LA PITTURA DI LEONARDO COME PECULIARE “FORMA DI VITA” di Paola Ricci Sindoni Roma 19 settembre 2015 - Riconoscimento “Life Witness”

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Come tutti gli artisti del Rinascimento Leonardo fece del suo talento “la pergamena della sua nobiltà”; vezzeggiato e corteggiato dai signori del tempo, condusse –come si sa- la sua esistenza offrendo i servigi ai potenti: prima a Lodovico il Moro, che servì per sedici anni, e dopo poco ai francesi sostituiti al Moro a Milano; fu inoltre a Firenze a disposizione di Cesare Borgia; a Venezia e in Francia dove morì in solitudine. Il contatto con i signori del tempo fu sempre improntato dalla massima libertà; mai egli riuscì ad identificarsi con il destino politico e sociale dei loro regni, né si affezionò in modo particolare a qualche ambiente o a qualche persona. Non aveva amici speciali, non si sposò, ma visse fra precettori e discepoli che lo veneravano.

Le sue numerose carte, gli  appunti, spesso freddi e impersonali, sembrano offrire l’immagine di una personalità distaccata, a cui pareva mancare la partecipazione emotiva e l’impegno etico verso chi gli stava accanto. Il suo distacco dai problemi quotidiani, la presunta mancanza di calore umano, la fredda compostezza sembravano renderlo anche agli occhi dei contemporanei estraneo e chiuso nel suo mondo.

Non basta dire con Nietzsche che Leonardo è “tra gli uomini meravigliosi, inafferrabile e inimmaginabile, tra “quegli uomini-enigma”predestinato alla vittoria e alla seduzione” (Al di là del bene e del male); occorre invece penetrare più a fondo nella sua complessa personalità, tentando di individuare un qualche filo conduttore, capace di offrire significato e valore alla sua vita, solo apparentemente incoerente, sbilanciata ed episodicamente illuminata dalle sue intuizioni geniali e creative. Visto la poliedricità e la frammentarietà dei suoi interessi e delle sue scoperte, è possibile rinvenire nell’arte della pittura il fine essenziale, l’ideale supremo della sua esistenza, attorno a cui si sono concentrate tutte le sue aspirazioni e i suoi sforzi.

“L’ingegno del pittore –notava Leonardo – vuole essere a similitudine dello specchio, il quale sempre si tramuta nel colore di quella cosa che egli ha per obbietto, e di tante similitudine s’empie quante sono le cose che li sono contrapposte […]. Adunque, conoscendo tu, pittore, no’ poter essere bono, se non sei universale maestro di contraffare con la tua arte tutte le qualità delle forme viventi che produce la Natura”. La pittura, insomma, abbraccia e contiene l’intima essenza di tutte le cose viventi, quando essa sia educata da un “sapere” sulla natura , da una conoscenza metodica e rigorosa delle sue leggi: “ pratica senza scienza è come navigare senza timone o compasso”, così che “la pittura è scienza, è origine delle scienze, trascende le scienze”; senza essere tecnica e conoscenza astratta, essa è insieme dottrina e arte, soprattutto perché ambisce ad intercettare la vita in tutte le sue misteriose manifestazioni. “ Se il pittore –precisa Leonardo – vuol vedere bellezze che lo innamorano, egli ne è signore di generarle; e se vuol vedere cose mostruose che spaventino o che siano buffonesche e risibili, o veramente compassionevoli, ei n’è signore e dio” (Cod. Urbin.).

In una sorta di incomparabile metafisica Leonardo ha reso possibile la trasparenza dell’invisibile nel visibile, riuscendo a superare la cesura che divide il mondo dell’arte tra la realtà sensibile (colta come l’unico motivo di ispirazione e di compimento estetico) e il suo rimando alla realtà spirituale, a ciò che solo dà senso e valore al mero apparire delle cose. Il sensibile –detto in altri termini – è l’indispensabile, non deve volatizzarsi; non resterebbe allora che la vuota astrazione. Lo spirituale è l’essenziale per Leonardo, esso non deve andare perduto nell’agitazione degli affetti o nella concettualizzazione della vita. Niente è reale se non fa il suo ingresso nel sensibile. Ma il sensibile come tale, solo come sensibile, è nullo. Così che –credo – si possa dire che la pittura di Leonardo è una delle più mirabili realizzazioni della corporeità dello spirituale e della spiritualità del corporeo”.

L’arte, che per lui è “nipote della natura e parente di Iddio”, deve poter sprigionare il fascino segreto del “non-più-visibile” che si esprime con “gran dolcezza di ombre”, e che non può mai essere definitivamente compiuto nell’opera artistica. Proprio perché si tratta di interagire con la vita della natura e con la profondità della vita di Dio il lavoro pittorico si traduceva nella tensione continua a superare la definitività propria della pittura conclusa, dal momento che lo stesso significato che qui vi era impresso veniva continuamente trasceso, mai definitivamente raggiunto.

L’Ultima Cena è in tal senso un esempio significativo: le figure di Giuda e del Maestro non sono finiti, segnali, come dire, dell’infrangersi della visibilità e nel restare aperti a questa incompiuta visibilità. Nel visibile, insomma, che si è spinti avanti fino all’indeterminabile, l’invisibile si fa in realtà linguaggio, non solo muta visione. E’ il visibilizzarsi della trascendenza che resta nascosta, è l’esprimersi di ciò che nella corporeità non è corporeo. Si spiega così il carattere frammentario di alcuni suoi lavori pittorici, come la già citata Ultima Cena, e la Monna Lisa, che ha di fatto accompagnato tutta la vita di Leonardo, continuamente esposto al movimento tra il già fatto e l’ancora non fatto, tra il compiuto dell’opera e il suo forse impossibile compimento.

