una situazione clinica “inguaribile” non diventa mai, per ciò stesso, anche “incurabile”. All’opposto, laddove non vi sia più alcuna possibilità di offrire terapie, a maggior ragione deve aumentare l’impegno degli operatori sanitari nel “prendersi cura” della persona malata. Tanto più se si tratta di un bimbo di pochi mesi che non può né esprimersi né comunicare.

Ma questo supporto, che si sostanzia nella somministrazione delle opportune cure palliative, deve essere inteso in modo autentico, e non può certo essere ridotto al ricorso alla “sedazione terminale” perché Charlie non si spenga tra le sofferenze, una volta sospesa la ventilazione meccanica. Pur nella rinuncia a qualsiasi inutile insistenza “terapeutica” (che attualmente non potrebbe portare alcun beneficio a Charlie), dunque, riteniamo che affrettare la sua morte mediante la sospensione dei supporti vitali sia un atto errato, sotto il profilo sia etico che deontologico. Sarebbe giusto, invece, accompagnarlo fino alla sua morte naturale, curandone attentamente i sintomi che gli causano dolore o altri aggravi. Più in generale, la vicenda di Charlie richiama tutti noi al principio etico secondo cui l'eventuale sospensione dei trattamenti per un paziente sia motivata esclusivamente dalla loro inefficacia "de facto" o dai pesanti aggravi che essi causassero al paziente stesso.

Infine, vogliamo sottolineare come l’improvvida ed estenuante “perdita” di tempo prezioso  occorsa in questi ultimi mesi – tra contenziosi giuridici e dispute ideologiche – sia da annoverare tra le principali cause che hanno spento ogni possibilità di un'eventuale efficacia delle terapie sperimentali ipotizzate. Ciò a riprova del fatto che solo una convinta e consolidata alleanza di cura tra medici e genitori (trattandosi di un minore di pochi mesi) può assicurare il miglior percorso per il bene del paziente, il suo vero “miglior interesse”. Non sono certo le aule di tribunale i luoghi più adatti per assumere le decisioni mediche più opportune ed appropriate nei singoli casi clinici.

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