Educare alla vita

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Come aiutare ad orientarsi dentro il mondo? Come promuovere buoni segnali per scegliere la propria compagnia con gli uomini e le cose? Sembra essere questa la pretesa del lavoro educativo, specie oggi quando si fa palpabile il congedo da ogni fondamento veritativo dell’umano e poco attraente ogni definizione della persona, colta in un cornice di valori e di finalità, ontologicamente diversa dalla restante concatenazione naturale ed animale.
Se è questo il tratto distintivo della postmodernità, non si è per questo condannati alla sterile demonizzazione del nostro tempo e neppure alla stanca rassegnazione di
fronte al compito immenso dell’educare. Riprendere in mano questo impegno ripartendo dalla percezione della vita – come promettono i contributi di questo Quaderno
– è come ridisegnare il volto oggi appannato delle varie figure antropologiche, tramandateci dalla tradizione occidentale di matrice ebraico-cristiana, che appare in
questo nostro presente difficilmente ricomponibile in un quadro unitario e rassicurante. Ciò non significa non si debbano attivare tutte le energie necessarie per ripensare
l’uomo, il suo destino finito, i suoi slanci, la sua vocazione all’Assoluto, ricomponendo gli strappi che la storia ha fatalmente prodotto.
In tale contesto torna urgente riguardare alla vita come valore originario, di fronte al quale ogni sua espressione deve poter essere riconfermata e riguadagnata, valore,
cioè, come realtà che vale, a cui si deve responsabilità e cura, specie quando appare attaccata e vilipesa, degradata a strumento mercificato, condannata a servire interessi economici e ideologici. Questo lavoro intorno alla vita, al suo senso, alla sua verità ha bisogno di rivedere criticamente la razionalità che ha guidato tanto percorso del sapere scientifico, tenendo a mente che la ragione non sembra averci fornito alcun antidoto nei confronti dell’inumano che ci avvolge. Educare le giovani generazioni ad uno sguardo consapevole e sereno nei confronti del mondo che abitiamo può voler dire anche intrecciare la vita con fili resistenti di una razionalità aperta con la rete dei legami affettivi ed empatici. Come ricorda Sartre, “dobbiamo essere responsabili anche per quello che non abbiamo scelto”; il percorso dei credenti non ha perciò che una pista davanti a sé: accettare con criticità e coraggio l’esistente, cogliendo e rispettando ogni sfera che inerisce alla vita umana nella coerenza, nella fedeltà e nella perseveranza dell’agire, con il compito di orientare nelle scelte, che comunque sempre rimandano alla coltivazione della libertà personale.
E’ certo impossibile fornire ricette sicure per questo difficile riorientamento, ma è necessario riguadagnare – soprattutto nei riguardi delle giovani generazioni – il gusto
di stare al mondo, prendendosi cura di quanti, da poco affacciati alle soglie della realtà, pretendono, anche senza riconoscerlo apertamente, di essere introdotti e orientati
con competenza, certo, ma anche e soprattutto con intelligenza e fede dentro una scuola di vita che divenga sempre più luogo di pratiche comuni e di esperienza.
Occorre perciò rinvenire alcuni importanti punti di contatto che intreccino il disegno alto di una umanità compiuta alla luce della Rivelazione cristiana con la lettura
disincantata e dura della realtà, che ci accomuna tutti e sulla quale occorre sempre misurarsi con le sue prove e i suoi fallimenti. Ci si deve far carico, insomma, della dialettica che viene ad attivarsi fra il disegno antropologico affidatoci dalle Sacre Scritture e dal Magistero e l’efficacia empirica, dal momento che l’ideale e l’efficacia –
l’uno consegnata all’altra – debbono vertebrare gli ambiti vitali del vissuto personale e sociale, ricaricandosi dello specifico timbro etico dell’educazione.
C’è bisogno dunque di un sano realismo, quello che, ad esempio, guardi alla vita nel momento tragico della sua perdita – come indica qui Francesco D’Agostino – così
che divenga possibile riscoprire il senso dell’essere venuti al mondo e l’urgenza dell’educare alla speranza, quale antidoto necessario alle frustranti definizioni della condizione umana, legata alla finitezza ma anche esposta alle provocazioni del futuro. Non è possibile far intravedere questo percorso senza una chiara consapevolezza
del carattere relazionale dell’atto educativo, capace di “riconoscere” il valore dell’altro – pur nell’asimmetrico rapporto dei due, come precisa Luigi Alici – esaltando il suo