Amante della perfezione nel particolare, non avrebbe mai voluto chiudersi nel limite, che è proprio circoscrivibile e perciò compiuto, così che preferì abbandonare quella tela in particolare, ma –possiamo anche dire – tutta la sua opera lasciandoci in eredità una serie, come dire, di mattoni raccolti, segnale di un lavoro artistico e scientifico grandioso, in cui spiccano alcune opere perfette e splendide, e solo ai suoi occhi insoddisfacenti e incompiute. Qui la sua statura incomparabile, nella sua ansia continua a superare le forme finite verso una totalità mai compiuta. Perché la vita è proprio così, da lui colta nell’infinita creatività della natura e nella tensione inesausta verso il peso del limite e della finitezza.

Pur senza definirsi mai in una precisa concezione religiosa e metafisica esiste in Leonardo una sorta di religiosità del mondo, una devozione cosmica che si pone di fronte alla natura come davanti ad un mistero che si rivela all’infinito al suo indagatore. Nulla gli rimase indifferente; anche i temi cosiddetti astratti, come il tempo o il nulla divennero oggetto della sua ricerca, ma solo in quanto orientate alla considerazione attiva e contemplante della natura e della vita dell’uomo.

Ma quale è il posto dell’uomo nell’universo, secondo Leonardo? L’uomo è per lui il microcosmo potenziato nel tutto, è essenza creatrice nelle sue possibilità di indagare e di piegare il mondo e al contempo è legato alla sua fragilità, al suo destino naturale che lo conduce costantemente di fronte alla morte. Quest’ultima non è mai colta nella sua determinazione tragica, ma come uno dei tanti elementi dell’accadere naturale che coinvolge ogni essere, e verso cui si è come spinti, colti dall’impulso di “rimpatriare” dentro l’armonia dell’universo.

Questa concezione, sicuramente ricollegabile al suo platonismo cristiano, armonizzato con il tema rinascimentale della concordanza fra uomo e mondo, ha condotto Leonardo ad una sovrana imperturbabilità e all’amore per la vita. Si legge nel Codice Atlantico: “Quando io crederò imparare a vivere, io imparerò a morire”, ed ancora: “Siccome una giornata ben spesa dà lieto dormire, così una vita bene usata dà lieto morire”. Nulla di tragico sembra offuscare la convinzione che compito dell’uomo e dell’artista sia nello sforzo infinito di rappresentare il mondo e la natura, generando l’opera, partorendo, per così dire, la vita dentro la tela e la tela dentro la vita.

Il dogma classico secondo cui l’arte è imitazione della natura veniva da lui capovolto, come si legge nel Codice Urbinate: “la deità che ha la scienza del pittore fa che la mente del pittore si trasmuti in una similitudine di mente divina”, così che l’unità essenziale dell’uomo conoscente e creatore finisce con il frantumare le usuali interpretazioni della scienza come disciplina definitoria e specialistica, e dell’arte come mera disciplina formale. Da qui il suo attacco spietato contro quei presunti artisti “non inventori, ma trombetti e recitatori delle altrui opere, sgonfiati e pomposi, vestiti e ornati non della loro ma delle altrui fatiche” ( Cod. Atlant.). La consapevole superiorità della sua arte lo portò infatti ad esaltare l’assoluta supremazia artistica della pittura, così che Leonardo sembrò ingaggiare una battaglia memorabile in favore dell’orizzonte muto dell’occhio, evocando la pittura come linguaggio del visibile/invisibile contro il mondo della parola intellettuale.

La priorità dell’ occhio, quale organo privilegiato del conoscere, “occhio dal quale –precisa Leonardo – la bellezza dell’universo è specchiata dalli contemplanti, è di tanta eccellenza che chi consente alla sua perdita, si priva della rappresentazione di tutte le opere della natura”. Anche l’inscindibilità del vedere e del fare, secondo cui si comprende la realtà solo quando la mano creatrice dell’artista produce quello che l’occhio vede, conferma ancora una volta l’impulso originario della sua metodologia artistica. Essere pittore sembra così rappresentare l’espressione più completa della forma di vita propria di Leonardo, e il canale essenziale destinato ad arricchire la sua sete di conoscenza sulla natura e sul mondo.

Pur incarnando in modo sublime le caratteristiche dell’uomo del Rinascimento: la curiosità e l’amore della realtà, la consapevolezza della forza interiore creatrice, l’interesse per le tecniche scientifiche capaci di trasformare il mondo sotto il potere umano, la profonda umanità e la partecipazione alla vita del cosmo, Leonardo esprime  una impressionante modernità, nell’intenzione sofferta di non lasciarsi mai concludere in un progetto determinato, ma sospinto ad amare l’incommensurabile, come via privilegiata per comprendere il senso profondo della vita. Come emerge da questo suo splendido frammento:

“Alla mia età, ho incontrato tanta gente, ho sofferto e gioito, ma soprattutto ho imparato ad amare l’Amore, e a rifiutare l’odio. L’Amore dona a noi stessi l’eterna gioventù, e ogni domani è importante per incontrare nuova gente e vivere nuove storie importanti.”

Come dire, in altre parole, che l’arte non è solo una vocazione per “anime belle”, come in seguito il Romanticismo tedesco si incaricherà di definire, ma – sulla scia di questo grande maestro di vita e di arte  – è soprattutto esperienza di vita pienamente vissuta, così che è forse possibile dire che l’arte è vita non tanto perché raffigura la vita in tutte le sue espressioni, ma perché è portatrice di valori etici, sociali ed esistenziali che la rendono una delle più alte espressioni di amore alla propria cultura e alla propria storia.

di Paola Ricci Sindoni

Presidente nazionale Associazione Scienza & Vita

Ordinario di Filosofia morale, Università di Messina.

 

 

 

 

 

 

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