2020/7 | 4 mar

Scienza&Vita: attività e news

S&V : Lo scorso 20 feb 2020, con numerosa partecipazione di pubblico, si è svolto a Roma il seminario sulle cure palliative "Ricordati di me oltre la fine che verrà". In particolare, si è riflettuto sulla «Terapia della dignità», una nuova psicoterapia che sostiene la persona in fin di vita nel preservare la capacità di sentirsi «degna» di essere curata, considerata e ricordata dopo la propria morte, anche attraverso la «creazione» di qualcosa che durerà nel tempo a beneficio delle persone care e delle generazioni future.

 

foto dell'evento

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E' in libreria da giovedì 30 gennaio il volume "Diritti o tutela degli animali? Uno sguardo antropologico sull’animalismo"

Il volume si ispira agli interventi e ai temi discussi in occasione del convegno Scienza & Vita, da cui prende il  titolo, svoltosi a Roma il 3 dicembre 2018 su iniziativa della Sen. Paola Binetti, anche curatrice del volume.

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27 mar 2020, S&V Giarre Riposto: In contro di bioetica sul tema "Disabilità: scienza e Sacre Scritture"

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Approfondimenti tematici (a cura di Francesca Piergentili)

... a proposito di cure palliative...

SICP, Complessità nelle Cure Palliative Pediatriche, feb 2020

- Il documento “Complessità nelle Cure Palliative Pediatriche”, elaborato dal gruppo di lavoro della Società italiana di cure palliative (SICP) e della Federazione cure palliative onlus (FCP) che si occupa di Complessità e reti di cure palliative, pubblicato il 12 febbraio 2020, fa seguito al precedente documento “Il Bisogno di Cure Palliative” e affronta il tema dell’eleggibilità dei bambini con patologia inguaribile alle cure palliative pediatriche (CPP).

I criteri di eleggibilità in questo ambito si declinano in rapporto alla peculiarità del paziente pediatrico (neonato, bambino e adolescente) e alle patologie specifiche che lo riguardano.
I criteri sono allora differenti rispetto al paziente adulto bisognoso di cure palliative. Per alcuni pazienti pediatrici, per esempio, l'esigenza di rientrare in un programma di CPP inizia già alla nascita, con una prospettiva di malattia che durerà per l'intera vita. I bisogni, poi, sono diversi a seconda dell'età e delle tappe della crescita, della eterogeneità delle malattie dell’infanzia e del contesto familiare in cui il paziente vive.
Il documento individua quattro principali categorie di pazienti con patologia inguaribile: bambini con patologie per le quali esiste un trattamento specifico, ma che potrebbe fallire (patologie life-threatening) e le cure palliative interverranno in caso di fallimento del trattamento (es. neoplasie, insufficienza d’organo irreversibile); bambini con patologie che provocano una morte precoce e per i quali le cure appropriate possono prolungare ed assicurare una buona qualità di vita (patologie life-limiting. es. fibrosi cistica); bambini con patologie progressive, per le quali il trattamento è quasi esclusivamente palliativo e può essere esteso anche per molti anni (patologie life-limiting. es. malattie degenerative neurologiche e metaboliche); bambini con patologie irreversibili ma non progressive, che causano disabilità severa e morte prematura (es. paralisi cerebrale severa).
Rimangono fuori dalla classificazione alcune patologie per le quali persiste la difficoltà di definire quando il paziente diventa inguaribile (es. patologie oncologiche); ogni categoria di pazienti presenta poi una grande diversità di forme morbose interessate e anche l’andamento clinico risulta essere imprevedibile.
Oltre alla diagnosi di inguaribilità, il parametro che gioca un ruolo determinante nella definizione della eleggibilità alle CPP, sono i bisogni di cura specifica del bambino e della sua famiglia: bisogni clinici, psicologici, sociali, organizzativi, spirituali ed etici. A tale scopo sono state individuate “green lights” per considerare il bambino eleggibile. Tra le situazioni elencate nel documento si trova per es. quella del bambino con una nuova diagnosi di malattia life-threatening o life-limiting; la difficile gestione del dolore o di altri sintomi; aver avuto tre o più ricoveri urgenti per problematiche cliniche gravi in un periodo di 6 mesi o il prolungato ricovero (oltre 3 settimane) senza evidenza di miglioramento clinico o il prolungato ricovero in terapia intensiva (oltre 1 settimana) senza evidenza di un miglioramento clinico; bambino e/o famiglia con bisogni psicosociali complessi e limitato sostegno sociale.
Tali bisogni vanno oltre la sola gestione dei sintomi e comprendono anche la corretta comunicazione con la famiglia, la formazione e il sostegno ai familiari e/o al caregiver nonché la condivisione del piano di cura tra i genitori, il bambino e gli operatori sanitari.
Il programma di cure palliative tenterà non solo di contenere e lenire il dolore del bambino ma sarà rivolto anche al sostegno psicologico, sociale e spirituale del piccolo paziente, ma anche della famiglia: le cure palliative pediatriche si possono intendere, allora, come la “cura del processo che questa immensa complessità comporta”.
Vi saranno poi diversi livelli di cura: un “approccio palliativo” in caso di bisogni di cura di bassa-media entità, assicurati da tutti i professionisti della salute formati in materia; un secondo livello di Cure Palliative Pediatriche generali in caso di bisogni di cura moderati/elevati, che richiedono l’intervento di quei professionisti che si occupano della patologia in causa ma che hanno anche preparazione e competenze specifiche in CPP e che possono richiedere anche il supporto da parte di una équipe specialistica; un terzo livello di Cure Palliative Pediatriche specialistiche in caso di bisogni di cura elevati. Queste ultime situazioni richiedono l’intervento continuativo di professionisti esclusivamente dedicati alle cure palliative operanti in équipe multiprofessionali e multidisciplinari specifiche.
In letteratura esistono ancora pochi strumenti per valutare l’entità, il peso assistenziale dei bisogni e le necessità dei bambini affetti da patologia inguaribile e delle loro famiglie. “È certamente un ambito dove è importante investire sia in condivisione e confronto fra esperti che in ricerca e messa a disposizione di competenze e risorse”.
Anche da questo documento traspare la necessità di incentivare la formazione degli operatori sanitari già dai Corsi di Laurea ma anche un impegno politico per sostenere e finanziare la ricerca e l’assistenza sanitaria in cure palliative, soprattutto nel campo pediatrico. L’assistenza pediatrica sembra infatti essere rimasta ferma a livello di attenzione programmatoria, organizzativa e sociale, e ciò è confermato dall’Indagine conoscitiva operata dal Parlamento (Comm. Aff. Sociali) lo scorso anno.

