EUTANASIA

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Definizione
« Morte dolce » è il significato della parola eutanasiache indica il « dare la morte a un soggetto con prognosi infausta »; il dare la morte è un atto dirompente per il corpo sociale, a differenza della sospensione delle cure inutili da cui deve essere distinta.

Realismo
Letteralmente vuol dire « morte dolce »; nell’accezione comune vuol dire « morte provocata » (al fine di evitare gravi sofferenze), che mal si distingue moralmente dal suicidio assistito di una persona consenziente.
Nel quadro dell’eutanasia rientra la sospensione delle cure mediche salva-vita, cioè il decreto di non rianimare o di togliere le medicine e addirittura l’idratazione e l’alimentazione quando però non ci troviamo di fronte a un paziente in fin di vita. Esiste dunque un’eutanasia attiva e di una passiva (o omissiva).

Ragione
L’eutanasia preserva realmente la dignità della persona? Scopo dichiarato dell’eutanasia è duplice: evitare la sofferenza ed evitare una possibile diminuzione della dignità della persona. Ma per contrastare la sofferenza ci sono ottimi farmaci; mentre il discorso si fa più complesso per quanto riguarda la dignità: ma davvero c’è qualcosa che intacchi la dignità di una persona, cioè la diminuisca realmente?
Morire di vecchiaia è più dignitoso che morire di tumore? La dignità umana è un tratto intrinseco della persona, in qualunque stato sia, in qualunque età o stato di salute o socio-economico. È un falso mito dover creare delle situazioni per preservarla, dato che nulla ce la toglie, nemmeno il peggior lager o il peggior aguzzino – mentre è un obbligo morale di tutti rispettarla.
È un falso mito che deriva dall’idea che essere dipendenti dagli altri, talora in modo estremo, non sia « degno dell’essere umano », che nella società postmoderna si assume avere una principale e sovrana caratteristica: l’autonomia, l’indipendenza. Tutto ciò che toglie l’autonomia è considerato oggi un attacco allo stesso status dell’essere umano che addirittura perde il titolo di « persona » quando bambino o embrione o malato di mente o vecchio si trova a dipendere dagli altri.
Semmai bisogna garantire in tutti i modi che la persona riceva tutte le cure, tra cui quelle palliative, cui ha diritto, e che possa vivere il fine-vita nella maniera più serena e con la migliore assistenza. Il problema è far morire bene, che non significa «decidere il quando», ma il «come», cioè nel miglior ambiente con le migliori cure e la compagnia migliore.
L’eutanasia è solo una scorciatoia per gli stati per non affrontare il problema dei veri diritti del morente.
Lo slogan « decido io quando e dove morire », è un’esagerazione dettata da fini polemici: a pochissimi toccherà in sorte di trovarsi paralizzati senza poter esprimere le proprie opinioni e dunque di aver qualcun altro che sceglie l’appropriatezza dei trattamenti medici per lui.
Tuttavia, non si deve ammettere che il fine vita sia una condanna straziante: sospendere le cure è giusto se le cure sono insopportabili o se non sono efficaci.
Con l’attenzione al fatto che «insopportabili» significa non una generica avversione spesso superabile con l’aiuto di analgesici o di cure psicologiche; e «non efficaci» non significa «inefficaci a far tornare normali» ma «inefficaci a curare la particolare malattia che si vuole curare». E che si tratti di cure (cioè di qualcosa che interferisce con la malattia), non di pura alimentazione.

Empatia
Non si può parlare di eutanasia « a tavolino », supponendo che qualcuno decida a priori cosa vorrà quando starà male. Non si può neanche pensare che non ci debbano essere limiti all’intervento medico quando questo diventa troppo invasivo. Ma c’è un punto sociale da sollevare: la cura alle persone gravemente malate deve essere un obbligo statutario degli enti locali e dello Stato che devono agevolare in tutti i modi le famiglie e i singoli in questo campo. Ipocrisia è parlare contro l’eutanasia, senza al contempo pretendere che la persona depressa o l’anziano non siano abbandonati dalla società; è inaccettabile che lo Stato permetta l’eutanasia invece di prodigarsi ad aiutare chi sta male.

Riferimenti Bibliografici:
Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Evangelium Vitae 2.
C. Cowley, Euthanasia in Psychiatry Can Never Be Justified. A Reply to Wijsbek, in Theoretical Medicine and Bioethics 34 (2013) 227-238.W.J. Stronegger, N.T. Burkert, F. Grossschädl, W. Freidl, Factors Associated with the Rejection of Active Euthanasia: a Survey among the General Public in Austria, in BMC Medical Ethics 4 (2013) 14-26.

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