S&V | L’INDISPONIBILITÀ DELLA VITA UMANA ALLA LUCE DELLA SENTENZA SULL’INAMMISSIBILITÀ DEL REFERENDUM SULL’OMICIDIO DEL CONSENZIENTE GLI APPROFONDIMENTI DI SCIENZA & VITA | FRANCESCA PIERGENTILI

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La Corte costituzionale ha depositato la sentenza n. 50 del 2022, con la quale ha deciso il giudizio sull’ammissibilità della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’art. 579 del codice penale che incrimina l’omicidio del consenziente, dichiarando l’inammissibilità della richiesta “per la natura costituzionalmente necessaria della normativa oggetto del quesito” che dà tutela minima al diritto alla vita. Nella Camera di Consiglio del 15 febbraio 2022, la Corte aveva consentito non solo l’illustrazione orale delle memorie depositate dai soggetti promotori ma aveva, altresì, ammesso gli scritti depositati e l’intervento orale di soggetti diversi da quelli previsti dall’art. 33 della l. n. 352 del 1970, tra i quali anche Scienza & Vita e l’Unione Giuristi Cattolici Italiani (UGCI).

Come messo in luce anche nella memoria depositata dalle due Associazioni, l’art. 579 c.p. protegge il bene della vita umana, sancendo il principio della sua indisponibilità. Attraverso il “ritaglio” sul testo che sarebbe stato operato dalla richiesta referendaria si sarebbe, invece, affermato l’opposto principio della disponibilità della vita umana in presenza del consenso dell’interessato.

Anche nella sentenza depositata dalla Corte si afferma che l’art. 579 c.p., insieme al successivo art. 580 c.p. – che incrimina l’istigazione e l’aiuto al suicidio – riflette “l’intento del legislatore del codice penale del 1930 di tutelare la vita umana anche nei casi in cui il titolare del diritto intenderebbe rinunciarvi” con l’ausilio di altri. Il legislatore ha così costruito “una cintura di protezione” indiretta rispetto all’attuazione di decisioni in danno del soggetto, inibendo ai terzi di cooperarvi, sotto minaccia della sanzione penale.

Per la Corte “il risultato oggettivo del successo dell’iniziativa referendaria” sarebbe stato “quello di rendere penalmente lecita l’uccisione di una persona con il consenso della stessa”, ad eccezione dei casi in cui “il consenso risulti invalido per l’incapacità dell’offeso o per un vizio della sua formazione”: l’approvazione del referendum avrebbe escluso “implicitamente, ma univocamente… la rilevanza penale dell’omicidio del consenziente in tutte le altre ipotesi”. La norma avrebbe, così, sancito “la piena disponibilità della vita da parte di chiunque sia in grado di prestare un valido consenso alla propria morte, senza alcun riferimento limitativo”: l’effetto non sarebbe stato, oggettivamente, in alcun modo circoscritto a vicende legate a malattie gravi e irreversibili – “potendo connettersi a situazioni di disagio di natura del tutto diversa (affettiva, familiare, sociale, economica…) sino al mero taedium vitae”.

La Corte ribadisce, allora, che nulla avrebbe autorizzato “a ritenere che l’esenzione della responsabilità” fosse “subordinata al rispetto della ‘procedura medicalizzata’ prefigurata dalla legge n. 219 del 2017 per l’espressione (o la revoca) del consenso a un trattamento terapeutico (o del rifiuto di esso)”, tesi invece sostenuta dai promotori; né sarebbe stato significativo “che l’iniziativa referendaria – nata quale reazione all’inerzia del legislatore nel disciplinare la materia delle scelte di fine vita…” – fosse “destinata, nell’idea dei promotori, a fungere da volano per il varo di una legge” di riempimento dei “vuoti lasciati dal referendum”.

La Consulta rileva che il quesito referendario sarebbe andato, invece, a incidere su una “normativa costituzionalmente necessaria” e per tale motivo è stato dichiarato inammissibile. La giurisprudenza costituzionale costante ha, infatti, affermato l’esistenza di valori di ordine costituzionale da tutelare escludendone i relativi referendum. La sentenza n. 35 del 1997 ha chiarito, con specifico riferimento al diritto alla vita (in tema di aborto), che non possono essere oggetto di richieste referendarie quelle «leggi ordinarie la cui eliminazione determinerebbe la soppressione di una tutela minima per situazioni che tale tutela esigono secondo la Costituzione».

Il diritto alla vita, tutelato dall’art. 579 c.p., è un valore, come ricorda la Corte nella sentenza in commento, “che si colloca in posizione apicale nell’ambito dei diritti fondamentali della persona”.

La Corte ricorda che il diritto alla vita, infatti, “inteso nella sua estensione più lata» è «da iscriversi tra i diritti inviolabili, e cioè tra quei diritti che occupano nell’ordinamento una posizione, per dir così, privilegiata, in quanto appartengono – per usare l’espressione della sentenza n. 1146 del 1988 – “all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana”. Anche l’ordinanza n. 207 del 2018 e la sentenza n. 242 del 2019, in tema di fine vita, hanno confermato la preminenza di tale diritto.

La Corte afferma, allora, un principio importante rispetto alla pretesa prevalenza del diritto all’autodeterminazione personale e alla sola volontà nelle scelte di fine vita: “quando viene in rilievo il bene della vita umana, dunque, la libertà di autodeterminazione non può mai incondizionatamente prevalere sulle ragioni di tutela del medesimo bene, risultando, al contrario, sempre costituzionalmente necessario un bilanciamento che assicuri una sua tutela minima”.

La Consulta pone, infine, particolare attenzione – come era stato evidenziato anche nella memoria depositata da S&V – alle situazioni di particolare vulnerabilità e debolezza in cui può trovarsi la persona – che non si esauriscono nelle limitate ipotesi tenute in vita anche dalla richiesta referendaria (minore età, infermità di mente e deficienza psichica) -, connesse “a fattori di varia natura (non solo di salute fisica, ma anche affettivi, familiari, sociali o economici)”, che avrebbero perso, con l’approvazione del referendum e la depenalizzazione dell’omicidio del consenziente, ogni forma di tutela rispetto alla collaborazione di terzi alle scelte autodistruttive sulla propria vita.

Il tema era, evidentemente, molto più ampio rispetto a quello, ampiamente (e erroneamente) pubblicizzato, della legalizzazione dell’eutanasia.

I principi ricavabili dalla sentenza sono, però, applicabili anche nel caso specifico dei pazienti che vivono la malattia in stato terminale, che richiedono che il dolore e la sofferenza siano alleviati con le specifiche cure multidimensionali (proclamate come diritto ma troppo poco concretamente attuate), la cui vita rimane un bene prezioso da proteggere e da “accompagnare” fino alla fine.

Per approfondire:

  1. Corte costituzionale, sentenza n. 50 del 2 marzo 2022
  1. Corte costituzionale, comunicato del 2 marzo 2022, Inammissibile il quesito sull’omicidio del consenziente: non assicura la tutela minima del diritto alla vita
  1. Corte costituzionale, comunicato del 15 febbraio 2022, Inammissibile il referendum sull’omicidio del consenziente

 

 

 

 

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