Vestire gli ignudi Daniela Notarfonso

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La persona è una uni-dualità di corpo e spirito, come dice Giovanni Paolo II, che vede nella corporeità l’espressione visibile della sua realtà complessa; il corpo è il luogo in cui e attraverso cui la persona prova sensazioni ed emozioni, si comunica ed entra in rapporto con la realtà e con gli altri.
Il rispetto e la cura del corpo sono, per questo, segno ed espressione della cura e del rispetto della persona, delle sue dimensioni più profonde.
Il corpo esprime con la sua presenza una domanda di relazione, di aiuto, chiama alla responsabilità (come dice chiaramente Lévinas), proprio per questo, però, può anche esprimere o essere strumento o luogo di violenza, sopraffazione, cosificazione, mercificazione.
Nel suo “Uno psicologo nel lager” Viktor Frankl descrive il processo di spersonalizzazione dei prigionieri dei campi di concentramento, che avveniva anche attraverso la loro svestizione, come segno di ulteriore sottrazione della loro dignità.
Un fenomeno totalmente diverso, ma segno dello stesso processo di svalutazione della persona, è l’uso sistematico del corpo nudo delle donne nelle pubblicità e negli show televisivi dove, anche se attraverso l’apparente esaltazione della bellezza, si sottrae dignità alle donne (ultimamente ciò sta cominciando ad accadere anche per gli uomini, raggiungendo così una ben triste parità) considerate solo corpo, carne in vendita.
E’ anche per questo che “vestire gli ignudi” è un’opera di misericordia corporale: la restituzione della dignità alla persona e quindi al suo corpo che va coperto e custodito come bene prezioso, quale esso è.
Un altro aspetto strettamente connesso con questa opera di misericordia è la custodia di un sentimento tipico dell’uomo: il senso del pudore. Esso, come afferma il Catechismo della Chiesa cattolica “preserva l’intimità della persona”(num. 2521) e “custodisce il mistero delle persone e del loro amore”(num. 2522); è una sorta di protesta, di legittima difesa contro il tentativo di “reificazione” innestato dallo sguardo o dall’atteggiamento aggressivo altrui, che può ridurre il corpo ad oggetto, facendo sentire il soggetto come essere che ha un corpo, ridotto a brutta fisicità, negando quasi il diritto di essere il proprio corpo.
Coprire un corpo nudo è gesto di cura e protezione, espressione alta di rispetto per la persona, che può e deve mostrare la propria intimità solo quando è in una relazione di fiducia e amore, accoglienza e dono.
Nel Capitolo sesto del Vangelo di Matteo, il cibo e il vestito sono riconosciuti come bisogni primari per l’uomo, ma proprio per questo vengono presentati come luogo della premura di Dio per la Sua creatura e per il suo bene. Come “gli uccelli del cielo e i gigli del campo”, Dio nutre e veste i figli dell’uomo che possono sperimentare, nel soddisfacimento di questi bisogni, la Sua Provvidenza e il Suo Amore.
Compiere quest’opera di misericordia corporale concede all’uomo il privilegio di farsi strumento della Provvidenza divina, segno del Suo Amore di Padre, che in tal modo aiuta l’uomo a far risplendere nel suo corpo e sul suo volto la dignità e la bellezza, riflesso della immagine di Dio impressa nella persona umana fin dalla creazione, e quindi nella sua corporeità.

Daniela Notarfonso
Medicio, Direttore del Centro famiglia e Vita (APS onlus) Consultorio familiare della Diocesi di Albano
Tesoriere nazionale S&V

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