interiore bisogno di accettarsi e di essere accompagnato in una buona vita di relazione.
Questo percorso di crescita nella coscienza matura intorno alla vita non può che coniugarsi con il bene primario della salute, un valore antropologico sempre più riconosciuto, ma che va anche educato, come nota Adriano Bompiani, perché spesso accerchiato dalle molteplici tecniche medico-farmacologiche, molte volte mosse da
interessi economici. Una corretta educazione alla “buona salute” deve necessariamente essere filtrata da una corretta informazione che solo una reale alleanza tra
medico e paziente può garantire. Verso una “salute” spirituale guarda invece Maria Luisa Di Pietro che si è ripromessa di individuare, all’interno delle varie fasi della vita del bambino e dell’adolescente, la crescita del sentimento morale, come percezione del valore normativo delle scelte etiche gestite dentro quell’unità interiore, vero obiettivo del percorso educativo, di cui la famiglia rimane la prima e fondamentale fonte di riferimento.
La questione educativa è colta poi da Pietro Barcellona in stretta connessione con il problema del senso, oggi smarrito, dell’umano e della sua verità. Per superare il
nichilismo imperante, come anche il dogmatismo, mascherato anche in forme del apere scientifico, bisogna recuperare il valore della laicità, che non è neutralità e
accettazione relativistica dei vari punti di vista, ma disposizione intellettuale ad aprirsi al confronto critico. La razionalità occidentale ha infatti prodotto logiche astratte e
manipolatrici, generando deliri di onnipotenza e la perdita del mondo emotivo ed empatico, il solo capace di valorizzare i legami sociali.
All’esperienza pratica della nascita si richiama Marina Corradi, convinta che la vita sia un inizio assolutamente nuovo, da riscoprire con stupore nella quotidianità dei
gesti educativi, quelli che non dimenticano come la nascita non sia un “dato”, naturalisticamente offerto alla nostra neutrale osservazione, ma sia “data”, donata cioè da
un Creatore.
Alla vita come valore in sé ci conduce Paola Pellicanò che pensa come l’accoglienza alla vita debba far riferimento al paradigma educativo di “persona-fecondità”, da
cogliersi anche come dinamica di grande valore simbolico, necessario alla maturazione dell’amore come dono di sé.
Se educare all’amore vicendevole è l’unico antidoto nei confronti dell’invadente narcisismo che invade il nostro presente – ce lo ricorda Paolo Gomarasca – è nell’orientare al valore duraturo dell’affetto per l’altro e all’offerta del legame che può disegnarsi una strategia educativa, volta a incanalare il desiderio e a neutralizzare il
prevalente consumo emotivo dei rapporti sentimentali, spesso destinati al fallimento e al malinconico mal di vivere.
La sofferenza comunque, quella vera, dura, lacerante è compagna di ogni vita e Maria Grazia De Marinis non manca di notare come non ci sia altro modo di educare
al patire se non lasciandosi educare dall’esperienza di questo difficile passaggio. Il dolore esige silenzio interiore, capace di condurre alla conoscenza profonda di sé e
alla liberazione delle tante fughe autoreferenziali e isolanti, così che sia possibile individuarne un qualche senso.
L’articolato contributo di Edoardo Patriarca sembra infine raccogliere le fila delle tante voci, dal momento che ribadisce con forza un’istanza comune, quella cioè che
l’atto educativo non può che svolgersi all’interno di un deciso scenario antropologico.
A differenza di altri, che oggi appaiono prevalenti, quello di impianto personalista sembra essere il più adatto ad interpretare l’orientamento al valore di chi ci sta di
fronte, che vuole, anche inconsapevolmente, essere aiutato a maturare la propria posizione nel mondo. Questo difficile compito richiede accoglienza, libertà responsabile, fedeltà, fatica nella crescita della dimensione relazionale, che dalla famiglia sino alle associazioni di volontariato, deve poter essere apprezzata e curata.
Il Quaderno si conclude con alcune interessanti “finestre” sui mondi del cinema, della letteratura e dell’ arte, rispettivamente curate da Paola Dalla Torre, da Giovanna
Costanzo e da Anna Delle Foglie.
Dall’insieme delle tante voci qui proposte giunga al lettore la spinta ad un sano realismo irrobustito dalla Fede, e l’invito a perseverare con tenacia nel compito educativo,
alto, difficile e necessario.

(Dall’introduzione di Paola Ricci Sindoni e Paolo Marchionni)

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