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SICP, Il Modello Organizzativo nelle Cure Palliative Pediatriche, feb 2020

- Il documento “Il modello organizzativo nelle Cure Palliative Pediatriche” pubblicato il 18 febbraio 2020, fa seguito al precedente sulla Complessità nelle Cure Palliative Pediatriche, ed è elaborato anch’esso dal gruppo di lavoro della Società italiana di cure palliative (SICP) e della Federazione cure palliative onlus (FCP). Il tema questa volta è l’organizzazione delle Reti e dei livelli assistenziali che corrispondono ai diversi gradi di complessità dei bisogni dei pazienti pediatrici.

La complessità assistenziale del bambino bisognoso di cure palliative e la necessaria specificità delle competenze richieste impongono la necessità di una risposta specialistica con riferimento ad ampi bacini di utenza e di un intervento il più vicino possibile al luogo di vita del bambino, possibilmente il suo domicilio.
L’inguaribilità limita fortemente le possibilità concrete che il bambino ha di fare ciò che un suo coetaneo può fare, non modificando invece il processo di crescita durante le diverse fasi di sviluppo fisico, psicologico, relazionale, emozionale, sociale e spirituale tipico dell’età pediatrica.
Il documento ricorda come nell’ambito della gestione del dolore pediatrico e delle cure palliative pediatriche, in questi ultimi anni, sono stati fatti alcuni progressi a livello normativo, a partire dalla legge n. 38 del 2010. La legge pone delle indicazioni innovative nel campo della cura del paziente pediatrico riconoscendo al bambino e alla sua famiglia il diritto ad accedere ad un servizio specialistico multiprofessionale con operatori specializzati, disponibile h 24. È poi messa in evidenza la peculiarità della situazione che vive il bambino (come neonato, bambino ed adolescente con caratteristiche specifiche biologiche, psico-relazionali, sociali e cliniche) e “sancita la necessità di una risposta ai bisogni, specifica e dedicata, sia a livello clinico-organizzativo che formativo e informativo”. È posta attenzione alla “Respite Care” dei genitori e delle persone più vicine al paziente. Nella legge si ribadisce la necessità di una formazione di base per tutti gli operatori della salute e si rimanda agli organi istituzionali competenti il mandato di definire obiettivi e strategie ma anche l’esigenza di educare la popolazione sul tema “della modalità e degli interventi più efficaci sul trattamento del dolore e dei servizi forniti dalle cure palliative attraverso l’organizzazione di campagne d’informazione ad hoc”.
Per la formazione della Rete fondamentale è stato l’accordo relativo alla “Definizione dei requisiti minimi delle modalità organizzative necessari per l’accreditamento delle strutture di assistenza ai malati in fase terminale e delle unità di Cure Palliative e della Terapia del Dolore” raggiunto dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano nel luglio 2012. Per l’ambito pediatrico, da un punto di vista organizzativo, il modello assistenziale proposto è quello di un’unica Rete specialistica di Terapia del Dolore e Cure Palliative dedicata al paziente pediatrico, “realizzata per ampi bacini d’utenza e coordinata da un Centro di riferimento dove una équipe multiprofessionale e multispecialistica dedicata risponde, in maniera continuativa e competente, a tutti i bisogni di salute di minori che necessitano di Terapia del Dolore e di Cure Palliative Pediatriche”. L’intesa definisce requisiti, modalità organizzative, standard strutturali e figure professionali dei vari elementi della Rete. La Rete è volta a garantire la continuità assistenziale e a offrire “risposte ad alta complessità e specializzazione più vicino possibile al luogo di vita del bambino, idealmente al suo domicilio”. Fornisce in maniera congiunta e in continuità e unicità di riferimento, sia risposte residenziali che domiciliari in grado di integrarsi e modularsi nei diversi momenti della malattia a seconda delle necessità.
