Dar da mangiare agli affamati Emanuela Lulli

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Misericordia è amore che si china sulla miseria e sulla povertà umana, e ciascuna situazione di povertà è per noi cristiani un “chairòs” di misericordia.
La società moderna tecnico-scientifica ha indubbiamente prodotto benessere e ricchezza ed ha tolto all’uomo tante miserie attraverso, ad esempio, le reti di assistenza socio-sanitaria e di previdenza; nel contempo però ha anche accentuato quelle forme di divario sociale ed economico che ancora oggi, nonostante tutto, sono presenti nelle nostre realtà.
La fame, ovvero la mancanza di cibo e la difficoltà a procurarselo, è certamente molto diffusa in ampie aree del pianeta, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, ma gravi sacche di povertà sono presenti anche nel nostro mondo occidentale opulento: così accanto agli sprechi e alla insorgenza sempre più massiccia di malattie metaboliche legate all’eccesso alimentare, coesistono anche nelle nostra città ampie fasce di popolazione che non riescono ad alimentarsi correttamente.
Attualizzare oggi l’opera di misericordia “dar da mangiare agli affamati” significa dunque, in primo luogo, ridurre gli sprechi alimentari (se è vero, come è vero, che ogni anno vengono sprecati 1,3 miliardi di tonnellate di cibo prodotto per il consumo umano!) per garantire una equa distribuzione ed accesso al cibo da parte di tutti: anche papa Francesco ce lo ha ricordato già in una sua catechesi pochi mesi dopo l’inizio del suo pontificato, quando ha affermato: “il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del povero” (1).
Il cibo come l’acqua sono elementi fondamentali per la sopravvivenza delle persone, ma sono nel contempo il “presupposto” per la emancipazione e la promozione dei popoli e delle singole persone. La difficoltà ad accedere al cibo comporta concomitantemente la difficoltà, o talora la impossibilità, ad accedere alla istruzione, alle cure sanitarie, al lavoro e alla piena socializzazione.
È per questo che anche in sede socio-politica l’impegno per garantire l’accesso al cibo deve essere sempre attivo. L’evento culturale del 2015, l’Expo, centrata proprio sul cibo, ha lasciato quale eredità “politica” la Carta di Milano, dove sono indicati i punti-cardine per una corretta ridistribuzione delle risorse alimentari, con l’impegno a sconfiggere la fame entro il 2030.
È necessario anzitutto “individuare e denunciare le principali criticità nelle varie legislazioni che disciplinano la donazione degli alimenti invenduti per poi impegnarci attivamente al fine di recuperare e ridistribuire le eccedenze”; in secondo luogo dobbiamo impegnarci per “promuovere l’educazione alimentare e ambientale in ambito familiare per una crescita consapevole delle nuove generazioni”.
E proprio verso le nuove generazioni la promessa di un impegno forte: “affermiamo la responsabilità della generazione presente nel mettere in atto azioni, condotte e scelte che garantiscano la tutela del diritto al cibo anche per le generazioni future”.
È in qualche modo la traduzione in chiave “alimentare” di quelle preoccupazioni che, all’inizio degli anni ’70, avevano indotto Potter ad identificare nella bioetica – la nuova inter-disciplina che andava ad affacciarsi alla riflessione etico-filosofica applicata alle scienze biologiche e sociali – quel “ponte verso il futuro” che deve responsabilmente unire le generazioni attraverso il tempo.

Emanuela Lulli
Ginecologa, bioeticista
Consigliere nazionale S&V

(1) Francesco, Catechesi (5 giugno 2013): Insegnamenti 1/1 (2013), 280. Cfr anche Francesco, Lettera Enciclica Laudato si’, 24 maggio 2015, n. 29.

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