SOCIETA’ I GENITORI GIA’ VECCHI di Carlo Bellieni

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208x275L’espressione “fare i conti senza l’oste” può benissimo diventare il motto del moderno efficientismo e utilitarismo che giustifica tutto, purché auto-deciso e auto-determinato. Già, perché l’autonomia è ormai l’unico altare e tribunale su cui misurare l’eticità delle scelte, almeno a sentire tanti dibattiti in TV e leggere le maggiori riviste di bioetica. Solo che l’autodeterminazione solitaria crede di scegliere il meglio, ma non può evitare degli effetti collaterali non proprio secondari. Guardiamo se ne vale la pena.

Ci limitiamo a far parlare i dati delle ricerche, senza entrare nel dibattito morale ma considerando le preoccupazioni della comunità scientifica. Potremmo parlare dei rischi della droga, dalla marijuana in poi, ben studiati dalla comunità scientifica ma sottaciuti dai massmedia, di cui troviamo buona descrizione nel Journal of Affective Disorders del settembre 2014. E potremmo continuare con i rischi legati alla apertura all’eutanasia, in cui varie riviste parlano come le categorie più fragili – disabili mentali e bambini – siano più a rischio di finire con l’essere meno tutelate nel processo che porta al fine vita, per un cattivo trattamento del dolore e della depressione e per un possibile conflitto di interessi con i genitori (quando si chieda loro di decidere su vita o morte dei figli) che stanno passando un momento della vita di alto stress. Potremmo infine parlare dei rischi della fecondazione in vitro sulla donna e sui bambini, rischi rari ma maggiori che nella popolazione generale. Una storia insomma di novità mediche disegnate come tutte rose e fiori, di successi magnificati ma che mostra stranamente tanti rischi sottaciuti.

Ma qui ci interessa un altro scenario più generale e inquietante: quello di un vero cambiamento antropologico o perlomeno sociologico i cui effetti si potranno misurare solo a distanza di decenni ma che è sotto gli occhi di tutti. E’ lo scenario delle conseguenze globali della moda – legata a pressioni antinataliste – che fa credere che i figli siano una sorta di “ciliegina sulla torta”, he uno si concede quando vuole.

Bisognerebbe capire per prima cosa se questo passo è veramente voluto dalla popolazione e in particolare dalla popolazione femminile, o se è una sorta di imposizione sociale, che non significa una legge del figlio unico alla cinese, ma semplicemente l’impossibilità di accedere al mondo lavorativo, di studiare se si fa famiglia e figli. Nessuno ti vieta di farli, ma se li fai nei vent’anni –l’epoca fisiologica – tutti ti guardano strano; e se ne fai più di uno ti guardano ancora più strano; nessuno ti vieta di farli, ma se li fai non trovi lavoro; e il lavoro serve e il figlio si procrastina: si congelano gli ovuli magari, si pensa di aspettare, che domani sarà possibile comunque arrivare al figlio con la fecondazione in vitro. Non parliamo poi di quanta propaganda denatalista ci sia negli avvisi di organizzazioni internazionali che invece di moltiplicare e ripartire le risorse invitano i popoli a non far figli, e nelle pubblicità dei beni di consumo più cari che certo famiglie numerose non potrebbero permettersi di comprare.

Ecco allora i problemi. Rimandare la fertilità provoca un aumento di nascite premature e gemelli; abbiamo avuto negli ultimi anni un aumento del 25% di prematurità tra i bambini, e il tasso di gemelli che normalmente sarebbe del 2%, in caso di fecondazione in vitro sale al 27% tanto che su 300 donne nel 1980 si avevano 6 gemelli e oggi se ne hanno più di 10. Riguardo gemelli e prematuri, sottolineiamo solo che sono un fenomeno nuovo, spesso e volentieri piacevole in particolare l’arrivo dei gemelli, ma che cambia anche esso in parte piccola ma significativa il panorama infantile.

E rimandare porta infertilità: è passato da 21 anni a 31 anni l’età media a cui si concepisce il primo figlio, senza sapere che le possibilità di concepire a 20 anni sono il 20% ogni mese, ma scendono al 5% a 40 anni. E che la sterilità dilaghi è sotto gli occhi di tutti: sembra un paradosso, ma nell’epoca che moltiplica le possibilità di fecondazione medica, gli stili di vita stressanti, inquinamento e il rimandare il concepimento – tutti comportamenti molto di moda – compromettono la fertilità sia maschile che femminile.

Se arrivasse un marziano e volesse descrivere il panorama della generazione attuale confrontandolo con quello delle generazioni passate cosa vedrebbe? Certo vedrebbe un livello di ricchezza media maggiore di cento anni fa, una diminuzione della mortalità infantile e materna, ma non vedrebbe solo questo. Non potrebbe ignorare anche un dilagare di sterilità (in aumento in tutto il mondo e legata in buona parte all’età in cui si fanno i figli), il diminuire numerico delle generazioni di figli, e un ricambio generazionale scarso e anche lento, perché prima avveniva ogni 20 anni, mentre oggi avviene dopo 30, cioè ogni 100 anni la popolazione si rinnovava 5 volte, oggi solo tre.

Per fissarlo con un’immagine, potremmo paragonare la nostra società ad una goccia di miele appesa ad un cucchiaio; finora nei secoli la goccia-società è stata compatta e soda, ma oggi una forza pari alla forza di gravità (la spinta denatalizzante) la trascina in basso; e la goccia così si allunga (l’allungarsi del tempo tra una generazione e la seguente) e si assottiglia (più coppie infertili, meno figli per le restanti coppie fertili), diventando fragile, staccandosi dal cucchiaio e cadendo infine in caduta libera.

Sono tratti, quelli della “generazione goccia-di-miele”, le cui influenze buone o cattive le vedremo solo tra cento anni; ma perché nessuno ne parla? Si parla solo della denatalità e se ne parla poco semmai vedendone solo la ricaduta economica, ma non si parla della mutazione sociale e culturale. Una società da cui sparisce la famiglia non solo patriarcale (morta e sepolta da anni) ma semplicemente plurale; da cui sparisce il concetto di fratello, zio e nipote e diventano più numerose nuove figure, il prematuro e il gemello; da cui infine spariscono i genitori giovani, salvo chiamare giovane quello che giovane non è più. E una società che si rinnova a ritmo lento, tanto lento, come mai prima era accaduto nella storia; una lentezza che è sinonimo di stanchezza e di poca esuberanza, quell’esuberanza che nella società portano le frotte di figli e di bambini; ma chi li vede più?

Resta allora da domandarsi perché il terremoto “goccia-di-miele” non riempia le pagine dei giornali; così come ci si dovrebbe domandare il perché del silenzio sui temi di cui parlavamo all’inizio. Forse perché la parola d’ordine è di “non disturbare il conducente”, cioè di prendere per buono tutto quello che arriva dal tribunale dell’autodeterminazione. In cui magari, anzi certamente, c’è del buono; quello che non va giù è l’assoluta mancanza di dibattito pubblico e la carenza grave di informazioni alla popolazione.

La morale è presto fatta: non sempre le novità etiche legate alla autodeterminazione come sommo tribunale portano i frutti tanto magnificati e pubblicizzati: anzi se si va a guardare si scoprono cambiamenti talora minori seppur rischiosi, altre volte vere e propri sconvolgimenti.

http://carlobellieni.com/

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Pubblicato in Attività & News