L’Atto di indirizzo 2018 del Ministero della Salute sottolinea poi come sia “importante definire modalità e criteri per l’accreditamento delle Reti di CP, di terapia del dolore... per l’area pediatrica”.
Ogni Regione dovrebbe identificare un Centro di Riferimento Regionale che sarà il fulcro clinico, organizzativo, di formazione, di ricerca e di supporto per l’organizzazione e l’implementazione della Rete. Sono ancora poche le Regioni che hanno individuato il Centro di riferimento regionale, così come esiguo è il numero degli hospice pediatrici sul territorio nazionale.
Per quanto riguarda l’Hospice Pediatrico, il documento ricorda che dovrebbe essere una struttura adeguata ad accogliere il minore e la famiglia in un ambiente dedicato. Nell’ottica di assicurare la specificità pediatrica, il ricovero in hospice per adulti non è da considerarsi una soluzione neppure temporanea.

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Federazione infermieri (FNOPI),  Linee guida: La disciplina infermieristica all'interno della l.219/17,lug 2019

-  La Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) ha pubblicato nel luglio 2019 le linee guida dal titolo La disciplina infermieristica all'interno della l.219.

A seguito della legge n. 219 del 2017, recante Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento, la FNOPI ha ritenuto necessario chiarire la posizione dell’infermiere all’interno della materia, dal punto di vista legale, disciplinare e deontologico.
Il documento ricorda il valore del consenso informato nell’ambito degli interventi sanitari: un consenso concepito non come atto ma “bensì quale processo, dal momento che si inserisce all’interno della più complessa relazione di cura, fondata sull’ascolto e la comunicazione”.
Viene in tal modo “rifiutata l’idea del consenso informato inteso quale burocratica adesione ai protocolli definiti da altri a favore di una concezione di informazione appropriata per il singolo, specifico, paziente e frutto di un dialogo personalizzato con quest’ultimo”. La “cura” è vista quale comunicazione con il paziente, che costituisce, appunto, “tempo di cura” (art. 1 comma 8).
Le linee guida ricordano che la legge n. 219 del 2017, all’art. 1, comma 2, stabilisce che “contribuiscono alla relazione di cura, in base alle rispettive competenze, gli esercenti una professione sanitaria che compongono l’equipe sanitaria”. La prestazione sanitaria è erogata da una équipe multdisciplinare organizzata per soddisfare i bisogni della persona assistita, all’interno della quale “l’infermiere svolge un ruolo determinante, alla luce della prossimità alla persona dell’assistito, quindi alla sua sofferenza e ai suoi bisogni”.
La FNOPI evidenzia che il riferimento alle “rispettive competenze” degli esercenti una professione sanitaria, contenuto nella legge 219, “apre al sapere racchiuso nei codici deontologici e il Codice deontologico degli Infermieri si segnala per una disciplina, di recente approvazione, che pone al centro la relazione di cura con la persona assistita improntata all’ ascolto e al dialogo”.
Il documento ricorda il ruolo centrale dell’infermiere nel prendersi cura delle situazioni di fragilità: una “relazione di continua vicinanza con la persona assistita, in modo specifico in tutte quelle situazioni in cui la stessa non è più in grado di soddisfare i propri bisogni autonomamente, non soltanto perché fisicamente fragile ma spesso anche quando non è più in grado di attribuire a questa un senso e uno scopo esistenziale”. Gli infermieri sono coinvolti “nell’identificazione, valutazione e monitoraggio delle forme di sofferenza del paziente non solo intese come dolore fisico ma anche come sofferenza globale ed esistenziale”.
In conclusione il documento ricorda principi importante, ed in particolare che “Nessun trattamento può sostituirsi alla cura. Si può vivere senza trattamenti, ma non si può vivere senza cura”
…” Anche quando il paziente potrà decidere di interrompere o sospendere qualsiasi trattamento gli infermieri continueranno ad esserci e a prendersi cura di lui."

