FINE VITA | LE CRITICITÀ DEL CONSENSO INFORMATO DEL PAZIENTE | di M. Calipari AgenSIR | 9 marzo 2017

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Spesso si riscontrano gravi carenze nel processo di formazione e acquisizione, talvolta con conseguenze dannose anche sul piano medico-legale. Tuttavia, il consenso all’atto medico resta senz’altro uno dei “pilastri” posti a fondamento della stessa giustificazione dell’esercizio della medicina, insieme alla ricerca del bene della vita e della salute.

Continuando il nostro approfondimento su alcune questioni rilevanti, connesse al fine-vita, rivolgiamo l’attenzione al tema del consenso informato del paziente.
Sembrerebbe scontato affermare che la cultura del consenso informato sia ormai ben radicata nella mentalità comune del rapporto medico-paziente. Ma forse, non è esattamente così. Nella prassi medica corrente, infatti, spesso si riscontrano gravi carenze nel processo di formazione e acquisizione del consenso informato (talvolta, con conseguenze dannose anche sul piano medico-legale). Tuttavia, il consenso all’atto medico resta senz’altro uno dei “pilastri” posti a fondamento della stessa giustificazione dell’esercizio della medicina, insieme alla ricerca del bene della vita e della salute.
Proviamo perciò ad esaminarne più in concreto i principali elementi strutturali, perché esso non sia ad un fatto meramente burocratico, ad un banale e sterile ricorso indiscriminato al “modulo da riempire”!

Anzitutto, è necessario distinguere due dimensioni del consenso informato: i requisiti che lo costituiscono e le modalità di acquisizione dello stesso.

Circa i primi, si può affermare che la formazione di un autentico consenso informato presuppone sempre la contemporanea presenza di almeno 4 elementi essenziali: l’offerta d’informazione; la comprensione dell’informazione; la libertà decisionale del paziente; la sua capacità decisionale. Ciascuno di essi, naturalmente, deve essere sottoposto – caso per caso – ad opportuna verifica, che coinvolge tanto il medico quanto il paziente.
Una corretta offerta d’informazione dovrà descrivere brevemente (evitando sovra- o sotto- informazione) la proposta diagnostica o terapeutica ipotizzata, la metodica da utilizzare, le possibili alternative terapeutiche, le finalità dell’intervento. Inoltre, spiegherà le reali possibilità di successo, i rischi connessi, gli eventuali effetti collaterali. E’ bene tener presente che il fine dell’informazione non è colmare il gap di conoscenze tra medico e paziente, bensì mettere quest’ultimo nelle condizioni di esercitare i suoi diritti e di formarsi una volontà che sia tale.
A chi spetta la responsabilità d’informare il paziente? Essa ricade sul medico che ha il compito di eseguire un intervento o di impostare la terapia; in ambito ospedaliero, al primario (che può delegare altri medici, conservando però la responsabilità finale) del reparto interessato. Il secondo imprescindibile elemento riguarda la comprensione dell’informazione da parte del paziente.

E’ ovvio, infatti, che le informazioni valide per un consenso autentico sono soltanto quelle comprensibili ed effettivamente comprese. In questa fase possono talvolta emergere dei limiti oggettivi ed inevitabili, che la condizionano sostanzialmente (situazioni o vissuti psicologici più o meno connessi alla malattia, attese irragionevoli, conseguenze di un’analgesia, disturbi dell’attenzione, ecc.).
Vi è poi l’elemento della libertà decisionale. Un consenso valido, infatti, deve essere espresso con volontà, per quanto possibile, libera. Qui, il rischio da evitare è quello di possibili influenze e pressioni (e, talora, vere e proprie coercizioni) provenienti dal contesto sociale, dai congiunti e persino dalle strutture e dagli operatori sanitari.
Infine, va verificata la capacità decisionale (“competence”) del paziente, che potrebbe venir meno per diversi fattori (minore età, malattia mentale, malattia psichica, alterazioni psicologiche, ecc…). Ma può essere sufficiente anche una limitata capacità per decidere “hic et nunc”. L’importante è verificare che il soggetto sia in grado di comunicare con i curanti; dia segni esteriori di aver compreso l’informazione e di essere pronto a decidere; intenda le alternative e ne capisca la natura; dia risposte coerenti; persista nelle conclusioni espresse.

Il consenso del paziente “competente” (maggiore età, sanità mentale, cosciente) non può essere delegato ad altri, né essere presupposto da parte del medico; se invece il paziente è “incompetente”, sarà un legittimo rappresentante a tutelare i suoi interessi.

Per quanto concerne la sua acquisizione, il consenso informato può essere espresso in forma orale o scritta, con modalità proporzionali alla natura dell’atto medico cui consentire. Ad esempio, un consenso scritto è moralmente doveroso in tutte i casi in cui le prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche sono tali da richiedere un’espressione inequivoca e documentata della volontà del paziente (per rischi connessi, durata del trattamento, implicazioni personali e familiari, possibilità di opzioni alternative, possibilità di scelta di altro medico curante o di altra struttura sanitaria).
Un’ultima considerazione vorremmo riservarla alla preparazione del medico rispetto al processo del consenso informato. Egli, infatti, dovrebbe possedere le “doti” necessarie (professionali, psicologiche ed umane), per affrontare adeguatamente la complessità delle varie situazioni, riconoscere la capacità decisionale del paziente, fornirgli un’informazione corretta, verificarne la reale comprensione dei contenuti. Ciò richiede da parte sua una buona capacità comunicativa, disponibilità all’ascolto e al dialogo, propensione alla comprensione umana. Tutte qualità che non si improvvisano e che, forse, dovrebbero trovare più spazio nel percorso di formazione medica.

AgenSIR | 9 marzo 2017

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