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Articoli, contributi, interviste

Se l’uomo diviso è carne da mercato

1 mar | S. Paliaga - Avvenire

L’imago Dei non abita più in noi?

29 feb | V. Possenti - Avvenire

Davvero il futuro sarà dei robot?

29 feb | R. Carnero - Avvenire

E' vita

27 feb | Avvenire

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Altri eventi, segnalazioni, news

Riportiamo qui l’introduzione alla sezione “Medicina” del libro del dr Carlo Bellieni, “Bada a Come Parli” (Ed Cantagalli, set 2019) sull’etica del lavoro. Carlo Bellieni è bioeticista, pediatra e vicepresidente di Scienza & Vita. Il libro è nato nel segno di formare una coscienza etica del lavoro quotidiano, con un particolare attenzione al mondo sanitario, dell’architettura, dei docenti, e degli economisti. Infatti il testo, dopo una interessante introduzione su cosa fa etico e morale il lavorare, analizza oltre 200 parole di queste professioni. Curiosità: l’autore ha voluto aggiungere anche le parole della vita religiosa in un capitolo a parte per analizzarle come le altre.
“Le parole della medicina sono mattoni: con una parola detta male si crea angoscia in un paziente o si comunica al collega medico una diagnosi completamente insensata. Cosa c’entra con l’etica del lavoro? Molto, perché quando i rapporti di lavoro sono intasati e grezzi, le parole si usano male e si ascoltano peggio, e si parla in burocraticese o in gergo medico, per non far capire l’incapacità di comunicare davvero. La medicina infatti è stata reclusa negli ultimi 50 anni in un formalismo burocratico, è stata aziendalizzata, relegata nella sequela di protocolli, delegando le diagnosi all’applicazione di flow-chart e pensando che il rapporto col paziente si riduce a dare dati (di solito in maniera affrettata e fredda).
Una medicina ridotta a protocolli taglia fuori l’uomo: è “l’effetto SUV”: quante più regole e protocolli abbiamo tanto più pensiamo di essere al sicuro (come in un SUV ci sentiamo al sicuro quante più corazze ed airbag ha); invece l’eccesso di protocolli e l’eccesso di esami clinici e di macchinari, fanno abbassare l’attenzione (così come chi guida una macchina corazzata abbassa per forza l’attenzione di guida); e il paziente, il colloquio, l’anamnesi, il contatto, la visita clinica
passano in secondo piano. Quello che possiamo fare offusca come lo facciamo. Vi stupite allora che tanti termini che sono nati dall’esperienza di un popolo, di un continuo rapporto amichevole, siano oggi inusabili, desueti, stravolti, trasformando il rapporto tra medico e malato in un disbrigo di formalità? Le parole che qui riportiamo sono pezzi di vita, spaziano da nomi di medicinali a quelli di malattie. Tutti però fanno trapelare dalla loro origine una vita, una vitalità piena, una rigogliosa inventiva e capacità di colloquio, ardimento nel vedere al di là del visibile, che oggi sta andando persa. È qui che si fonda l’etica della medicina, in un rapporto umano, in una possibilità di dialogo, di conoscenza: vedremo parole che indicano un contatto fisico fortissimo, una consuetudine col corpo e una reciprocità di rapporti in cui se è vero che il medico cura, è anche vero che dal paziente riceve non solo informazioni, ma anche conforto, cordialità, gratitudine e forza per continuare.”

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mar-apr 2020 Centro di Ateneo di Bioetica, UCSC: Laboratorio di Bioetica e cinema "Il controllo dell'umano"

 

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